Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11852 del 12/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 11852 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

Data Udienza: 12/02/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Alvaro Domenico, nato i11.12.1977, avverso la
ordinanza del Tribunale della libertà di Reggio Calabriadel 26.9.2013.Sentita
la relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; udita la
requisitoria del sostituto procuratore generale Luigi Riello, il quale ha concluso
chiedendo che il ricorso sia rigettato. Uditi i difensori dell’imputato,
avv.Giovanni Aricòe Renato Vigna i qualiconcludono per l’accoglimento del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe la sezione del riesame del Tribunale di Reggio
Calabria, decidendo sull’istanza di riesame proposta nell’interesse diAlvaro
Domenicoavverso l’ordinanza emessa dal Gip presso quel tribunale in data
28.8.2013 – che aveva applicato al predetto la misura cautelare della custodia
in carcere- ha confermato l’ordinanza impugnata.
L’applicazione della misura è stata motivata con riguardo alla sussistenza di
un quadro di gravità indiziaria per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. per
avere l’indagato fatto parte con un ruolo primario (di direzione, promozione

1

ed

organizzazione)

e

stabilmente

della

struttura

organizzativa

dell’associazione di tipo mafioso ed armata denominata “ndrangheta”, nella
articolazione territoriale denominata “cosca Alvaro”; in particolare per aver
esercitato pressioni su Palermo Rocco al fine di condizionarne l’attività
istituzionale di sindaco delle scelte politiche, sino ad indurlo a meditare
sull’opportunità di dimettersi, e per aver interagito con Alvaro Antonio per la
ricomposizione della situazione di dissidio creatasi con Palermo Rocco a causa

riqualificazione del centro storico ad una ditta diversa da quella proposta da
Alvaro Domenico.
Nel ricorso presentato si contestano violazione di legge e vizio di motivazione
per avere il tribunale del riesame valorizzato senza sottoporle ad un
sufficiente vaglio critico le conversazioni captate in cui si trova coinvolto
Palermo Rocco. Si contesta specificamente che il tribunale ne abbia travisato il
significato, svolgendo alternative ricostruzioni del fatto alle pagine 2-11 del
ricorso, concludendosi circa l’estraneità del ricorrente alla associazione di
stampo mafioso non essendo emersa agli atti nessuna condotta di
partecipazione.
Nella memoria depositata in data 5.2.2014 si argomenta ulteriormente sul
carattere meramente congetturale del ragionamento svolto dal Tribunale,
segnalando la mancata individuazione di condotte effettivamente sussumibili
nella norma incriminatrice.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide,
l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione
degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo
spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche
soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze
cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di’ apprezzamenti
rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta
l’applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame. Il
controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo
esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia
rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui
presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) – l’esposizione
delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto

dell’aggiudicazione dell’appalto del comune di San Procopio per la

al fine giustificativo del provvedimento. (cfr. Cass. Sez. 6^ sent. n. 2146 del
25.05.1995 dep. 16.06.1995 rv 201840 e, tra le più recenti, Cass. Sez. III,
28.2.2012, n. 12763).
Inoltre il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame
dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un
lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che
collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza

stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del
fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e
la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la
motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In
particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame
in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere
sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti “prima facie” dal testo
del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della
sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto. (Cass.
Sez. 1^ sent. n. 1700 del 20.03.1998 dep. 04.05.1998 rv 210566).
Non possono essere dedotte come motivo di ricorso per cassazione avverso
provvedimento adottato dal tribunale del riesame pretese manchevolezze o
illogicità motivazionali di detto provvedimento, rispetto a elementi o
argomentazioni difensive in fatto di cui non risulti in alcun modo dimostrata
l’avvenuta rappresentazione al suddetto tribunale, come si verifica quando
essa non sia deducibile dal testo dell’impugnata ordinanza e non ve ne sia
neppure alcuna traccia documentale quale, ad esempio, quella costituita da
eventuali motivi scritti a sostegno della richiesta di riesame, ovvero da
memorie scritte, ovvero ancora dalla verbalizzazione, quanto meno
nell’essenziale, delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate
nell’udienza tenutasi a norma dell’art. 309, comma ottavo, cod. proc. pen. (v.
Cass. Sez. 1 sent. n. 1786 del 5.12.2003 dep. 21.1.2004 rv 227110).
Infine, deve ribadirsi il costante orientamento di legittimità secondo cui in
tema di intercettazioni telefoniche, l’interpretazione del linguaggio e del
contenuto delle conversazioni costituisce una questione di fatto, rimessa alla
valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tale
valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di
esperienza (Cass. Sez. II, 4.11.2008, n. 43749).
Tanto precisato, sul caso di specie deve rilevarsi che, come anticipato in/

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,

dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo,

narrativa, nel ricorso si sollecita una revisione degli elementi materiali e
fattuali delle vicende indagate, compreso lo spessore degli indizi, sulla scorta
di una alternativa ricostruzione del fatto fondata su una diversa ed opinabile
interpretazione del significato delle frasi captate, senza nessun modo
individuare né discostamenti del Tribunale da massime di esperienza nella
interpretazione del materiale captato né manifeste illogicità della motivazione.
Ma la diretta riconsiderazione del materiale indiziario esula dai poteri del

Invero, nella ordinanza impugnata il quadro indiziario risulta ricostruito in
maniera accurata. Innanzitutto, da pagina la pagina 12 si ricostruisce la
storia giudiziaria della consorteria di stampo mafioso operante nel territorio di
Sinopoli, denominata “Carni i cani”, animata dalle famiglie degli Alvaro con
ruolo di primazia ricoperto dall’odierno ricorrente; da pagina 19 pagina 32 si
ricostruisce il quadro indiziario relativo alle contestazioni mosse dal ricorrente
nel presente processo; nelle pagine successive si dettaglia la vicenda dei
contrasti insorti con PalermoRocco e dell’intervento pacificatore svolto da
Alvaro Antonio, secondo tipiche modalità di stampo mafioso.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della
Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle
ammende. Si provveda a norma dell’art. 94, comma 1 ter disp. att. cod. proc.
pen.

Così deliberato il 12.2.2014

giudice di legittimità.

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