Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11853 del 12/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 11853 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Alvaro Cosimo, nato iI25.4.1964, avverso la ordinanza
del Tribunale della libertà di Reggio Calabriadel 4.10.2013.Sentita la relazione
della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; udita la requisitoria del
sostituto procuratore generale Luigi Riello, il quale ha concluso chiedendo che
il ricorso sia dichiarato inammissibile. Uditi i difensori dell’imputato,
avv.Giuseppe Putortì e Domenico Alvaro, i quali chiedono accogliersi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe la sezione del riesame del Tribunale di Reggio
Calabria, decidendo sull’istanza di riesame proposta nell’interesse diAlvaro
Cosimoavverso l’ordinanza emessa dal Gip presso quel Tribunale in data
28.8.2013 – che aveva applicato al predetto la misura cautelare della custodia
in carcere- ha confermato l’ordinanza impugnata.
L’applicazione della misura è stata motivata con riguardo alla sussistenza di
un quadro di rilevante gravità indiziaria per il delitto di cui all’art. 416 bis cod.
pen. per avere l’indagato fatto parte con un ruolo primario (di direzione,
promozione ed organizzazione) e stabilmente della struttura organizzativa

Data Udienza: 12/02/2014

dell’associazione di tipo mafioso ed armata denominata “‘ndrangheta”, nella
articolazione territoriale denominata “cosca Alvaro”; in particolare per aver
tenuto condotte finalizzate al controllo delle attività imprenditoriali in Reggio
Calabria, occupandosi della gestione occulta del bar Crystal, intestato al
coindagatoLaurendi Domenico, avvalendosi della forza di intimidazione
derivante dall’appartenenza alla cosca predetta.
Nel ricorso presentato si contestano violazione di legge e vizio di motivazione

profilo penale, quali le frequentazioni per ragioni di parentela, affetti, amicizia,
comune estrazione ambientale o sociale, rapporti economici, tra l’odierno
ricorrente e altri coindagati; nonché il presunto ruolo di gestore occulto del
citato bar.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide,
l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione
degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo
spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche
soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze
cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti
rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta
l’applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame. Il
controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo
esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia
rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui
presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) – l’esposizione
delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto
al fine giustificativo del provvedimento. (cfr. Cass. Sez. 6^ sent. n. 2146 del
25.05.1995 dep. 16.06.1995 rv 201840 e, tra le più recenti, Cass. Sez. III,
28.2.2012, n. 12763).
Inoltre il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame
dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un
lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che
collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza
dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo,
stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del
fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e

per avere il Tribunale del riesame valorizzato elementi non rilevanti sotto il

la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la
motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In
particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame
in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere
sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti “prima facie” dal testo
del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della
sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto. (Cass.

Sez. 1″ sent. n. 1700 del 20.03.1998 dep. 04.05.1998 rv 210566).
Non possono essere dedotte come motivo di ricorso per cassazione avverso
provvedimento adottato dal tribunale del riesame pretese manchevolezze o
illogicità motivazionali di detto provvedimento, rispetto a elementi o
argomentazioni difensive in fatto di cui non risulti in alcun modo dimostrata
l’avvenuta rappresentazione al suddetto tribunale, come si verifica quando
essa non sia deducibile dal testo dell’impugnata ordinanza e non ve ne sia
neppure alcuna traccia documentale quale, ad esempio, quella costituita da
eventuali motivi scritti a sostegno della richiesta di riesame, ovvero da
memorie scritte, ovvero ancora dalla verbalizzazione, quanto meno
nell’essenziale, delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate
nell’udienza tenutasi a norma dell’art. 309, comma ottavo, cod. proc. pen. (v.
Cass. Sez. 1 sent. n. 1786 del 5.12.2003 dep. 21.1.2004 rv 227110).
Infine, deve ribadirsi il costante orientamento di legittimità secondo cui in
tema di intercettazioni telefoniche, l’interpretazione del linguaggio e del
contenuto delle conversazioni costituisce una questione di fatto, rimessa alla
valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tale
valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di
esperienza (Cass. Sez. II, 4.11.2008, n. 43749).
Tanto precisato, sul caso di specie deve rilevarsi chenella ordinanza
impugnata il quadro indiziario risulta presente ricostruito in maniera accurata.
Innanzitutto, da pagina 3a pagina 12 si ricostruisce la storia giudiziaria della
consorteria di stampo mafioso operante nel territorio di Sinopoli, denominata
“Carni i cani”, animata dalle famiglie degli Alvaro con ruolo di primazia
ricoperto dall’odierno ricorrente; specialmente alle pagina 23 ss. si
ricostruisce il quadro indiziario relativo alle contestazioni mosse al ricorrente
nel presente processo, ricordando anche il fatto della sua prolungata latitanza,
protrattasi per oltre un anno, indice – si deduce ragionevolmente dell’esistenza di un circuito di protezioni e contatti di cui egli ha potuto godere
sul territorio.

3

Rammenta il Tribunale a tal fine la vicenda relativa all’incarico affidato in
ambito mafioso all’odierno ricorrente di recapitare denaro a un detenuto;
nonché i numerosi incontri di affari tenuti dal ricorrente presso un distributore
di carburante, all’evidente scopo di sottrarsi ad eventuali controlli circoli
contenuto delle conversazioni effettuate (cfr. pp. 33 ss.).
Argomenta inoltre a tal riguardo il Tribunale richiamando il fatto della gestione
occulta del bar Crystal, finalizzata al reimpiego in forma lecita dei capitali del

Tutto ciò per riassumere conclusivamente l’importante ruolo svolto
dall’odierno ricorrente in nevralgici settori della economia imprenditoriale del
territorio, sempre nell’esclusivo interesse della organizzazione di stampo
mafioso di cui risulta essere partecipe (cfr. pp. 96 ss.).
Nel ricorso si espone, invece, una critica sostanzialmente ancorata alla
rivisitazione del fatto, di cui si sollecita una diversa interpretazione, senza che
in nessun modo siano evidenziate violazioni di legge o manifeste illogicità
motivazionali.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della
Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle
ammende. Si provveda a norma dell’art. 94, comma 1 ter disp. att. cod. proc.
pen.

Così deliberato il 12.2.2014

Il Consigliere estensore
Fabrizio Di Marzio

clan (cfr. pp. 90 ss.).

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