Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11857 del 04/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11857 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto
da
Militello Vincenzo, nato il 24 giugno 1981
Catalano Luigi, nato il 12 giugno 1973
Palazzotto Antonino, nato il 29 maggio 1987
Patti Mario, nato il 9 novembre 1987
Lo Medico Rosa Maria, nata 1’8 settembre 1979
Di Paola Domenico, nato il 16 giugno 1979
Gagliano Benedetto, nato il 7 agosto 1982
Martorana Emanuele, nato il 18 aprile 1988
Sancilles Paolo, nato il 10 febbraio 1983
avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo del 17 aprile 2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale, Nicola
Lettieri, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito l’avv. Maria Donatella Aiello per gli imputati Palazzotto, Lo Medico, Di
Paola, Gagliano.

Data Udienza: 04/12/2013

RITENUTO IN FATTO
1.

– Con sentenza del 17 aprile 2013 la Corte d’appello di Palermo ha

parzialmente riformato la sentenza del GUP del Tribunale di Palermo del 21 giugno
2012, con la quale – per quanto qui rileva – gli imputati odierni ricorrenti erano stati
condannati, a diverso titolo, per reati ex art. 73 e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990,
diversamente circostanziati.
2.

– Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il

comma 5, e 74, commi 1, 2, 6 del d.P.R. n. 309 dei 1990, ritenuta la circostanza
attenuante di cui all’articolo 73, comma 5, prevalente sulla contestata recidiva, con
conseguente riduzione della pena inflitta in primo grado ad anni 3, mesi 10, giorni 20
di reclusione ed euro 4800,00 di multa.
2.1. – Con un primo motivo di doglianza, si rileva la manifesta illogicità della
motivazione quanto al reato associativo. Si lamenta, in particolare, che nell’impugnata
sentenza si sarebbe dedotta l’appartenenza del ricorrente al sodalizio criminoso dalle
dichiarazioni accusatorie di un presunto assuntore di stupefacenti, che aveva riferito
che l’imputato gli aveva detto di rivolgersi ad un altro coimputato per l’acquisto di
stupefacenti, perché era «la stessa cosa». La sentenza impugnata avrebbe omesso i
necessari accertamenti in ordine all’attendibilità del propalante, che aveva ragioni di
astio nei confronti dell’imputato; né sarebbero sufficienti a integrare tali dichiarazioni
accusatorie il sequestro di hashish verificatosi nel 2008, e le operazioni di ascolto, che
riguardavano altri imputati. Vi sarebbe, in particolare, mancanza di motivazione circa
la riconducibilità dei contenuti delle conversazioni intervenute tra soggetti diversi alla
persona del ricorrente, laddove si era, invece, giunti ad identificare quest’ultimo con
un soggetto soprannominato “il grosso”, cui viene attribuito un ruolo apicale
nell’associazione ipotizzata.
2.2. – Con un secondo motivo di doglianza, si deduce la manifesta illogicità
della motivazione quanto ad un’ipotesi di cessione di sostanza stupefacente accertata
nel giugno 2009, perché anche la prova di tale episodio sarebbe basata sulle
dichiarazioni del presunto assuntore, il quale avrebbe fatto riferimento, peraltro, a un
episodio di alcuni anni prima, che non combaciava con quello oggetto di imputazione
nel presente procedimento.
2.3. – Si prospetta, in terzo luogo, la manifesta illogicità della motivazione
quanto alla determinazione della pena, sul rilievo che la Corte d’appello, pur ritenendo
sussistente l’ipotesi attenuata di cui al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del

difensore, l’imputato Militello Vincenzo, condannato per i reati di cui agli artt. 73,

1990, ha ribadito la medesima determinazione della pena effettuata in primo grado,
utilizzando tale reato quale reato-base e ritenendolo, perciò, più grave rispetto
all’ipotesi associativa contestata all’altro capo di imputazione. Poiché nel caso di
specie l’odierno ricorrente è stato indicato nella parte motiva come uno degli
organizzatori dell’associazione, la pena cui rinviare sarebbe quella di cui al primo
comma dell’art. 416 cod. pen., più elevata rispetto a quella prevista dal comma 5
dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990.

