Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11851 del 12/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 11851 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Italiano Giasone, nato i116.10.1969, avverso la
ordinanza del Tribunale della libertà di Reggio Calabriadel 30.9.2013.Sentita
la relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; udita la
requisitoria del sostituto procuratore generale Luigi Riailo, il quale ha concluso
chiedendo che il ricorso sia rigettato. Udito il difensore dell’imputato,
avv.Guido Contestabile il quale chiede accogliersi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe la sezione del riesame del Tribunale di Reggio
Calabria, decidendo sull’istanza di riesame proposta nell’interesse diItaliano
Giasoneavverso l’ordinanza emessa dal Gip presso quel Tribunale in data
28.8.2013 – che aveva applicato al predetto la misura cautelare della custodia
in carcere- ha confermato l’ordinanza impugnata.
L’applicazione della misura è stata motivata con riguardo alla sussistenza di
un quadro di rilevante gravità indiziaria per il delitto di cui all’art. 416 bis cod.
pen. per avere l’indagato tenuto condotte di concorso esterno con la
associazione di tipo mafioso ed armata denominata “ndrangheta”, nella

Data Udienza: 12/02/2014

articolazione territoriale denominata “cosca Alvaro”; in particolare per aver
tenuto, in tale rapporto e in concorso con Alvaro Antonio, intraneo alla cosca,
condotte finalizzate al controllo delle attività imprenditoriali nella provincia di
Reggio Calabria, nel settore dell’edilizia e della manutenzione stradale,
occupandosi in particolare della acquisizione in subappalto con modalità
occulte dei lavori di manutenzione della rete di gas-metano aggiudicati con
contratto di appalto della Regione Calabria alla ditta Metangassrl mettendo in

contatto con tale impresa il complice Alvaro Antonio, concordando con
quest’ultimo l’organizzazione dei mezzi e del personale da utilizzare sui
cantieri e le modalità di pagamento degli operai, e condividendo il profitto
dell’attività.
Nel ricorso presentato si contesta violazione di legge e vizio di
motivazioneinnanzitutto con riguardo alla scadenza dei termini di fase rilevanti
per la custodia cautelare per effetto della retrodatazione degli stessi operata
secondo il disposto dell’art. 297 comma 3 0 cod. proc. pen.: si rileva infatti che
nel caso di specie sarebbe rinvenibile una ipotesi di connessione qualificata tra
i fatti oggetto della contestazione nel presente processo e i fatti trattati nel
procedimento denominato “Meta”, per il quale l’odierno ricorrente fu tratto in
arresto nel giugno del 2010, sottolineando come i fatti per cui si procede
sarebbero tutti risalenti a data antecedente a quella della adozione di detta
misura (dovendosi individuare le stesse nelle informative di polizia relative al
processo denominato “Xenopolis”).
Si contesta, in ogni caso, la stessa configurabilità di una associazione mafiosa
denominata “cosca Alvaro” all’attualità, rilevando come nel capo
d’imputazione non sono descritti episodi concreti tranne il rapporto
commerciale con la societàMetangas, il quale rapporto non si sarebbe mai
svolto illecitamente e secondo la tipica modalità di intimidazione mafiosa,
oppure attraverso violenza o minaccia.
Si critica, a tal riguardo, che quanto che in effetti viene contestato all’odierno
ricorrente è semplicemente la relazione pericolosa intrattenuta con taluni noti
esponenti del mondo della criminalità organizzata operante nel territorio di
riferimento, senza che a ciò si aggiunga nulla di concreto né, tanto meno,
rapporti economici di vantaggio coltivati con esponenti della cosca, che
l’odierno ricorrente si sarebbe limitato a frequentare disinteressatamente.
Si contesta, inoltre, la configurabilità di un concorso esterno nella cosca
Alvaro denunciando come inesistenti i fatti oggetto di specifica contestazione
relativi a lavori di natura edilizia e stradale. Si contesta anche che il Tribuna l e

