Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11879 del 31/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11879 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LANNI ANTONIO N. IL 07/04/1946
avverso la sentenza n. 153/2012 TRIBUNALE di CASSINO, del
24/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 31/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. aL K.C6Q_
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Data Udienza: 31/01/2014

)

RITENUTO IN FATTO
1.

Il Tribunale di Cassino in composizione monocratica in data 24.6.2013

condannava LANNI ANTONIO alla pena di euro 12.000 di ammenda oltre al pagamento delle spese processuali per il reato p. e p. dall’art. 256 co. 1 lett. a) in
relazione all’art. 186 D.Ivo 3.4.2006 n. 152 per avere smaltito, in mancanza della prescritta autorizzazione, materiale di risulta proveniente da demolizione e da
scavo, unitamente a terre, rocce e materiale.

del proprio difensore, l’imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma
1, disp. att., cod. proc. pen.:
a.

erronea individuazione del produttore nel committente e non

nell’appaltatore. Violazione di legge.
Il ricorrente si duole che nel capo d’imputazione egli venga ritenuto responsabile della gestione dei materiali di risulta del cantiere, laddove egli era il mero
committente dei lavori, limitata qualità che si evincerebbe dalle carte processuali.
Richiama in proposito alcune pronunce di questa Sezione (cfr. per tutte
35692/2011) che hanno ribadito che il committente dei lavori edili, al pari
dell’appaltante nell’ipotesi del subappalto, ed il direttore dei lavori, non hanno alcun obbligo giuridico di intervenire nella gestione dei rifiuti prodotti dalla ditta
appaltatrice o subappaltatrice né di garantire che la stessa venga effettuata correttamente.
b. errore di giudizio:mancata considerazione di autorizzazione in atti.
Altro profilo di doglianza attiene al fatto che il giudice avrebbe ritenuto nella
sentenza impugnata di far proprie acriticamente le affermazioni dei verbalizzanti
secondo cui il Lanni avrebbe posto in essere una demolizione senza le prescritte
autorizzazioni allo smaltimento dei materiali.
Vi sarebbe invece -si duole il ricorrente- un’autorizzazione in atti rilasciata
dal Comune di Cassino per lo sversamento di taluni materiali nella di lui proprietà.
c. violazione di legge. Errata e falsa applicazione del D.Ivo 3.4.2006 n. 152
e, in particolare, dell’art. 256 co. 1 lett. a) in relazione all’art. 186.
Il ricorrente si duole che il materiale era frutto di una demolizione di un capannone adibito a fabbrica, ma dismesso da 30 anni, per cui si trattava di inerti
murari. E, in ogni caso, si sarebbe trattato di sottoprodotti destinati ad un riuso.
Trattandosi, inoltre, di fatti risalenti al 28.11.2008 si sarebbe dovuto far riferimento all’art. 186 D.Ivo 152 all’epoca vigente e in particolare al comma 3 se-

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2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo

condo cui i tempi di deposito in attesa di utilizzo dei materiali andavano dimostrati e verificati nell’ambito della procedura per il permesso di costruire.
Ma -si duole il ricorrente- il primo Giudice non ha acquisito il permesso di
costruire e, pertanto, non aveva alcuna contezza della valutazione preventiva dei
volumi dei materiali da demolire né da riutilizzare né da smaltire.
Peraltro si sostiene che nel caso in esame trovasse applicazione la norma di
cui all’art. 183 lett. m) non vertendosi in ambito di “gestione di rifiuti”, ma di una
legittima operazione preliminare all’attività di gestione, preparatoria al recupero,

Difetterebbe, trattandosi di accumulo nel cantiere di produzione,
l’abbandono o deposito incontrollato indicato al comma 2 dell’art. 256.
L’avvenuto sversamento altrove sarebbe ad avviso del ricorrente circostanza
del tutto apodittica e comunque assistita dall’autorizzazione prodotta in atti.

d. ius superveniens: esclusione della rilevanza penale del fatto
Il ricorrente evidenzia come di recente vi siano stati due provvedimenti che
hanno modificato il regime normativo per la gestione di terre e rocce provenienti
dall’esecuzione di lavori edili di qualsiasi tipologia.
Le novità introdotte, tuttavia, creerebbero almeno incertezza poiché sembrerebbe che la fattispecie in esame sia stata assoggettata ad una procedura
amministrativa o comunque che sia esclusa la contravvenzione già prevista
dall’articolo 256 in relazione all’articolo 186 d.lvo 152,
Ciò in quanto il Dl 21/6/2013 numero 69 all’articolo 41 comma due, inserendo il comma 2bis all’articolo 184bis decreto legislativo 152/06, è intervenuto
a modificare il regime normativo per la gestione delle terre e rocce provenienti
dall’esecuzione di lavori edili fi qualsiasi tipologia, qualificandole come sottoprodotto, anziché come rifiuto; ciò a partire dal 22/6/2013, assoggettando al dísposto ex D.M. 161/12 solo le attività e le opere soggette all’autorizzazione ambientale integrata o a valutazione di impatto ambientale.
Viene ricordato che la decisione appellata è del 24/6/2013 ma-come ricorda

qualificata “deposito temporaneo”.