Luigi, per il quale la Corte d’appello, esclusa l’aggravante di cui al comma 3 dell’art.
74 del d.P.R. n. 309 del 1990, ha ridotto la pena inflitta ad anni 3, mesi 10, giorni 20
di reclusione ed euro 4800,00 di multa.
3.1. – Si deducono, in primo luogo, la violazione della disposizione
incriminatrice, nonché la mancanza e manifesta illogicità della motivazione. Si
sostiene, in particolare, che, nonostante il reato associativo sia contestato con
riferimento al periodo dal giugno 2008 al luglio 2009, la Corte distrettuale avrebbe
omesso di motivare come il ridotto lasso temporale sia di per sé sufficiente a ritenere
sussistente il reato associativo stesso. Si lamenta, inoltre, che la Corte d’appello
avrebbe immotivatamente esteso tale arco temporale sulla base delle dichiarazioni
rese dai tossicodipendenti escussi dalla polizia giudiziaria. Né elementi di prova a
carico dell’imputato avrebbero potuto essere desunti dalla conversazione telefonica del
28 aprile 2009, con un interlocutore che era stato trovato in possesso di appena 1 g di
hashish. Anche l’attribuzione all’imputato del possesso di 3 g di cocaina a seguito della
perquisizione dell’Il giugno 2009 sarebbe non univoca.
3.2. – Con un secondo motivo di doglianza, si lamentano la violazione degli artt.
62 bis, 110, 133 cod. pen., nonché la manifesta illogicità della motivazione circa le
circostanze e il trattamento sanzionatorio. Non si sarebbe considerato, in particolare,
che si trattava di fattispecie di modestissima gravità, poste in essere, in ipotesi, in un
ambito territoriale circoscritto in un lasso temporale contenuto; né si sarebbe
considerata la precaria condizione economica dell’imputato, soggetto dichiarato fallito
nel 2006 e ammesso al patrocinio a spese dello Stato. L’imputato avrebbe, del resto,
un unico precedente penale riferito a fatti risalenti nel tempo.
4. – La sentenza è stata impugnata personalmente da Palazzotto Antonino,
rispetto al quale la Corte d’appello ha escluso la ritenuta recidiva e la circostanza
aggravante di cui al comma 3 dell’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 e ha ridotto la
pena ad anni 3, mesi 2 di reclusione ed euro 3000,00 di multa.

3. – La sentenza è stata impugnata, tramite il difensore, anche da Catalano

Si deducono, con unico motivo di doglianza, l’erronea applicazione della
disposizione incriminatrice, nonché la mancanza e manifesta illogicità della
motivazione. Vi sarebbero, in particolare, rilevanti incongruenze in due passaggi
fondamentali: a) laddove si ritiene provata la partecipazione al sodalizio criminoso
sulla base del solo fatto che i coimputati si erano prestati vicendevolmente a svolgere
attività di consegna delle dosi a singoli acquirenti; b) laddove si ritengono provate
ipotesi di spaccio assai risalenti nel tempo, sulla base di generiche dichiarazioni rese

data dal giugno 2008 solo sulla base di un sequestro di stupefacenti operato in tale
periodo, non tenendo conto dell’intervallo tra il giugno 2008 e le operazioni di
captazione, iniziate solo nell’aprile del 2009. Con particolare riferimento al ricorrente,
le intercettazioni coprirebbero, poi, il solo periodo di tempo dall’Il maggio 2009 al 14
giugno 2009, nell’ambito del quale risulterebbero contatti sporadici con alcuni soli dei
coimputati. Si lamenta, inoltre, che non sarebbero stati indicati dagli inquirenti i criteri
utilizzati per l’identificazione del ricorrente nel soggetto a nome Tony che risulta dai
dialoghi intercettati.
5. – La sentenza è stata impugnata anche da Di Paola Domenico, condannato in
primo grado, con statuizione confermata in appello, ad anni 2, mesi 2 di reclusione ed
euro 3000,00 di multa.
5.1. – Si deduce, in primo luogo, la manifesta illogicità della motivazione,
perché la ritenuta responsabilità penale sarebbe stata desunta dalle dichiarazioni di
tale D’Alessandro, utilizzando quali riscontri le conversazioni telefoniche intercettate,
da cui però non può dirsi certezza sull’identità degli interlocutori. Le propalazioni
accusatorie sarebbero, inoltre, generiche in ordine al periodo delle consegne di
stupefacente, alle trattative, ai prezzi. In particolare, la difesa afferma che
D’Alessandro fa riferimento a sei mesi prima del 9 luglio 2009, senza specificare se gli
episodi di spaccio sono stati uno o due. Il ricorrente nega, inoltre, che la voce
intercettata assomigli alla sua, in mancanza di perizia fonica.
5.2. – Si rilevano, in secondo luogo, la violazione dell’art. 73, comma 5, del
d.P.R. n. 309 del 1990 e degli artt. 62 bis e 69 cod. pen., nonché la manifesta
illogicità della motivazione quanto al trattamento sanzionatorio. In particolare,
quest’ultimo avrebbe dovuto essere mitigato proprio a seguito della concessione della
circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 5, richiamato.

