Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11912 del 27/02/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 11912 Anno 2014
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Catania Salvatore, nato a Giarre il 09/02/1973

avverso la sentenza del 14/03/2013 della Corte di appello di Catania;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giuseppe Volpe, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata per prescrizione del reato.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Catania confermava la
pronuncia di primo grado del 13/06/2011 con la quale il Tribunale della stessa
città, sezione distaccata di Giarre, aveva condannato Salvatore Catania alla pena
di giustizia in relazione al reato di cui all’art. 336 cod. pen., per avere, il

Data Udienza: 27/02/2014

20/01/2006, usato minaccia nei riguardi dell’ufficiale giudiziario Adriana
Santonocito per costringerla ad omettere un atto del suo ufficio.
Rilevava la Corte di appello come le emergenze processuali, in specie le
deposizioni dei testi Alfio Politano e Stellario Cardia, avessero provato la
colpevolezza dell’imputato in ordine al reato ascrittogli, e come la condotta
tenuta non potesse essere scriminata dalla presunta arbitrarietà dell’iniziativa del
pubblico ufficiale che stava procedendo all’adempimento dei suoi doveri

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso la Catania, con atto sottoscritto
dal suo difensore avv. Vincenzo Iofrida, il quale ha dedotto, con un unico ed
articolato motivo, la violazione di legge, in relazione all’art. 336 cod. pen., ed il
vizio di motivazione, per manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale
omesso di considerare le prove dichiarative, espressamente richiamate nell’atto
di appello, idonee ad escludere l’uso da parte dell’imputato di alcuna minaccia
anche perché questi era persona diversa da quella che avrebbe dovuto subire il
pignoramento ad iniziativa dell’ufficiale giudiziario.

3. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile.
Nella giurisprudenza di legittimità si è avuto modo ripetutamente di chiarire
che il requisito della specificità dei motivi implica non soltanto l’onere di dedurre
le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti
determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e
preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di
consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare
il proprio sindacato (così, tra le tante, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, Valentini,
Rv. 245907, Sez. 4, n. 24054 del 01/04/2004, Distante, Rv. 228586; Sez. 2, n.
8803 del 08/07/1999, Albanese, Rv. 214249).
Nel caso di specie il ricorrente si è limitato ad enunciare, in forma molto
indeterminata, il dissenso rispetto alle valutazioni compiute dalla Corte
territoriale, senza specificare gli aspetti di criticità di passaggi giustificativi della
decisione, cioè omettendo di confrontarsi realmente con la motivazione della
sentenza gravata: pronuncia con la quale erano stati richiamati gli elementi di
prova idonei ad integrare gli estremi del delitto oggetto di addebito, in
particolare sottolineando come l’imputazione fosse stata modificata per chiarire
come l’azione esecutiva riguardasse direttamente Vincenzo Catania, nonché
richiamando il contenuto del verbale redatto dalla persona offesa Santonocito (la
quale, come risultante dalla conforme sentenza di primo grado, aveva ricordato
che Salvatore Catania, tenendo un atteggiamento minaccioso, le aveva strappato

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nell’ambito di una procedura di esecuzione forzata.

di mano il verbale che stava redigendo, l’aveva insultata, pure intimandole di
uscire da casa, ed era state sul punto di aggredirla, venendo bloccato dai
carabinieri) ed il tenore delle deposizioni rese dai testi Cardia e Stellario,
quest’ultimo neppure menzionato nel ricorso per cassazione.

4. Alla dichiarazione di inammissibilità non è di ostacolo la circostanza che il
reato addebitato all’imputato si sia prescritto il 20/07/2013, dopo la pronuncia
della sentenza di secondo grado. Sul punto questo Collegio non ha motivo per

del ricorso per cassazione, non consentendo il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione, preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare di ufficio,
ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., l’estinzione del reato per prescrizione (così,
da ultimo, Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164; Sez. U, n. 32
del 22/11/2000, De Luca, RV. 217266).

5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell’erario
delle spese del presente procedimento ed al pagamento in favore della cassa
delle ammende di una somma, che si stima equo fissare nell’importo indicato nel
dispositivo che segue.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 27/02/2014

disattendere il consolidato principio di diritto secondo il quale l’inammissibilità

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