il ricorrente- anche perché egli stesso non conosceva le norme appena pubblicate-il primo giudice non ha tenuto conto.
Per le attività e le opere non soggette al dm citato si dovrebbero dunque
applicare le regole generali previste per i sottoprodotti dall’articolo 184bis decreto legislativo 152/2006 dei quali però non sono oggetto di specifica regolamentazione procedurale.
Il ricorrente ricorda come si potrebbe ipotizzare che, considerato che il D.M.
161/2012 non è applicabile per effetto dell’articolo 41 del decreto legge 69 del
2013 per tutti i cantieri e i relative interventi non soggetti a VIA-AIA si debbano
seguire le indicazioni dell’articolo 186, ma tale norma fu abrogata dal 6.10.2012

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dal D.M. 161 e ancor prima dal decreto legislativo 205/2010. Ergo, non sembra
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/
dunque possibile che si possa continuare ad applicare una norma che è stata
abrogata. Né tanto meno si può applicare, ad avviso del ricorrente, la disposizione dell’articolo 256 che si ricollega alla nozione di rifiuto e non a quella di sottoprodotto di cui alla nuova norma.
Ma c’è di più. Il 26/6/2013 è entrata in vigore la legge numero 71 di conversione del decreto-legge numero 43 che ha portato altre variazioni. Infatti, per
l’articolo 8bis co. 2 introdotto dalla legge 71/13 a cantieri con volumi di scavo si-

legislativo 152 del 2006 come detto inapplicabile. Ma per il ricorrente sarebbe la
disciplina introdottq,con l’articolo 41bis della legge numero 71/2013 a convincere
vieppiù della fattuale depenalizzazione poiché, semplificando il sistema di cui al
D.M. citato, introduce un mero obbligo di autodichiarazione per le attività non
soggette ad AIA-VIA, la cui omissione non può certo parificarsi all’assenza di autorizzazione di cui agli articoli 186-256 citati.
In conclusione, secondo il ricorrente, mancando la quantificazione dei volumi
presuntivamente smaltiti dal prevenuto, in assenza di obbligo di AIA-VIA, stante
l’introduzione dell’articolo 41bis citato, il fatto contestato non potrebbe essere
più considerato come reato.

Il ricorrente chiede pertanto che questa Corte voglia mandare assolto il Lanni dal reato ascrittogli con formula terminativa completa, osservando che quale
committente non è destinatario della norma sanzionatoria o, in subordine, stante
l’autorizzazione in atti. In ulteriore subordine chiede che l’imputato sia mandato
assolto ai sensi dell’art. 530 co. H cod. proc. pen. ritenendo legittimo il comportamento contestato, qualificati gli accumuli verificati quali sottoprodotti. In
estremo subordine, considerati gli iura supervenientes, affermare che il fatto non
è più previsto dalla legge come reato.

no a 6000 m 3 si dovrebbe applicare ancora l’indicazione dell’articolo 186 decreto

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Manifestamente infondati sono i motivi di ricorso indicati in premessa sub
b), c), d).
Ancorché con tali motivi vengano denunciate violazioni di legge, con gli stessi, infatti, si propongono doglianze meramente fattuali cui il giudice del merito,
seppure con una motivazione alquanto scarna, ha risposto in maniera logica e
coerente.
Inconferente appare poi il richiamo alla normativa in materia di terre e rocce,
e alle modifiche della stessa intervenute, che non appare applicabile al caso concreto.
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2. Non appare, invece, manifestamente infondato il motivo di ricorso indicato in premessa sub a) con riferimento alla necessità di individuare lo status
soggettivo in relazione al quale è stata affermata la penale responsabilità
dell’imputato.
La sentenza impugnata non risponde in motivazione sul punto perché,
quanto al ruolo del Lanni, si limita a dire che “è stato identificato tramite i lavoratori” e che “è risultato che era privo di autorizzazioni per lo smaltimento del

mento impugnato, se e dove, rispetto al luogo in cui era in corso l’attività demolitoria, fossero stati collocati i materiali di risulta e la loro tipologia. E nemmeno
appare chiaro se il sito ove ha operato il sopralluogo il teste Di Rollo e quello del
teste Mariani sia lo stesso.

3. In ragione, dunque, della non manifesta infondatezza delle proposte doglianze di cui in premessa sub a), questa Corte di legittimità non può che prendere atto che il termine massimo di prescrizione del reato in contestazione, trattandosi di reato contravvenzionale accertato il 28.11.2008, non risultando ex actis periodi di sospensione della prescrizione, è decorso il 28.11.2013.
S’impone pertanto l’annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza per
essersi il reato ascritto all’odierno ricorrente estinto per intervenuta prescrizione.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma il 31 gennaio 2014.

materiale di risulta”. Neanche si comprende, dal tenore letterale del provvedi-

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