dai presunti acquirenti. In particolare, si sarebbe ritenuto sussistente il sodalizio a far

6.

Benedetto, condannato in primo grado, con statuizione confermata in appello, alla
pena di anni 2, mesi 8 di reclusione ed euro 3200,00 di multa.
Con unico motivo di doglianza, il ricorrente rileva la violazione degli artt. 69 e
133 cod. pen., perché la pena avrebbe dovuto essere applicata nel minimo edittale,
tenendo conto del modesto valore economico delle dosi cedute, della mancanza di
analisi chimiche sulla percentuale di principio attivo, del modesto al danno economico.
7. – Tramite il difensore, la sentenza è stata impugnata anche da Martorana
Emanuele, assolto in appello da uno dei capi di imputazione ex art. 73 del d.P.R. n.
309 del 1990, con conseguente riduzione della pena ad anni 1 e mesi 4 di reclusione
ed euro 3000,00 di multa.
7.1. – Con un primo motivo di doglianza, si deduce l’erronea applicazione
dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, per mancanza degli elementi oggettivi e
soggettivi. Si sostiene che, l’unica cessione certa sarebbe quella effettuata nei
confronti di Martorana Francesca, per un valore di circa euro 10,00. Le dichiarazioni di
quest’ultima, peraltro, non sarebbero attendibili, perché smentite da Cirrincione Maria,
la quale spesso accompagnava la Martorana ad acquistare lo stupefacente e mai
aveva incontrato Martorana Emanuele.
7.2. – Si deduce, in secondo luogo, l’erronea applicazione dell’art. 80, comma
1, lettera a), del d.P.R. n. 309 del 1990, relativamente all’ipotizzata consegna lo
stupefacente a un soggetto minorenne. Secondo la difesa, tale circostanza aggravante
dovrebbe ritenersi esclusa perché il minorenne aveva dichiarato che l’imputato non gli
aveva mai consegnato alcuno stupefacente.
8. – La sentenza è stata impugnata, tramite il difensore, anche da Sancilles
Paolo, rispetto al quale la Corte d’appello ha ritenuto la circostanza attenuante di cui
all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 prevalente sulla contestata recidiva e
ha conseguentemente ridotto la pena ad anni 3 di reclusione ed euro 3000,00 di
multa.
8.1. – Con un primo motivo di doglianza, si rileva l’omessa valutazione
dell’esclusione ab origine della sussistenza della contestata recidiva.
8.2. – Si deducono, in secondo luogo, la mancanza e la manifesta illogicità della
motivazione quanto ai due episodi di cessione di sostanza stupefacente dei quali
l’imputato è stato ritenuto responsabile. La Corte avrebbe, in particolare, omesso di
motivare in ordine alla collocazione temporale di quegli episodi e in ordine
all’attendibilità dei dichiaranti. La difesa evidenzia che questi avevano precisato di

.

– La sentenza è stata impugnata personalmente anche da Gagliano

avere acquistato negli anni precedenti più volte sostanza stupefacente dall’imputato
ed erano interessati al suo arresto, perché l’arresto avrebbe reso inesigibili i loro debiti
pregressi nei confronti dell’imputato. Solo Di Salvo Alessandro avrebbe fornito il
numero di un’utenza astrattamente riconducibile all’imputato, sulla quale non erano
stati fatti, però, riscontri utili al fine di accertarne l’effettiva riconducibilità. Sotto il
profilo sanzionatorio, poi, si lamenta che l’aumento in continuazione per la sola ipotesi
di cessione di sostanza stupefacente sarebbe più elevato rispetto a quanto disposto

