Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11872 del 31/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11872 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TAGLIENTE GIACOMO N. IL 16/05/1982
avverso la sentenza n. 2107/2012 CORTE APPELLO di LECCE, del
25/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 31/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Scu ntQ
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che ha concluso per ,e‘Q,,ef2,5k)
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DEPOSITATA IN CANCELLERIA

Udito, per parte civile, l’Avv

Data Udienza: 31/01/2014

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Lecce, con sentenza del 25/2/2013, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Brindisi – sez. distaccata di Francavilla Fontana – del 19.6. 2012, assolveva TAGLIENTE GIACOMO dal reato di effettuazione
di nuovi scarichi di acque reflue industriali ex artt. 110 c.p., 137 co. 1 D.Ivo
152.2006 contestatogli al capo b) dell’imputazione perché il fatto non sussiste e
rideterminava in euro 16.000 di ammenda, senza l’arresto, la pena per il reato di
realizzazione non autorizzata di una discarica in concorso ex artt. 110, 256 co. 3

zato in Oria fino al 26.11.2007.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, personalmente„ l’imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp.
att., cod. proc. pen.:
a.

violazione di cui all’articolo 606 lettera d) cod. proc. pen. per mancata

assunzione di prova decisiva richiesta dalla parte nell’atto di gravame.
Il ricorrente si duole che non sia stata accolta la richiesta di poter acquisire
le risultanze del campionamento effettuato dall’ARPA Puglia (Lecce) nei luoghi
oggetto di sequestro (e poi di dissequestro) come pacificamente emerso nel dibattimento e della cui attività si dà atto nel fascicolo del pubblico ministero procedente.
Le stesse, ad avviso del ricorrente, mai trasmesse all’A.G., risulterebbero dirimenti ai fini dell’esatta configurabilità o meno del reato per cui c’è stata condanna essendo stato dedotto in appello come, in realtà, ove si fosse trattato di
prodotto di scarto di lavorazione delle olive (sentina) l’imputato avrebbe avuto
tutto il diverso interesse a sversarle essendo prezioso fertilizzante (a costo zero)
per il quale aveva anche autorizzazione allo spandimento sui propri terreni.
b. Violazione dell’articolo 606 lettera d) cod. proc. pen. per contraddittorietà

d.lvo 152/2006 di cui al capo a), con non menzione della condanna. Fatto realiz-

e manifesta illogicità della motivazione.
Il ricorrente si duole di come a suo avviso la Corte territoriale motivi la riconducibilità della condotta in capo all’imputato basandosi sull’esclusiva dichiarazione del querelante, ritenuto assolutamente attendibile poiché “…

quel teste

aveva, comunque, interesse ad indicare il vero autore…” così ritenendo in re ipsa superata l’obiezione mossa nell’atto d’appello che riguardava proprio la credibilità di quel teste, basata invece sulla prova che lo stesso in dibattimento aveva
mentito dichiarandosi soggetto disinteressato. Viceversa, secondo il ricorrente,
c’era prova acquisita in atti che già in passato egli aveva proposto analoga istan-

2

4

I

za di punizione e si era costituito parte civile in danno dell’odierno ricorrente e
del di lui padre Benito.

c. Nullità della sentenza per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’articolo 606 comma primo lettera e) e 546
comma primo lettera e) cod. proc. pen. nonché per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche, di cui si deve tenere
conto nell’applicazione la legge penale ai sensi dell’articolo 606 comma primo
lettera e) in relazione agli articoli 256, comma 2, 112 e 137 comma 14 del decreto legislativo 152/2006.
La Corte territoriale é giunta ad affermare la penale responsabilità del ricorrente in ordine al reato di cui all’articolo 256 co. 2 Dlgs 152/2006 sulla scorta,
secondo quanto rileva il ricorrente, “della apodittica quanto lapidaria affermazione secondo cui il fatto risulta obiettivamente dai rilievi fotografici, i quali rendono
insostenibile che l’autore dello sversamento nella buca abbia inteso spandere il
liquido, di incerta natura, nel terreno anziché disfarsene considerandolo un rifiuto”
Tale affermazione secondo il ricorrente appare manifestamente illogica ed
assume caratteri di una motivazione apparente per varie ragioni.
In primo luogo perché la Corte territoriale non spiegherebbe minimamente
perché la documentazione fotografica, che immortala solo alcuni degli istanti in
cui si è svolta l’attività di spandimento dei reflui di vegetazione, renda insostenibile che tale attività sia stata effettivamente espletata. L’assunto che invece si
stesse spandendo sul proprio terreno le acque di vegetazione derivanti dalla molitura delle olive risulterebbe peraltro confermato dalla documentazione il cui
esame è stato pretermesso dal giudicante. Viene richiamata in proposito la normativa vigente e la giurisprudenza in relazione all’articolo 74 lett. p) del Dlgs
152/2006.
In particolar modo il ricorrente confuta il ragionamento della corte di merito
secondo cui la circostanza che i rilievi fotografici ritrarrebbero il Tagliente intento

