Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11911 del 13/02/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 11911 Anno 2014
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: VILLONI ORLANDO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PAOLINI Gabriele, n. Milano 12.10.1974
avverso la sentenza n. 1440/13 Corte di Appello Roma del 13/02/2013
esaminati gli atti e letti il ricorso ed il provvedimento decisorio impugnato;
udita in camera di consiglio la relazione del consigliere dott. Orlando Villoni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto PG, dott. Giovanni D’Angelo che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore della parte civile RAI – Radiotelevisione Italiana, avv. Marcello Melandri,
che ha chiesto il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali della fase di giudizio, come da separata nota;
udito il difensore del ricorrente, avv. Lorenzo La Marca, che ha insistito per raccoglimento
del ricorso

RITENUTO IN FATTO
1. Con la decisione sopra indicata la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza emessa dal locale Tribunale in composizione monocratica il 12/05/2008, condannava Gabriele Paolini alla pena di tre mesi di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della
parte civile costituita RAI – Radiotelevisione Italiana da liquidarsi in separata sede, per il reato
d’interruzione di pubblico servizio, dichiarando estinto per prescrizione quello di molestie ravvisato dal giudice di primo grado con riferimento a due episodi della contestazione unitaria di cui
all’art. 340 cod. pen. e non doversi procedere per quello di offesa alla religione cattolica di cui
all’art. 403 cod. pen., per difetto della condizione di procedibilità di cui agli artt. 278 e 313 cod.
pen. e 8, comma secondo del Trattato 11 febbraio 1929 siglato tra Italia e Santa Sede.
Osservava la Corte territoriale che correttamente il giudice di primo grado aveva affermato la
responsabilità dell’imputato, sia pur diversamente qualificando i fatti in termini di molestie continuate (artt. 81 cpv., 660 cod. pen.), essendo stati accertati gli effetti, prima di disturbo e poi
di anticipata interruzione di una diretta televisiva condotta da un giornalista del servizio pubblico, provocati dalle sue intemperanze, in linea del resto con la giurisprudenza di legittimità

Data Udienza: 13/02/2014

formatosi sullo stesso titolo reato ed in relazione a fattispecie analoga riguardante lo stesso
Paolini.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, deducendo inosservanza ed erronea
applicazione della legge penale, nonché illogicità della motivazione in ordine alla mancata assoluzione: a) per non avere egli mai posto in essere violenza o minaccia alcuna; b) per non
avere i giudici di merito ravvisato ignoranza scusabile della legge penale ex art. 5 cod. pen.
determinata dall’essere stato assolto per fatto analogo nel mese di dicembre del 2000; c) per
la mancata diversa qualificazione anche dell’episodio del 15 luglio 2005 come reato di molestie
di cui all’art. 660 cod. pen. con conseguente dichiarazione di estinzione per intervenuta prescrizione.

3. Il ricorso risulta manifestamente infondato e come tale deve essere dichiarato inammissibile.
3.1 D primo motivo risulta del tutto privo di pregio poiché la Corte territoriale, nel ricostruire
articolatamente la vicenda fattuale, ha ricordato come, dopo un primo tentativo fallito di intromissione nella diretta televisiva del giorno 15 luglio 2005 condotta da giornalisti del servizio
televisivo pubblico (RAI) presso la sede della Federazione Italiana Gioco Calcio, il Paolini era
riuscito ad entrare nel campo di ripresa della telecamera in quel momento puntata sul giornalista, disturbandolo e infastidendolo al punto da indurlo a invocare la chiusura anticipata della
trasmissione e ottenere dalla regia la messa in onda di un servizio registrato.
La Corte territoriale non ha, dunque, mai fatto riferimento ad azioni violente, ma del resto né il
reato originariamente contestato di cui all’art. 340 cod. peri. né quello ritenuto dal giudice di
prime cure di cui all’art. 660 cod. pen. contemplano la violenza quale loro elemento costitutivo,
ai fini della consumazione del primo essendo idonea qualsiasi condotta avente ad effetto l’interruzione o anche il solo perturbamento (come nella fattispecie) di un pubblico servizio (nel
caso televisivo), tant’è che questa Corte ha da tempo affermato il principio che il delitto in questione non include concettualmente alcuna condotta intimidatoria dell’agente (Cass. sez. 5 n.
679 del 19/11/1982, Cattaneo, Rv. 157113).
3.2 Anche il secondo motivo risulta manifestamente infondato poiché aspecifico, risolvendosi
nella pedissequa riproposizione di una doglianza articolata con l’impugnazione in appello e sulla
quale la Corte territoriale si è ampiamente soffermata, confutandone il fondamento con dovizia
di argomentazioni.
Invocava, infatti, il Paolini l’assoluzione dai reati in addebito, allegando l’affidamento riposto
nell’assoluzione pronunziata dal Tribunale di Parma, Sezione Distaccata di Fidenza con sentenza del 3 dicembre 2000 in relazione ad un’accusa per certi versi analoga a quella oggetto del
giudizio di merito.
La Corte territoriale, utilizzando argomentazioni simili rispetto a quelle già svolte dal giudice di
prime cure, ricordava come quella sentenza avesse avuto riguardo a situazioni completamente diverse per circostanze di tempo, luogo, persone e modalità della condotta tenuta nell’occasione dall’imputato.
In più v’è da considerare che questa stessa Corte, occupatasi del medesimo reato di cui all’art.
340 cod. pen. ascritto al ricorrente in distinto giudizio, con sentenza Sez. 3 del 16/04/2004 n.
28397, Rv. 229060 aveva affrontato il tema della pretesa efficacia esimente proprio di quella
pronunzia, affermando che l’assoluzione avrebbe dovuto semmai indurlo ‘a riflettere prima di