la partecipazione all’associazione ex art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990.
9. – Tramite il difensore, la sentenza è stata impugnata anche dall’imputato
Patti Mario, in relazione al quale, escluse la recidiva e l’aggravante di cui al comma 3
dell’art. 74 del d.p.r. n. 309 del 1990, la pena è stata ridotta ad anni 3, mesi 2 di
reclusione ed euro 3000,00 di multa dalla Corte d’appello.
9.1. – Si deduce, in primo luogo, la manifesta illogicità della motivazione quanto
alla ritenuta ipotesi associativa, sul rilievo che non sarebbe indicato dalla sentenza il
tipo di apporto fornito dall’imputato al sodalizio. La Corte distrettuale, in particolare,
ricaverebbe l’esistenza di un’associazione fra il giugno 2008 e il luglio 2009 sulla base
delle conversazioni telefoniche intercettate e delle dichiarazioni rese dai presunti
assuntori di sostanza stupefacente, senza rapportare tali argomentazioni alle singole
posizioni degli imputati e senza considerare che le intercettazioni telefoniche relative
al ricorrente si sarebbero sviluppate in un arco temporale assai ristretto, dal 20
maggio 2009 al 7 giugno 2009. Non vi sarebbe, comunque, prova della stabilità del
vincolo ma, al più, di una partecipazione dell’imputato ad un’attività di spaccio a titolo
di concorso.
9.2. – Il secondo motivo di doglianza è riferito alla manifesta illogicità della
motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio e alle circostanze. Secondo la
difesa, la condotta del ricorrente, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte
territoriale, non è indicativa di una spiccata capacità a delinquere. L’attività
investigativa a carico di Patti sarebbe, anzi, cessata subito dopo l’arresto di
Palazzotto, a conferma del fatto che già la polizia giudiziaria aveva ipotizzato una
mancanza di capacità di iniziativa in capo a Patti. Tali elementi, successivi al reato,
avrebbero dovuto essere presi in considerazione ai fini della concessione delle
circostanze attenuanti generiche.

per la continuazione in relazione ai coimputati, per un’ipotesi di reato più grave, quale

10. – La sentenza è stata impugnata personalmente anche da Lo Medico Rosa
Maria, difesa d’ufficio, in relazione alla quale manca la prova della notificazione
dell’avviso di fissazione dell’odierna udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
11. – Preliminarmente deve essere disposta la separazione della posizione di Lo
Medico Rosa Maria, con la formazione del nuovo fascicolo, per la mancanza di prova
della notificazione dell’avviso di fissazione dell’odierna udienza, ai sensi dell’art. 613,

sottoposti alla misura cautelare degli arresti domiciliari di prossima scadenza rende
inopportuno, infatti, un differimento della trattazione dell’intero procedimento.
12. – I restanti ricorsi sono inammissibili.
Quanto alle censure proposte – all’esame delle quali si procederà con
riferimento alle singole posizioni dei ricorrenti – va osservato, in via generale, che
esse, indipendentemente dalla formale qualificazione giuridica loro conferita,
appaiono, per lo più, volte a contestare l’apparato motivazionale della sentenza
impugnata. Nella maggior parte dei casi, a fronte della ricostruzione e della
valutazione della Corte d’appello, i ricorrenti non offrono la compiuta rappresentazione
e dimostrazione, di alcuna evidenza (pretermessa ovvero infedelmente rappresentata
dal giudicante) di per sé dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa,
tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto
argomentativo della decisione impugnata, per l’intrinseca incompatibilità degli
enunciati. Essi si limitano, cioè, a riproporre, senza nuove argomentazioni in punto di
diritto e in punto di fatto, censure già proposte in appello e motivatamente rigettate.
Devono, pertanto, essere preliminarmente richiamati i consolidati e noti
orientamenti di questa Corte circa la portata dell’art. 606, comma 1, lettera e) , e
comma 3, cod. proc. pen.
12.1. – Va dunque ricordato, in primo luogo, che il controllo sulla motivazione
demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione dell’espressa
previsione normativa dell’art. 606, comma 1, lettera

e) , cod. proc. pen., al solo

accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento
a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa
lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell’autonoma
scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei
fatti. Ne consegue che, laddove le censure del ricorrente non siano tali da scalfire la
logicità e la linearità della motivazione del provvedimento impugnato, queste devono

comma 4, cod. proc. pen., a detta imputata, difesa d’ufficio. La presenza di coimputati

