Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11887 del 20/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11887 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
KABBOUR HICHAM N. IL 10/04/1987
avverso la sentenza n. 6711/2012 GIP TRIBUNALE di MODENA, del
31/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;
lette/sei-Aie le conclusioni del PG Dott.
‘Q,:je
C-3

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 20/02/2014

38379/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 31 maggio 2013 il gip del Tribunale di Modena ha applicato a Kabbour
Hicham su richiesta delle parti la pena di quattro anni di reclusione e € 16.000 di multa per il
reato di cui all’articolo 73, comma 1 bis, d.p.r. 309/1990 per avere detenuto circa 29 kg di
sostanza stupefacente del tipo hashish.
Ha presentato ricorso il difensore dell’imputato adducendo tre motivi: violazione

dell’articolo 178, lettera c), c.p.p.; violazione dell’articolo 129 c.p.p.; erronea qualificazione
giuridica del fatto. In data 18 febbraio 2014 l’imputato ha dichiarato di rinunciare
all’impugnazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. L’imputato in data 18 febbraio 2014 ha formulato tempestivamente atto di rinuncia al
ricorso ex articolo 589 c.p.p.: ai sensi dell’articolo 591, comma 1, lett. d), ciò comporta
l’inammissibilità dell’impugnazione stessa, da dichiararsi ex articolo 591, comma 2, c.p.p.
La dichiarazione di inammissibilità di ricorso conduce poi, ex articolo 616 c.p.p., alla
condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché di una somma a
favore della Cassa delle Ammende. Peraltro, nel ricorso il rinunciante richiama una
giurisprudenza di questa Suprema Corte (Cass. sez. V, ord.16 dicembre 2005-25 gennaio 2006
n. 3101) secondo la quale la sanzione pecuniaria comminata dal suddetto articolo non si
applica quando il ricorso per cassazione sia dichiarato inammissibile per una delle cause di cui
all’articolo 591 c.p.p. Invero, il suddetto arresto si installa su una giurisprudenza risalente che
distingue le cause di inammissibilità di cui all’articolo 591, quali cause “meramente
pregiudiziali”, da quelle di cui all’articolo 606, comma 3, c.p.p. (Cass. sez. V, 13 marzo 1991 n.
225) così pervenendo a leggere nel sistema una disciplina distinta per le cause di
inammissibilità generale valevoli per tutte le impugnazioni – cioè quelle di cui all’articolo 591 rispetto a quelle specifiche di inammissibilità propria del solo ricorso per cassazione, con
conseguente applicabilità soltanto a queste della sanzione di cui all’articolo 616 (Cass. sez. I, 6
giugno 1994-19 luglio 1995 n. 3441; Cass. sez. I, 6 giugno 1995-21 settembre 1995 n. 3432,
quest’ultima richiamata proprio da Cass. sez. V, ord. 16 dicembre 2005-25 gennaio 2006 n.
3101, citata dal ricorrente; e a sua volta la suddetta ordinanza è richiamata, per porsi nella
stessa linea interpretativa, dalla più recente Cass. sez. VI, 24 aprile 2012 n. 31435). Peraltro,
come si evince anche da molte pronunce non massimate della VII sezione di questa Suprema
Corte, l’interpretazione predominante è quella nel senso dell’applicabilità della sanzione per

2.

qualunque causa di inammissibilità. Ha motivato a favore di questa interpretazione la recente
Cass. sez. V, 13 giugno 2013 n. 36372, che ha citato il più recente precedente contrario (Cass.
sez. VI, 24 aprile 2012 n. 31435) per dichiarare espressamente di non condividerlo, sulla base
di due argomenti, uno ermeneutico stricto sensu e uno logico. Sotto il primo profilo, osserva
che l’articolo 616 c.p.p. non opera distinzione alcuna tra le cause di inammissibilità; e sotto il
secondo evidenzia come sarebbe illogico un trattamento diverso allo stesso livello di
“rimproverabilità”.

corretta. La distinzione tra le cause di inammissibilità di impugnazione, infatti, a seconda che
siano generali oppure proprie di una specifica impugnazione, si concretizza nell’ambito
dell’applicazione della fattispecie viziante, ma non significa che la conseguenza della
applicazione debba essere diversa. L’Istituto di inammissibilità, infatti, è di per sé generale, e
rappresenta – inglobando anche l’improponibilità – la barriera per l’accesso all’effettiva
cognizione del contenuto della impugnazione, così impedendo l’instaurazione di un reale
ulteriore grado di giudizio. Che poi l’inammissibilità costituisca un vizio radicale della
impugnazione al punto da giustificarne la sanzione nei limiti della corretta interpretazione
costituzionale, cioè a condizione della sussistenza di un profilo colposo nella condotta della
parte sostanziale (Corte Cost. sentenza 186/2000) esclusivamente nel ricorso per cassazione
non implica logicamente, a sua volta, che tale conseguenza si connetta unicamente a
fattispecie di inammissibilità proprie soltanto dell’impugnazione dinanzi al giudice di legittimità.
Al contrario, ubi voluit dixit: il legislatore nell’articolo 616 c.p.p. non secerne in alcun modo le
cause di inammissibilità generali da quelle specifiche, ponendo come presupposto della
sanzione inflitta alla parte privata la mera dichiarazione di inammissibilità del ricorso. E non
può ritenersi che si giudichi l’inammissibilità del ricorso solo riguardo ai casi dell’articolo 606,
comma 3, c.p.p.: è infatti indiscutibile che il ricorso va dichiarato inammissibile come tale, e
non, artificiosamente, come generica impugnazione, pure sulla base dei presupposti di cui
all’articolo 591, che lo affliggono anch’essi direttamente e quindi con la stessa efficacia di quelli
indicati dall’articolo 606, comma 3. Non appare neppure necessario, dinanzi a un così chiaro
dettato normativo

(in claris non fit interpretatio),

L’orientamento maggioritario corrisponde, in effetti, ad una impostazione interpretativa più

soffermarsi a misurare il livello di

“rimproverabilità” delle varie cause di inammissibilità e ad argomentare di conseguenza, anche
perché ciò comporterebbe l’insinuazione dell’interprete in quella che è una valutazione
discrezionale del legislatore, il quale ha operato una scelta complessiva, collegata alla qualifica
di inammissibilità e non all’origine della inammissibilità stessa (che, infatti, potrebbe sostenersi
di contenuto ontologicamente del tutto differente, come, per esempio, è il caso della rinuncia
rispetto a una impugnazione intempestiva).
In conclusione, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., non emergendo alcun profilo rilevante ai fini
della sentenza 186/2000 della Corte Costituzionale in capo alla parte privata rinunciante,

5

questa viene condannata al pagamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che
appare equo determinare in euro 500.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2014
Il Consigliere Estensore

Il Presidente

e della somma di € 500,00 a favore della Cassa delle Ammende.

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