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abbia abbondantemente travisato il significato delle conversazioni captate,
concludendosi circa l’estraneità del ricorrente alla associazione di stampo
mafioso non essendo emersa agli atti nessun condotta di partecipazione.
Quanto alle esigenze cautelari, si sottolinea come all’Italiano sia contestata
una partecipazione esterna alla cosca, e non l’intraneità alla stessa: cosicché,
secondo i comuni canoni giurisprudenziali, il Tribunale avrebbe dovuto
valutare la persistenza di tale vincolo, discendente dagli specifici accordi e

esterno e associazione mafiosa, onde dedurne la perdurante pericolosità,
mentre il tribunale si sarebbe limitato a un giudizio di non dissociazione, come
tale inappropriatamente richiamato nel caso di specie.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide,
l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione
degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo
spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche
soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze
cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti
rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta
l’applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame. Il
controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo
esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia
rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui
presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) – l’esposizione
delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto
al fine giustificativo del provvedimento. (cfr. Cass. Sez. 6^ sent. n. 2146 del
25.05.1995 dep. 16.06.1995 rv 201840 e, tra le più recenti, Cass. Sez. III,
28.2.2012, n. 12763).
Il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei
provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un
lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che
collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza
dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo,
stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del
fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e /
la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la

dalle determinate relazioni di volta in volta intercorrenti tra concorrente

motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In
particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame
in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere
sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti “prima facie” dal testo
del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della
sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto. (Cass.
Sez. l” sent. n. 1700 del 20.03.1998 dep. 04.05.1998 rv 210566).
Non possono essere dedotte come motivo di ricorso per cassazione avverso

provvedimento adottato dal tribunale del riesame pretese manchevolezze o
illogicità motivazionali di detto provvedimento, rispetto a elementi o
argomentazioni difensive in fatto di cui non risulti in alcun modo dimostrata
l’avvenuta rappresentazione al suddetto tribunale, come si verifica quando
essa non sia deducibile dal testo dell’impugnata ordinanza e non ve ne sia
neppure alcuna traccia documentale quale, ad esempio, quella costituita da
eventuali motivi scritti a sostegno della richiesta di riesame, ovvero da
memorie scritte, ovvero ancora dalla verbalizzazione, quanto meno
nell’essenziale, delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate
nell’udienza tenutasi a norma dell’art. 309, comma ottavo, cod. proc. pen. (v.
Cass. Sez. 1 sent. n. 1786 del 5.12.2003 dep. 21.1.2004 rv 227110).
Infine, deve ribadirsi il costante orientamento di legittimità secondo cui in
tema di intercettazioni telefoniche, l’interpretazione del linguaggio e del
contenuto delle conversazioni costituisce una questione di fatto, rimessa alla
valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tale
valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di
esperienza (Cass. Sez. II, 4.11.2008, n. 43749).
Tanto precisato, sul caso di specie deve rilevarsi che, come anticipato in
narrativa, nel ricorso si sollecita una revisione degli elementi materiali e
fattuali delle vicende indagate, compreso lo spessore degli indizi, sulla scorta
di una alternativa ricostruzione del fatto fondata soprattutto su una diversa ed
opinabile interpretazione del significato delle frasi captate, senza nessun
modo individuare né discostamenti del tribunale da massime di esperienza
nella interpretazione del materiale captato né manifeste illogicità della
motivazione. Ma la diretta riconsiderazione del materiale indiziario esula dai
poteri del giudice di legittimità.
Invero, nella ordinanza impugnata il quadro indiziario risulta ricostruito in
maniera estremamente accurata. Innanzitutto, da pagina la pagina 14 si
ricostruisce la storia giudiziaria della consorteria di stampo mafioso operante