ritenersi inammissibili, perché proposte per motivi diversi da quelli consentiti, in
quanto non riconducibili alla categoria generale di cui al richiamato art. 606, comma
1, lettera e), cod. proc. pen. (ex plurimis, sez. fer., 2 agosto 2011, n. 30880; sez. 4,
20 luglio 2011, n. 32878; sez. 1, 14 luglio 2011, n. 33028).
12.2. – Quanto, poi, allo specifico profilo della carenza di motivazione, deve
rammentarsi il principio secondo cui il giudice del gravame non è tenuto a rispondere
analiticamente a tutti i rilievi mossi con l’impugnazione, purché fornisca una

di tali rilievi (ex plurimis, sez. 4, 17 settembre 2008, n. 38824; sez. 6, 14 giugno
2004, n. 31080); con la conseguenza che, laddove i motivi di ricorso per cassazione si
limitino a ricalcare sostanzialmente le censure già motivatamente disattese in secondo
grado, questi devono essere ritenuti inammissibili, perché diretti a sollecitare una
rivalutazione del merito, preclusa in sede di legittimità.
13. – Il ricorso proposto nell’interesse di Militello Vincenzo è inammissibile.
13.1. – Il primo motivo di doglianza – con cui si rileva la manifesta illogicità
della motivazione quanto al reato associativo – è inammissibile, perché
sostanzialmente diretto ad ottenere da questa Corte una rivalutazione del merito della
responsabilità penale attraverso la riproposizione di argomentazioni già esaminate e
ritenute infondate dai giudici di secondo grado.
La decisione gravata risulta, in ogni caso, adeguatamente e coerentemente
motivata, perché desume la responsabilità penale dell’imputato da elementi
correttamente ritenuti univoci e concordanti. Si evidenzia, in particolare, che: a) dalla
conversazione del 4 giugno 2009 emerge un accordo per la vendita di stupefacente tra
l’imputato e il coimputato Palazzotto; b) l’imputato è stato oggetto di riconoscimento
fotografico; c) la sua funzione apicale nel sodalizio criminoso è desumibile dal
contenuto di svariate intercettazioni telefoniche (analiticamente riportate alle pagine
13-15 della sentenza impugnata), dalle quali emerge un suo ruolo di coordinamento di
più soggetti nel rifornimento dello stupefacente, nell’impartire disposizioni in merito
alla sua destinazione, nel determinare i quantitativi oggetto di spaccio, nel riferirsi ai
luoghi e ai destinatari della consegna; d) la sua corrispondenza con il soggetto detto
“Il Grosso” emerge con chiarezza dalla conversazione del 3 giugno 2009, la quale
proviene, per l’appunto, da un’utenza in uso a Militello Vincenzo.
13.2. – Inammissibile, per analoghe ragioni, è il secondo motivo di doglianza,
con cui si deduce la manifesta illogicità della motivazione quanto ad un’ipotesi di
cessione di sostanza stupefacente accertata nel giugno 2009, sul rilievo che la prova
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motivazione intrinsecamente coerente e tale da escludere logicamente la fondatezza

di tale episodio sarebbe basata sulle dichiarazioni del presunto assuntore, il quale
avrebbe fatto invece riferimento a un episodio di alcuni anni prima, che non
combaciava con quello oggetto di imputazione nel presente procedimento.
La difesa del ricorrente si limita, infatti, a ribadire anche sotto tale profilo, le
doglianze già proposte circa la valenza probatoria delle dichiarazioni rese dal presunto
acquirente Meli Pietro, sentito a sommarie informazioni il 19 giugno 2009, il quale
aveva specificamente riferito di avere acquistato da Palazzotto stupefacente su