reiterare analogo e ben più grave comportamento’.
Ciò premesso, secondo l’orientamento giurisprudenziale costante elaborato da questa Corte, la
riproposizione in sede di legittimità delle medesime doglianze valutate e debitamente considerate nel giudizio di appello costituisce vizio di aspecificità del ricorso per ‘mancanza di corre-

lazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dellimpugnazione’ (per una riaffermazione del principio si rinvia ex pluribus a Cass. sez. 2,

CONSIDERATO IN DIRITTO

sent. n. 36406 del 27/06/2012, Livrieri, Rv. 253893), attesa l’ovvia considerazione che tale
modalità di articolazione dei motivi finisce per devolvere al giudice di legittimità una competenza piena di merito non contemplata dall’ordinamento processuale.

3.3 Quanto, infine, al terzo motivo di ricorso, anch’esso appare palesemente infondato, avendo tanto il giudice di prime cure quanto la Corte d’appello precisato che nel corso degli episodi
del 5 e del 6 luglio 2005 non si era verificata alcuna interruzione della diretta televisiva, atteso
che in tali situazioni il giornalista interessato, pure a fronte delle azioni di disturbo attuate dal
Paolini, aveva di propria iniziativa preferito restituire la linea alla regia, ritenendo di avere comunque esaurito il compito di fornire ai telespettatori il resoconto degli avvenimenti della giornata, riferiti alla vicenda degli arbitraggi pilotati delle partite del massimo campionato di calcio.
Con dovizia di argomentazioni, la Corte territoriale ha pertanto ravvisato una fondamentale differenza intercorrente tra gli episodi del 5 e del 6 luglio rispetto a quello del 15 luglio, in cui il
giornalista di turno, pur non essendo ancora riuscito a dare notizia degli sviluppi delle inchieste in corso, si era visto tuttavia costretto ad interrompere la diretta televisiva, in presenza dei
reiterati disturbi provenienti dal ricorrente.
La diversa qualificazione in jure del fatto contestato costituisce del resto tipico apprezzamento
discrezionale del giudice di merito che, ove operato senza errori di diritto, appare insuscettibile di diversa valutazione in sede di legittimità (esattamente in termini si rinvia a Cass. sez. 5 n.
8442 del 25/05/1984, Orzes, Rv. 166049) e per tutto quanto sopra esposto resta da escludere
l’esistenza di vizi nell’iter argomentativo seguito dalla Corte territoriale, la quale ha oltre tutto
recuperato la qualificazione della condotta propria dell’originaria contestazione.

4. Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di quelle sostenute dalla parte civile per la presente fase di
giudizio che si stima equo liquidare in Euro 3.000,00 oltre accessori, nonché al pagamento di
una somma in favore della Cassa delle Ammende che si stima equo determinare in 1.000,00
(mille) Euro.
P. Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
di quelle sostenute dalla parte civile per la presente fase di giudizio, liquidate in Euro 3.000,00
oltre IVA e CPA, nonché al pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di
1.000,00 (mill Euro.
Roma, 13/02/4014

Sotto altro e dirimente profilo, occorre infine considerare che la questione della rilevanza dello
errore su legge penale ai sensi della sentenza della Corte Costituzionale n. 364 del 1998
sull’art. 5 cod. pen. finisce sovente per risolversi in una questío facti, poiché l’invocata buona
fede ‘non costituisce causa indiscriminata di scusabilità, ma deriva da particolari situazioni in
cui predetto errore è inevitabile’ (Cass. sez. 3 n. 28397/04 cit.) e l’apprezzamento di dette
situazioni costituisce prerogativa del giudice di merito che, ove come nella specie adeguatamente motivato, appare insuscettibile di censure in sede di legittimità.

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