Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11875 del 31/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11875 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LORE’ VITANTONIO N. IL 19/07/1969
avverso la sentenza n. 271/2012 CORTE APPELLO di BARI, del
06/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 31/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Sanite_ 31’g/I Q-ej
2,0 002.Q
che ha concluso per ‘oniyveycjr2C~2,rtto Ase,nac_
-4e.q be94e,e.19-ea12;

a parte civile, l’Avv

Data Udienza: 31/01/2014

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Bari, con sentenza del 6.6.2012, confermava la
sentenza emessa dal Tribunale di Bari sez. distaccata di Altamura il 18.10.2011
con cui LORE’ VITANTONIO era stato condannato alla pena di mesi sei di reclusione per il delitto di cui all’art. 483 cod. pen. perché, quale richiedente la definizione con il “condono” degli illeciti urbanistici – per i quali il tribunale pronunciava sentenza di prescrizione, così come per i residui falsi- presentava la relativa
domanda e dichiarazione sostitutiva di certificazione nelle quali dichiarava falsa-

ZPS e pSIC codice IT9 120007 e pur essendo lo stesso situato in zona USI CIVICi. Il tutto con domanda presentata il 9.12.2004.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, personalmente„ l’imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp.
att., cod. proc. pen.:
a. mancanza della motivazione ex art.606 lett. e) cod. proc. pen.
Il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia eluso la puntuale ricostruzione offerta dalla difesa sulle disposizioni che hanno istituito, introdotto e
disciplinato ZPS e SIC, nonché l’effettiva classificazione delle aree sulle quali sarebbero ricaduti i vincoli.
Viene richiamata la normativa in materia su cui, ad avviso del ricorrente, il
giudice di secondo grado avrebbe disatteso ogni indagine, verifica o corretta applicazione, limitandosi a richiamare in maniera acritica e supina le disposizioni citate dal tribunale e i loro titoli.
La Corte di merito avrebbe invece dovuto accertare -sulla base delle disposizioni richiamate dal giudice di prime cure e in sede di motivi di appello- se i
vincoli contestati fossero vigenti e riguardassero l’area oggetto dell’illecito e se le
disposizioni succedutesi nel tempo in materia di vincoli fossero state applicate

mente l’assenza di vincoli pur essendo l’immobile oggetto dell’istanza situato in

correttamente.
Il giudice di secondo grado avrebbe poi omesso ogni valutazione circa la dimostrata insussistenza di usi civici e immotivatamente disatteso quanto richiamato dall’appellante circa la ricorrenza dell’elemento soggettivo del falso, circa la
non pacifica e generalizzata sottoposizione al vincolo di tutto il territorio di Altamura e circa l’errore ingenerato dalla stessa condotta dell’ufficio tecnico comunale, che aveva continuato a rilasciare provvedimenti autorizzatori senza richiedere
alcuna valutazione di incidenza ambientale. Avrebbe inoltre immotivatamente
ignorato le risultanza processuali e le dichiarazioni rese dai dirigenti dell’ufficio

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tecnico circa la sussistenza dei vincoli e la confusione ingenerata in ordine alla
consapevolezza della loro vigenza e delimitazione.
b. violazione e/o erronea applicazione artt. 4 e ss. Dpr 357/97 e disposizioni
vigenti in materia paesaggistica ed ambientale in relazione all’art. 483 cod. pen.
I giudici di merito -ad avviso del ricorrente- avrebbero ritenuto la pacifica
configurabilità dei vincoli paesaggistici in maniera apodittica e acritica.
Viene evidenziato poi come il giudice amministrativo abbia costantemente
escluso che le aree pSIC e ZPS possano essere assimilate alle aree naturali pro-