riscontro alle dichiarazioni di Meli, anche sotto il profilo della collocazione temporale
degli episodi di spaccio, costituito dalla conversazione telefonica del 4 giugno 2009,
nel corso della quale lo stesso Meli prendeva accordi con Palazzotto – soggetto
referente, come appena visto, di Militello – per acquistare sostanza stupefacente
nell’immediatezza e, dunque, in un’epoca corrispondente a quella indicata nel capo
d’imputazione.
13.3. – Del pari inammissibile è il terzo motivo di ricorso, con cui si prospetta la
manifesta illogicità della motivazione quanto alla pena, sul rilievo che la Corte
d’appello, pur ritenendo sussistente l’ipotesi attenuata di cui al comma 5 dell’art. 73
del d.P.R. n. 309 del 1990, ha ribadito la medesima quantificazione effettuata in primo
grado, utilizzando tale reato quale reato-base e ritenendolo, perciò, più grave rispetto
all’ipotesi associativa contestata all’altro capo di imputazione.
Deve, infatti, rilevarsi, sul punto, che il massimo edittale per il reato di cui
all’art. 74, comma 6, del d.P.R. n. 309 del 1990 è di 5 anni di reclusione per i
partecipanti all’associazione, ai sensi dell’articolo 416, secondo comma, cod. pen. Il
reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 è punito, invece, con un
massimo di 6 anni di reclusione ed euro 26.000,00 di multa. Correttamente, dunque,
la Corte d’appello ha considerato quest’ultimo quale reato-base ai fini dell’applicazione
dell’aumento per la continuazione. Né l’imputato ha alcun interesse a farsi riconoscere
quale capo, promotore, od organizzatore dell’associazione ai sensi dell’art. 416, primo
e terzo comma, cod. pen., perché un tale riconoscimento potrterebbe ad un aumento
sia del massimo edittale, nella misura di 7 anni di reclusione, sia del minimo edittale,
che non potrebbe scendere al di sotto dei 3 anni. La discrepanza fra dispositivo e
motivazione evidenziata dal ricorrente – secondo cui la Corte d’appello non lo ha
ritenuto capo od organizzatore dell’associazione ai fini della pena – assume, dunque,
rilievo esclusivamente a favore dell’imputato; con la conseguenza che egli non ha
alcun interesse concreto a farla valere.

indicazione di Militello. La stessa difesa trascura, però, di considerare il dato di

14. – Il ricorso proposto nell’interesse di Catalano Luigi è inammissibile.
14.1. – Circa il reato associativo, la difesa ripropone- con il primo motivo di
ricorso doglianza – censure già esaminate e disattese in grado di appello.
In relazione alla durata e alle caratteristiche dell’associazione criminale, la Corte
distrettuale ribadisce – ponendosi in continuità con le argomentazioni adottate dal
GUP – che essa agiva in sede locale ed aveva creato una stabile clientela fra i
consumatori di droga. Vi erano due distinti sottogruppi che si occupavano uno

compiti e ruoli, tanto che lo spaccio al minuto era svolto in nome e per conto
dell’associazione dai coimputati che, di volta in volta, si sostituivano a vicenda, tanto
che gli stessi acquirenti li ritenevano del tutto fungibili.
Quanto alla specifica posizione del ricorrente, il suo ruolo apicale si ricava dal
contenuto delle intercettazioni telefoniche, dalle quali risulta che egli impartisce
direttive agli spacciatori, anche tenendo una rudimentale contabilità scritta, e ad altri
soggetti a lui sottordinati; tanto che uno di questi, fermato dai carabinieri e condotto
in caserma, si occupa di avvisarlo tempestivamente. Lo stesso imputato raccoglie,
inoltre, le lamentele della clientela ed è indicato da molti degli acquirenti come punto
di riferimento dello spaccio. Correttamente la Corte distrettuale ritiene tale compendio
probatorio ampio e articolato, sia quanto al reato associativo sia quanto ai reati scopo
e ne fa una lettura complessiva e unitaria, valorizzando la corrispondenza tra le
dichiarazioni accusatorie degli acquirenti e il sequestro di quantitativi di droga in
circostanze di tempo di luogo tali da far reputare certa la loro riconducibilità
all’imputato (pagg. 8-10 della sentenza impugnata).
14.2. – Del pari inammissibile è il secondo motivo di doglianza, con cui si
lamentano la violazione degli artt. 62 bis, 110, 133 cod. pen., nonché la manifesta
illogicità della motivazione circa le circostanze e il trattamento sanzionatorio.
Disattendendo le generiche critiche della difesa relative alla mancata
considerazione della personalità dell’imputato, la Corte d’appello ha, con corretto

iter

logico, preso le mosse dai gravi e specifici precedenti penali dell’imputato per negare
la concessione delle circostanze attenuanti generiche, addivenendo, comunque, ad
una riduzione della pena in conseguenza dell’esclusione dell’aggravante di cui all’art.
74, comma 3, del d.P.R. n. 309 del 1990, confermando quanto al resto le valutazioni
del giudice di primo grado, ritenute, anzi, particolarmente favorevoli all’imputato.
15. – Anche il ricorso di Palazzotto Antonino è inammissibile.

prevalentemente di hashish e l’altro prevalentemente di cocaina, con suddivisione di

