Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11866 del 30/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11866 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CALCAGNI MAURIZIO N. IL 12/02/1957
avverso la sentenza n. 6345/2008 CORTE APPELLO di MILANO, del
16/07/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. AMAR:se:Cc:A o
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che ha concluso per .12;covnt,e0203,,,,ns2,,ito
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Udito,

la parte civile, l’Avv

ti difensor Avv.

Data Udienza: 30/01/2014

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Milano, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente CALCAGNI MAURIZIO, con sentenza del 16/7/2012 in parziale riforma
della sentenza del Tribunale di Milano Sezione distaccata di Desio, sostituiva la
pena detentiva con la sanzione pecuniaria di euro 4.560,00 e confermava nel resto la sentenza impugnata.
Il Giudice di prime cure aveva dichiarato l’imputato responsabile del reato di

radiodiffusione senza avere la prescritta autorizzazione, accertato in Cusano Milanino il 13.7.2005, condannandolo alla pena di mesi 4 di reclusione con riconoscimento delle attenuanti generiche e doppi benefici di legge.

2.

Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione

l’imputato, con l’ausilio, del proprio difensore, deducendo il motivo unico di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.: violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 98, comma 3, D.L.vo n.257/2003.
Il ricorrente deduce l’insussistenza del reato, trattandosi di una responsabilità meramente amministrativa per esercizio di impianto difforme.
L’imputato, infatti, sarebbe stato titolare di concessione ministeriale, ossia di
un’autorizzazione generale, per esercitare l’attività di radiodiffusione sonora.
L’impianto disattivato e sequestrato, veniva esercitato, sia pure in assenza
di specifica autorizzazione amministrativa, da un’impresa radiofonica concessionaria e nell’ambito della concessione ad essa rilasciata, riguardante le provincie
di Varese, Como e Milano.
Tale illecito non configurerebbe l’ipotesi di reato prevista dal soprarichiamato articolo.

Pertanto chiede l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto va dichiarato inammissibile.

2. La doglianza odierna è già stata proposta in appello. E, nel rispondere
compiutamente alla stessa, la Corte territoriale ha precisato che gli impianti trasmettevano sulla frequenza dei 100.100 mhz.
L’imputato aveva chiesto di spostare lo studio di radiotrasmissione esistente
da Mariano Comense a Cusano Milanino, chiedendo anche l’accensione di un nuo-

2

cui all’art. 195 co.3 Dpr 157/73 per aver installato ed esercitato un impianto di

è

vo impianto in tale ultima località, sulla frequenza dei 103.900 megahertz.
L’Ispettorato aveva concesso solo il nulla-osta per lo spostamento della trasmissione, precisando che l’eventuale presenza di ponti radio di collegamento doveva essere espressamente autorizzata.
Peraltro – evidenzia la motivazione del provvedimento impugnato, come pure
quella del giudice di prime cure- quello di cui all’imputazione non era nemmeno
un semplice ponte radio, ma si trattava di un autonomo impianto di radiodiffusione, su diversa frequenza, rispetto a quella originaria dei 93.00 mhz, per la quale
era stato autorizzato lo spostamento della trasmissione.
Precisa ancora la Corte che era stata espressamente negata l’autorizzazione,
per una frequenza diversa, sui 103.900 mhz, con il provvedimento del 7.2.2005
dell’Ispettorato territoriale del Ministero delle Comunicazioni.
Non sussiste, pertanto, la lamentata violazione di legge.

3. Né può porsi in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della
prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che
l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei
motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude,
pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma
dell’art. 129 cod. proc. pen (Sez. Un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, rv.
217266: nella specie la prescrizione del reato era maturata successivamente alla
sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. un., 2 marzo 2005, n. 23428,
Bracale, rv. 231164, e Sez. un., 28 febbraio 2008, n. 19601, Niccoli, rv. 239400;
in ultimo Cass. pen. Sez. 2, n. 28848 dell’8.5.2013, rv. 256463).

4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso in Roma il 30 gennaio 2014.

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