i

a scavare una buca, escluderebbe di per sé che possa esserci stata un’attività di
spandimento a fini agronomici del liquame sul terreno.
A tutto voler concedere, in ogni caso, secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe al più dovuto ritenere configurata l’ipotesi di reato di cui all’art. 137
co. 14 dlgs 152/2006, che sanziona con l’ammenda da euro € 1500 a € 10.000
o con l’arresto fino ad un anno, l’utilizzazione agronomica di acque di vegetazione dei frantoi oleari effettuata “al di fuori dei casi e delle procedure previste dalla
disciplina regionale emanata sulla base dei d.m. di cui all’articolo 112 Dlgs 152/
2006 ovvero al di fuori dei casi delle procedure di cui alla normativa vigente”.

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i

In tal caso la pena irrogata al Tagliente avrebbe dovuto essere più contenuta in ragione della più favorevole cornice edittale prevista dalla predetta norma
incriminatrice rispetto alla ritenuta fattispecie di cui all’articolo 256 comma due
del decreto legislativo 152 del 2006.
Il ricorrente chiede pertanto che questa Corte voglia, in riforma dell’impugnata sentenza, annullarla.

CONSIDERATO IN DIRITTO

bile.

2. Quanto al motivo indicato in premessa sub a) la Corte territoriale ha compiutamente e logicamente motivato laddove ha evidenziato come, a fronte di
quanto emerge dai rilievi fotografici, apparisse irrilevante l’accertamento della
natura del liquido.
In tal senso si è fornita una risposta alla richiesta, peraltro generica, oggi riproposto come mancata assunzione di una prova decisiva, di poter acquisire le
risultanze del campionamento effettuato dall’ARPA Puglia (Lecce) sui luoghi n oggetto di sequestro.
La doglianza è generica in quanto il ricorrente avrebbe potuto e dovuto dar
conto di quali siano stati gli esiti di tale campionamento, onde consentire a questa Corte di legittimità la valutazione di decisività del mezzo di prova omesso.
Va, infatti, ricordato che è prova decisiva, la cui mancata assunzione è deducibile come motivo di ricorso per cassazione, solo quella prova che, non assunta o
non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (sez. 3, n.
27581 del 15.6.2010, M., rv. 248105; conf. Sez. 6 n. 14916 del 25.3.2010, Brustenghi e altro, rv. 246667).
Per “prova decisiva” – in altri termini- deve intendersi unicamente quella
che, non incidendo soltanto su aspetti secondari della motivazione (quali, ad
esempio, quelli attinenti alla valutazione di testimonianze non costituenti fondamento della decisione) risulti determinante per un esito diverso del processo, nel
senso che essa, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione,
si riveli tale da dimostrare che, ove fosse stata esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia (sez. 2, n. 16354 del 28.4.2006, Maio, rv.
234752).
La mancata assunzione di una prova decisiva può dunque costituire motivo di
ricorso per cassazione solo quando essa, confrontata con le argomentazioni addotte in motivazione a sostegno della decisione, risulti determinante per un esito
diverso del processo e non si limiti ad incidere su aspetti secondari della motiva4

1. Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto va dichiarato inammissi-

v

zione (sez. 2, n. 21884 del 20.3.2013, Cabras, rv. 255817).
Nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto, peraltro, a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a
prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi
implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente
n. 49970 del 19.10.2012, Muià ed altri rv.254107).
3. Manifestamente infondati sono anche i motivi indicati in premessa sub b)
e c) laddove il ricorrente, più che lamentare una contraddittorietà e/o manifesta
illogicità della motivazione ripropone una versione alternativa dei fatti, la cui valutazione non è consentita in questa sede, che altrimenti diverrebbe un terzo
grado di merito.
Va aggiunto che la Corte territoriale ha preso in considerazione (cfr. pag. 2
del provvedimento impugnato) le doglianze difensive circa l’attendibilità del teste
Chisena, ma le ha superate evidenziando come costui in ogni caso avesse interesse ad indicare il vero autore dello sversamento e come, peraltro, non fosse in
contestazione l’assunto del possesso del terreno da parte dell’odierno ricorrente.
Anche la contestazione -meramente fattuale- circa la valutazione che i giudici di merito hanno operato dei rilievi fotografici, appare generica.
Non dice, il ricorrente, su quali atti o circostanze non acquisite al processo, al
di là della mera affermazione di parte, si fondi l’ipotesi alternativa dello spandimento della sentina sul terreno.
Va ricordato, in proposito, che il ricorso per cassazione con cui si lamenta la
mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l’omessa
valutazione di circostanze acquisite agli atti non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece: a) identificare
l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato
probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione
svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del
dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su
cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette,
in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo
5

confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. sez. 6,

i

del provvedimento impugnato (sez. 6, n. 45036 del 2.12.2010, Damiano, rv.
249035). È inammissibile il ricorso per cassazione – è stato precisato in altra recente pronuncia di questa Corte- che deduca il vizio di manifesta illogicità della
motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro
integrale trascrizione o allegazione, così da rendere lo stesso autosufficiente con
riferimento alle relative doglianze (sez. 2, n. 26725 del 1.3.2013, Natale ed altri,
rv. 256723)
Il ricorso per cassazione con cui si contesti il travisamento di specifici atti del

cui il dato travisato inficia e compromette la tenuta logica e l’intera coerenza della
motivazione ma anche individuare in modo inequivoco e rappresentare in modo
specifico gli atti processuali su cui fa leva il motivo (sez. 6, n. 9923 del 5.12.2011
dep. 14.3.2012, S., rv. 252349).
Ciò non è avvenuto nel caso in esame, in cui manifestamente infondate, alla
luce delle risultanze del processo, appaiono anche le doglianze proposte in ordine
all’esatta qualificazione giuridica dei fatti con riferimento al reato di cui
all’imputazione.

4. Quanto alla richiesta del P.G. in ordine all’intervenuta prescrizione del reato , va rilevato che in contestazione vi è un reato contravvenzionale accertato il
26.11.2007 il cui termine massimo di prescrizione, in presenza di atti interruttivi,
è di cinque anni. Va tuttavia tenuto conto della sospensione della prescrizione
conseguente al rinvio del processo dal 17.11.2011 al 6.3.2012 (mesi tre e gg.
17) per l’astensione degli avvocati dalle udienze.
In proposito va ricordato che la sospensione del termine di prescrizione, come conseguenza della sospensione del processo, è limitata al periodo di sessanta
giorni, altre al tempo dell’impedimento, nel caso di rinvio dell’udienza per impedimento di una delle parti o di uno dei difensori, ma non anche in caso di rinvio
dell’udienza a seguito di richiesta dell’imputato o del suo difensore (così sez. 1, n.

processo deve, dunque, a pena di inammissibilità, non solo indicare le ragioni per

5956 del 4.2.2009, Tortorella, rv. 243374). Tuttavia vi è ormai univoca e condivisibile giurisprudenza di questa Suprema Corte secondo cui l’impedimento del difensore per contemporaneo impegno professionale, quantunque tutelato dall’ordinamento con il riconoscimento del diritto al rinvio dell’udienza, non costituisce
un’ipotesi di impossibilità assoluta a partecipare all’attività difensiva e non dà
luogo pertanto ad un caso in cui vengono in applicazione i limiti di durata della
sospensione del corso della prescrizione previsti dall’articolo 159, comma primo,
numero tre, del codice penale, nel testo introdotto dall’articolo 6 della legge 5 dicembre 2005 numero 251 (cfr. per tutte sez. 2, n. 17344 del 29.3.2011, Ciarlante, rv. 250076; conf. sez. 1 n. 44609 del 14.10.2008, Errante, rv. 242042).
6

4

In particolare, quanto all’astensione degli avvocati, è stato precisato che la
richiesta del difensore di differimento dell’udienza, motivata dall’adesione all’astensione collettiva dalle udienze, quantunque tutelata dall’ordinamento mediante
il riconoscimento del diritto al rinvio, non costituisce, tuttavia, impedimento in
senso tecnico, in quanto non discende da un’assoluta impossibilità a partecipare
all’attività difensiva, conseguendone che in tale ipotesi non si applica il limite
massimo di sessanta giorni di sospensione al corso della prescrizione, che resta
sospeso per tutto il periodo del differimento (così sez. 1, n. 25714 del

239890; sez. 4, n. 46359 del 24.10.2007, Antignani, rv. 239020; sez. 5 n. 18071
dell’8.2.2010, Piacentino e altri, rv. 247142; sez. 4 n. 10621 del 29.1.2013, M. ,
rv. 256067).
Il reato de quo si sarebbe, dunque prescritto il 15.3.2013, quindi successivamente alla data (25.2.2013) in cui è intervenuta la sentenza di secondo grado.
Di talché non porsi in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria
della prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della
manifesta infondatezza del ricorso. La giurisprudenza di questa Corte Suprema
ha, infatti, più volte ribadito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido
rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen (Sez. Un., 22
novembre 2000, n. 32, De Luca, rv. 217266: nella specie la prescrizione del reato
era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi,
Sez. un., 2 marzo 2005, n. 23428, Bracale, rv. 231164, e Sez. un., 28 febbraio
2008, n. 19601, Niccoli, rv. 239400; in ultimo Cass. pen. Sez. 2, n. 28848
dell’8.5.2013, rv. 256463).

5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc.

pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso in Roma il 31 gennaio 2014.

17/06/2008, Arena, 240460; conf. sez. 2 n. 20574 del 12.2.2008, Rosano, rv.

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