È sufficiente richiamare, sul punto, le considerazioni appena sopra svolte (sub
14.1) relativamente alla piena adegutezza della motivazione adottata dalla Corte
d’appello circa la sussistenza dell’associazione criminale. Con specifico riferimento alla
posizione dell’imputato, sono stati correttamente valorizzati gli elementi di prova
rappresentati dalle dichiarazioni degli acquirenti e dal riconoscimento fotografico. Tali
dichiarazioni sono specifiche sia quanto alla reiterazione dell’attività di spaccio sia
quanto al collegamento tra l’imputato e gli associati, perché fanno puntuale

sodalizio. Gli stessi dichiaranti hanno, inoltre, dettagliatamente spiegato il significato
di alcuni termini criptici utilizzati nelle conversazioni e riferiti allo stupefacente e ai
suoi quantitativi.
Nessun rilievo può essere, dunque, attribuito alle doglianze difensive già
proposte in appello – e qui reiterate – circa il riconoscimento dell’imputato e la
riconducibilità a quest’ultimo all’attività di spaccio, trattandosi di profili che emergono
con sufficiente chiarezza dal complesso del quadro istruttorio.
16. – Inammissibile è, poi, il ricorso presentato personalmente da Di Paola
Domenico, al quale è ascritto il reato di spaccio di cocaina di cui al capo 8
dell’imputazione. Si tratta, anche in questo caso, della mera riproposizione di
doglianze già ampiamente esaminate e disattese in grado d’appello.
16.1. – Quanto al primo motivo – riferito alla responsabilità penale – è
sufficiente, perciò, richiamare la motivazione adottata dai giudici di secondo grado, la
quale si fonda sulle dichiarazioni rese da D’Alessandro, soggetto correttamente
ritenuto attendibile sulla scorta del riconoscimento fotografico da lui operato e delle
intercettazioni, da cui emergono contatti finalizzati alla cessione di stupefacenti tra Di
Paola e Palazzotto.
16.2. – Quanto al secondo motivo di ricorso – relativo alla violazione dell’art.
73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 e degli artt. 62 bis e 69 cod. pen., nonché
alla manifesta illogicità della motivazione quanto al trattamento sanzionatorio – i
rilievi difensivi risultano del tutto generici, perché basati su indimostrate asserzioni
circa la natura del reato contestato, motivatamente ritenuto grave dalla Corte
d’appello.
17. – Inammissibile, per genericità, è il ricorso di Gagliano Benedetto.
Il ricorrente si limita infatti a prospettare la violazione degli artt. 69 e 133 cod.
pen., lamentando che non si sarebbe tenuto conto del modesto valore economico delle

riferimento ai suoi contatti e alla sua interscambiabilità con altri appartenenti al

dosi cedute, della mancanza di analisi chimiche sulla percentuale di principio attivo,
del modesto danno economico.
Si tratta, con evidenza, di mere affermazioni che contrastano con le motivate
considerazioni svolte dalla Corte d’appello circa la reitirata attività di spaccio e la
spiccata capacità a delinquere, desumibile dalle modalità con cui l’imputato
intratteneva i rapporti con la sua numerosa clientela, fissando all’uopo appuntamenti
in luoghi appartati.
– Anche il ricorso proposto nell’interesse di Martorana Emanuele è

inammissibile.
18.1. – Il primo motivo di doglianza – con cui si sostiene che le dichiarazioni
accusatorie dell’acquirente Martorana Francesca non sono attendibili perché nsmentite
da Cirrincione Maria, la quale spesso accompagnava la Martorana ad acquistare lo
stupefacente e mai aveva incontrato Martorana Emanuele – è genericamente
formulato.
Infatti, anche a prescindere da un’analisi della motivazione della sentenza
impugnata, dalla stessa prospettazione difensiva emerge che la Cirrincione non
accompagnava sempre la Martorana, con la conseguenza che quest’ultima avrebbe
ben potuto acquistare da sola la sostanza stupefacente dall’imputato.
18.2. – Quanto al secondo motivo di doglianza – riferito all’erronea applicazione
dell’art. 80, comma 1, lettera