c. violazione e/o erronea applicazione dell’art. 483 cod. pen.
I giudici di merito avrebbero sicuramente errato, ad avviso del ricorrente,
nel ritenere la sussistenza del reato anche in relazione alla parte della dichiarazione falsa riguardante gli usi civici, essendo pacificamente comprovata, con la
produzione della relativa certificazione, l’assenza di quel vincolo.
Inoltre, per quanto riguarda l’elemento soggettivo di cui all’art. 483 cod.
pen., la Corte di merito si sarebbe limitata a richiamare in maniera acritica quanto affermato dal giudice di primo grado, trascurando, senza ragione alcuna,
quanto sostenuto dalla difesa anche in relazione ad altre decisioni della Corte
medesima nonché a dichiarazioni rese da testi qualificati (dirigenti Ufficio Tecnico
Altamura).
d. violazione ed erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen. in relazione all’art. 483 cod. pen. e violazione e/o erronea applicazione di tale ultima norma.
La questione sollevata in tema di ricorrenza dell’elemento soggettivo di cui
all’art. 483 cod. pen. -contrariamente a quanto ritenuto dalla corte territorialenon aveva ad oggetto, sottolinea il ricorrente, l’art. 5 del codice penale e cioè
l’ignoranza della legge penale, ma, piuttosto, la individuazione e delimitazione
dell’area sottoposta a vincolo.
e. estinzione del reato.
Si evidenzia che il reato si è consumato nel dicembre 2004 e pertanto si è
prescritto nelle more del deposito della sentenza impugnata.

Il ricorrente chiede pertanto che questa corte voglia annullare con o senza
rinvio, la sentenza impugnata o, in subordine, dichiararsi estinto il reato per intervenuta prescrizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il proposto ricorso appare manifestamente infondato e ne va pertanto

dichiarata l’inammissibilità.

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tette.

2. In ordine alla doglianza circa la mancanza di motivazione, va eviden-

ziato che, ancorché in maniera scarna e schematica, la sentenza di secondo grado risponde a tutti i motivi di doglianza che le erano stati proposti con l’appello
del 30.11.2011 (sulla configurabilità dei vincoli paesaggistici e sull’insussistenza
del delitto di cui all’art. 483 cod. pen.).
Non va trascurato, peraltro che, legittimamente, in molti punti (cfr. pagg.
2, 3, 6) il provvedimento impugnato richiama per relationem quello di primo
g rado.
caso di doppia conforme affermazione di responsabilità, deve essere ritenuta
pienamente ammissibile la motivazione della sentenza d’appello
tionem

per rela-

a quella della sentenza di primo grado, sempre che le censure for-

mulate contro la decisione impugnata non contengano elementi ed argomenti
diversi da quelli già esaminati e disattesi.
Il giudice di secondo grado, infatti, nell’effettuare il controllo in ordine alla
fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è chiamato ad un puntuale riesame di quelle questioni riportate nei motivi di gravame,
sulle quali si sia già soffermato il prima giudice, con argomentazioni che vengano
ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate.
In una simile evenienza, infatti, le motivazioni della pronuncia di primo
grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un
risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento
per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di
primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze
dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (confronta l’univoca giurisprudenza di legittimità di questa Corte: per tutte Sez. 2 n. 34891 del
16.05.2013, Vecchia, rv. 256096; conf. sez. III, n. 13926 del 1.12.2011, dep.
12.4. 2012, Valerio, rv. 252615: sez. II, n. 1309 del 22.11.1993, dep. 4.2.
1994, Albergamo ed altri, rv. 197250).
Nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è
tenuto, inoltre, a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti
e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo
invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in
modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver
tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espres4

Va ricordato, infatti, che per giurisprudenza pacifica di questa Corte, in

samente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata
(cfr. sez. 6, n. 49970 del 19.10.2012, Muià ed altri rv.254107).
La motivazione della sentenza di appello è del tutto congrua, in altri termini, se il giudice d’appello abbia confutato gli argomenti che costituiscono
rossatura” dello schema difensivo dell’imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell’iter argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle que-

del 26.9.2002, dep. 14.1.2003, Delvai, rv. 223061).

