Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11861 del 30/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11861 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

Data Udienza: 30/01/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COLESCHI GIANFRANCO N. IL 24/05/1958
avverso la sentenza n. 3671/2011 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
16/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. PtZdo i?oecoaliko
che ha concluso per 2′ ZAck,m,,,, t i,W,~ dà& stct:~0

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RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Firenze, pronunciando nei confronti dell’ odierno ricorrente COLESCHI GIANFRANCO, con sentenza del 16/2/2012 depositata il
21/2/2012, riformava la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Arezzo in
data 2/7/2010, dichiarando non doversi procedere in ordine a tutti i fatti ascrittigli a parte quello relativo al mese di luglio 2004 e rideterminando la pena in 15
giorni di reclusione ed C 240,00 di multa.
Il giudice di prime cure aveva dichiarato l’imputato responsabile del reato

nella legge 11/11/83 n.638, perché quale titolare della ditta “Nirvana”, ometteva
di versare all’INPS le ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni ai lavoratori dipendenti, relative ai mesi da gennaio ad aprile e luglio 2004,
ammontante complessivamente ad C 334,00, in Arezzo il 20/8/2004. In primo
grado il Coleschi era stato condannato alla pena di giorni 20 di reclusione ed C
330,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, pena sospesa e
condonata e non menzione della condanna.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, con
l’ausilio del proprio difensore, l’imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati
nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173,
comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen.: mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione.
Deduce il ricorrente che il Giudice avrebbe respinto i motivi di appello in relazione alla responsabilità penale dell’imputato affermando che la prova
dell’effettività delle retribuzioni è costituita, in assenza di diversi e documentati
elementi di segno opposto dall’invio all’INPS dei modelli DM/10.
Tale circostanza, secondo la difesa dell’imputato, non può avere valore probatorio dell’effettiva corresponsione delle retribuzioni.
b. violazione dell’art.606 comma 1, lett. d) cod. proc. pen. mancata assunzione di prova decisiva.
Il Giudice di appello avrebbe ritenuto provata la responsabilità penale del
Coleschi in relazione al ricevimento della notifica della lettera di contestazione,
da cui decorre il termine di tre mesi per il versamento delle ritenute.
Secondo quanto prospettato dal ricorrente, invece, non sarebbe mai stato
provato che egli abbia ricevuto la notifica.
c. violazione dell’art. 606 comma 1, lett. b) cod. proc.pen.: inosservanza e/o
erronea applicazione degli art. 157 e ss. Cod. pen. in relazione all’art.2 comma 1
bis del D.L. 12/9/1983 n.463 convertito in legge 11/11/1983 n.638.

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previsto dagli artt. 81 cpv. cod. pen. e 2 comma 1, del D.L. n.463/83 convertito

La Corte di Appello avrebbe ritenuto prescritti i singoli reati di omesso versamento delle ritenute, ad eccezione di quello relativo al versamento delle ritenute del mese di luglio 2004, da effettuarsi nel termine del 16 agosto 2004.
La notifica della sentenza all’imputato avveniva solo il 20/6/2012, data successiva al 16/5/2012, termine ultimo per la prescrizione e la susseguente estinzione del reato commesso in data 16/8/2004.
Pertanto il reato sarebbe da considerarsi estinto.
Chiedeva, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con assoluzio-

soluzione per non aver commesso il fatto, sempre in subordine, accertato il decorso del termine prescrizionale, cassare senza rinvio la sentenza e dichiararsi
non doversi procedere per avvenuta estinzione del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il proposto ricorso è manifestamente infondato e va pertanto dichiarato inammissibile.

2. Quanto alla individuazione dell’elemento costitutivo del reato di cui
all’art. 2 commi 1 e lbis. D.L. n. 463/1983 (convertito nella legge 638/83 e succ.
mod.), le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U. n. 27641 del 28.5.2003, Silvestri, rv. 224309; conf. sez. 3, n. 35948 del 30.5.2003. Paletti, rv. 225552; sez.
3, n. 42378 del 19.9.2003, Soraci, rv. 226551) hanno affermato che il reato di
cui all’art. 2 della legge 11 novembre 1983 n. 638 non è configurabile in assenza
del materiale esborso delle relative somme dovute al dipendente a titolo di retribuzione.
E’ stato, tuttavia, anche precisato che la prova dell’effettiva corresponsione delle retribuzioni nel processo per il reato di cui ci si occupa può essere tratta
dai modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso l’istituto previdenziale (cosiddetti modelli DM 10), sempre che non
risultino elementi contrari. (cfr. Sez. 3, n. 46451 del 7.10.2009, Carella, rv.
245610; Sez. 3, n. 14839 del 4.3.2010, Nardiello, rv. 246966) secondo cui l’effettiva corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti, a fronte di
un’imputazione di omesso versamento delle relative ritenute previdenziali ed assistenziali, può essere provata sia mediante il ricorso a prove documentali, come i
cosiddetti modelli DM/10 trasmessi dal datore di lavoro all’INPS, e testimoniali,
sia mediante il ricorso alla prova indiziaria/.
La Corte di merito ha fatto puntuale applicazione di tale regola laddove ha
accertato la prova della corresponsione e della retribuzione sulla scorta della produzione dei modelli DM 10; va peraltro evidenziato che nel corso del dibattimento

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ne perché il fatto non sussiste, in subordine la cassazione della sentenza con as-

di primo grado era stato anche sentito come teste il funzionario INPS Giorgi.
Di fronte a tale percorso argomentativo, che dunque esiste ed è logicamente
coerente, nessun sindacato è consentito in questa sede.
Va ricordato, infatti, che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della
motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la
oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie,

risprudenza di legittimità ha affermato che l’illogicità della motivazione per essere
apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale
da risultare percepibile ictu muti, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo
essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime
incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cass. Sez. 3, Sentenza n. 35397 del 20/06/2007 Ud. dep. 24/09/2007; Cassazione Sezioni Unite n. 24/1999, 24.11.1999, Spina, RV. 214794).

3. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso in quanto l’imputato ha ricevuto la notifica dell’avviso di accertamento con raccomandata con ricevuta di ritorno ricevuta il 21/10/2005 (atti prodotti all’udienza del
2/7/2010 ali. f.14).

4. Quanto alla dedotta intervenuta prescrizione , va evidenziato che, tenuto conto della sospensione di tre mesi ex art. 2 co. 1 bis e quater del DL
s
12.9.1983 conv. .in I. 11.11.1983 n. 638, il termine di prescrizione dei residui
reati spirava, come peraltro riconosce anche il ricorrente, il 16.5.2012, cioè in
una data successiva alla pronuncia della sentenza impugnata.

cfr. Cass. sez. terza 19.3.2009 n. 12110; Cass. 6.6.06 n. 23528). Ancora, la giu-

Né può porsi in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della
prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che
l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza
dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a
norma dell’art. 129 cod. proc. pen (Cass. pen., Sez. un., 22 novembre 2000, n.
32, De Luca, rv. 217266: nella specie la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. un., 2 mar4

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zo 2005, n. 23428, Bracale, rv. 231164, e Sez. un., 28 febbraio 2008, n. 19601,
Niccoli, rv. 239400; in ultimo Cass. pen. Sez. 2, n. 28848 deW8.5.2013, rv.
256463).

5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen,
non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso in Roma il 30 gennaio 2014
Ilfnsigliere este ore

Il Presidente

sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo

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