a),

del d.P.R. n. 309 del 1990, relativamente

all’ipotizzata consegna dello stupefacente a un soggetto minorenne – deve rilevarsi
che lo stesso è inammissibile.
Né dall’imputazione né dalla sentenza risulta, infatti, che l’aggravante in parola
sia stata contestata o comunque ritenuta sussistente a carico dell’imputato, in
relazione al quale, anzi, le attenuanti generiche sono state reputate prevalenti sulle
aggravanti e sulla recidiva.
19. – Il ricorso proposto dal difensore di Sancilles Paolo è inammissibile.
19.1. – Del tutto generico è il primo motivo di doglianza, perché con esso si
rileva l’omessa valutazione dell’esclusione ab origine della sussistenza della contestata
recidiva, senza prospettare sul punto alcuna argomentazione se non quella manifestamente inconferente – secondo cui la recidiva non era stata contestata
all’imputato in occasione di precedenti condanne.
19.2. – Del pari generiche sono le argomentazioni difensive proposte con il
secondo motivo di ricorso relativamente alla mancanza e alla manifesta illogicità della

18.

motivazione quanto ai due episodi di cessione di sostanza stupefacente dei quali
l’imputato è stato ritenuto responsabile.
Le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata risultano, del resto,
pienamente adeguate e coerenti, perché basate sulle intercettazioni telefoniche, da cui
era emerso che alcuni tossicodipendenti della zona si servivano, oltre che da Catalano
e dal suo gruppo, anche da Sancilles. Tra questi uno aveva specificamente richiamato
due circostanze nelle quali aveva acquistato cocaina da Sancilles, indicando

possesso dell’imputato stesso. Né a tale conclusione possono opporsi – secondo la
Corte territoriale – le generiche affermazioni della difesa circa ragioni di astio del
dichiarante nei confronti dell’imputato, trattandosi di congetture destituite di
fondamento.
Pienamente adeguata risulta, del pari, la motivazione circa il trattamento
sanzionatorio, nella quale si dà conto della necessità di ritenere prevalente la
circostanza attenuante di cui al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990
rispetto alla contestata recidiva, anche per ragioni di equità e di giusta
commisurazione della pena nei confronti di tutti gli imputati nel processo, dovendosi
ritenere la fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 più grave
di quella della mera partecipazione all’associazione ex art. 74, comma 6.
20. – Inammissibile è anche il ricorso proposto dal difensore nell’interesse di
Patti Mario.
20.1. – Il primo motivo di doglianza – con cui si deduce la manifesta illogicità
della motivazione quanto alla ritenuta ipotesi associativa, sul rilievo che non sarebbe
indicato in sentenza il tipo di apporto fornito dall’imputato al sodalizio e sull’ulteriore
rilievo che le intercettazioni telefoniche relative al ricorrente si sarebbero sviluppate in
un arco temporale assai ristretto – è inammissibile, perché consistente nella mera
riproposizione di censure già esaminate e disattese in grado d’appello.
Il ruolo di Patti all’interno del sodalizio criminoso è stato, del resto, ben
disegnato dai giudici di primo e secondo grado, trattandosi di un soggetto
interscambiabile con Palazzotto nell’attività di cessione della sostanza stupefacente,
come riferito da un gran numero di acquirenti. Il suo ruolo emergeva con chiarezza
come tale anche dalle conversazioni telefoniche tra Catalano e Militello, i quali gli
impartivano direttive sullo spaccio e ricevevano da lui comunicazioni sull’attività
svolta.

puntualmente le modalità, i luoghi, e il numero di un cellulare effettivamente in

20.2. – Del pari inammissibile è il secondo motivo di doglianza, riferito alla
manifesta illogicità della motivazione sul trattamento sanzionatorio e sulle circostanze.
Si tratta, anche in questo caso, di censure già rigettate dalla Corte d’appello, la
quale ha evidenziato che i fatti erano gravi e mostravano una spiccata capacità a
delinquere, anche in considerazione della loro reiterazione. La stessa Corte evidenzia,
inoltre, che la determinazione della pena effettuata in primo grado era stata molto
contenuta e procede essa stessa ad una ulteriore riduzione.

restanti ricorsi, devono essere dichiarati inammissibili. Tenuto conto della sentenza 13
giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non
sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare
in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria
dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere
delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore
della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dispone lo stralcio della posizione di Lo Medico Rosa Maria e la formazione di un
nuovo fascicolo. Dichiara inammissibili i ricorsi degli altri imputati e condanna ciascuno
di tali ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in
favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2013.

21. – In conclusione, disposta la separazione della posizione di Lo Medico, i

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