3. Nel caso in esame, valutando l’unicum rappresentato dalle due sentenze di merito, emerge che vi è motivazione logica e coerente.
Già il giudice di primo grado (cfr. pag. 3 della sentenza del Tribunale di
Bari -sez. dist. di Altamura), giunge alla conclusione che può dirsi con certezza,
all’esito del supplemento istruttorio ex art. 507 cod. proc. pen., che già all’epoca
della presentazione della domanda di condono la particella su cui insisteva
l’immobile non era gravata da usi civici.
Quanto, però, alla sussistenza delle zone ZPS e p/SIC il medesimo giudice
di prime cure, richiamato da quello di appello (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata) ricorda come vi sia un consolidato orientamento della giurisprudenza di
legittimità di questa Corte secondo cui il concetto di “aree naturali protette” è più
ampio di quello comprendente le categorie dei parchi nazionali, riserve naturali
statali, parchi naturali interregionali, parchi naturali regionali e riserve naturali
regionali, in quanto ricomprende anche le zone umide, le zone di protezione speciale, le zone speciali di conservazione ed altre aree naturali protette. (sez. 3, n.
44409 del 7.10.2003, Natale, rv. 226400, fattispecie nella quale la Corte ha affermato la inclusione tra le aree protette della zona di protezione speciale denominata “Murgia Alta”).

stioni prospettate dalla parte (così si era espressa sul punto sez. 6, n. 1307

Le ZPS -per principio ormai consolidato- rientrano nell’ambito delle aree
protette, in quanto “parchi e riserve” (art. 142 co. 1, lett. f) dlgs 42/2004). E in
ogni caso -come rileva il giudice di prime cure (cfr. pag. 4 sent. cit.)- anche a
voler ipotizzare che non lo siano più per la successiva evoluzione normativa, lo
erano pacificamente quando furono realizzate le opere e quando fu presentata la
domanda di condono.
Ebbene, quanto al falso il giudice di prime cure rileva, sotto il profilo oggettivo, che la domanda di condono è atto destinato a provare la verità dei fatti
attestati, conseguendone la piena configurabilità della norma contestata.

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i(

Il Tribunale ricorda (pagg. 8-9) come in sede di domanda di condono il ricorrente abbia barrato la casella “no” relativa alla dicitura “immobile soggetto a
vincoli di tutela” e come ciò contrastasse con la sussistenza delle zone ZPS e
p/SIC e alle aree protette tutelate per legge.
4. Sotto il profilo soggettivo sia il giudice di prime cure che quello del
gravame(cfr. pag. 6 sentenza impugnata) ribadiscono in motivazione, in maniera
corente e argomentata, immune da censure sotto un profilo logico, che “nonostante l’indubbia complessità della materia in esame il soggetto interessato a ot-

tenere la sanatoria dell’immobile abusivo ha l’obbligo di conoscere le norme statali e regionali vigenti, anche in relazione alla dichiarata esistenza di vincoli a tutela, necessaria per accedere ai benefici del condono, sicché l’ipotetica mancata
conoscenza di tali dati normativi, non essendo determinata da ignoranza inescusabile, non può esimere da responsabilità penale il soggetto che falsamente dichiari l’inesistenza di detti vincoli”.
5. Quanto alla dedotta prescrizione del reato, la stessa, come rileva anche
il ricorrente, è maturata, seppure di qualche giorno, dopo la pronuncia della sentenza di appello.
Tuttavia non può porsi in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione
della manifesta infondatezza del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che
l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza
dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a
norma dell’art. 129 cod. proc. pen (Cass. pen., Sez. un., 22 novembre 2000, n.
32, De Luca, rv. 217266: nella specie la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. un., 2 marzo 2005, n. 23428, Bracale, rv. 231164, e Sez. un., 28 febbraio 2008, n. 19601,
Niccoli, rv. 239400; in ultimo Cass. pen. Sez. 2, n. 28848 dell’8.5.2013, rv.
256463).
6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo

6

t

eil

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende

Il

Così deciso in Roma il 31 gennaio 2014.

ncenzo P la

Il Presidente
Mario Gentile

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nsigliere e ensore

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