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nel territorio di Sinopoli, denominata “Carni i cani”, animata dalle famiglie
degli Alvaro; da pagina 19 pagina 51 si ricostruisce il quadro indiziario relativo
alle contestazioni mosse al ricorrente nel presente processo, anche riportando
le numerose conversazioni captate al fine di consentirne una piena
comprensione secondo la ricostruzione critica operano nello stesso
provvedimento. Si conclude quindi sulla sussistenza di un fitto rapporto
collaborativo tra l’odierno imputato e Alvaro Antonio, associato alla cosca, il

nel territorio di riferimento grazie all’ausilio e alla intermediazione nei rapporti
contrattuali consentitagli dall’odierno indagato. Si precisa nel provvedimento
come quest’ultimo, fittamente collegato a diversi esponenti del clan degli
Alvaro, non abbia mai mostrato nei confronti di costoro segni di
subordinazione, ma al contrario parità nei rapporti. Così da concludere
linearmente, a pagina 63 dell’ordinanza impugnata, sulla integrazione di un
grave quadro indiziario con riguardo non soltanto alla piena consapevolezza
dell’odierno ricorrente di favorire con la sua condotta una potente cosca della
‘ndrangheta, ma anche alla sua fattiva e completa messa a disposizione della
cosca, decisa al fine di condividere i vantaggi, non solo economici, di poter
svolgere i lavori sul territorio controllato dalla cosca.
Deve anche segnalarsi come la prospettazione descritta nel capo di
imputazione abbia trovato, secondo il Tribunale, pieno riscontro. Senonché
tale contestazione, formulata nel senso della appartenenza dell’odierno
indagato alla cosca della ‘ndrangheta, è stata corretta nel provvedimento oggi
impugnato nel senso del concorso esterno dell’odierno ricorrente rispetto alla
cosca in parola.
Ma già la giurisprudenza di questa sezione, nel riaffermare il consolidato
indirizzo per cui rapporti tra partecipazione ad associazione mafiosa e mero
concorso esterno, la differenza tra il soggetto “intraneus” ed il concorrente
esterno risiede nel fatto che quest’ultimo, sotto il profilo oggettivo, non è
inserito nella struttura criminale, pur fornendo ad essa un contributo
causalmente rilevante ai fini della conservazione o del rafforzamento
dell’associazione, e, sotto il profilo soggettivo, è privo della
“affectiosocietatis”, mentre il partecipe “intraneus” è animato dalla coscienza
e volontà di contribuire attivamente alla realizzazione dell’accordo, e quindi
del programma delittuoso, in modo stabile e permanente, nel riaffermare tale
principio – si diceva – questa sezione ha precisato che anche il contributo degli
appartenenti alla c.d. “borghesia mafiosa” può integrare gli estremi della vera

quale ultimo ha potuto svolgere un ruolo rilevante nella gestione degli appalti

e propria partecipazione all’associazione mafiosa, e non necessariamente del
mero concorso esterno (Cass. sez. 2, 20.4.2012, n. 18797).
Così, il giudizio circa la sussistenza delle esigenze cautelari si presenta
immune da critiche laddove, segnalata l’estrema vicinanza, per non dire la
compartecipazione, dell’odierno ricorrente alla cosca ndranghetista, si segnala
il concreto pericolo che quest’ultimo possa riallacciare, una volta emancipato
dal regime della custodia in carcere, i rapporti con altri affiliati per agevolare

Nel provvedimento, a pagina 64, si ha cura di precisare anche che il tempo
dal commesso il reato non potrebbe comunque indurre in se stesso
considerato a ritenere, attesa la gravità della condotta contestata, attenuate
le esigenze cautelari tuttora sussistenti: e tanto facendo attenzione
all’elevatissimo allarme sociale promanante dal reato di associazione di
stampo mafioso e rimarcata l’assenza di elementi nuovi, vantaggiosamente
valutabili con riguardo alla posizione dell’odierno indagato.
Infine, manifestamente infondato è il motivo sollevato sulle contestazioni a
catena. Nella ordinanza impugnata osserva il Tribunale come il solo fatto che
al tempo dell’adozione di una precedente misura custodia fossero a
disposizione degli inquirenti colloqui intercettati da cui poter desumere il
materiale indiziario posto a fondamento anche della ordinanza di custodia
cautelare di cui qui si discute, non dimostra in alcun modo che tali elementi
fossero stati presi in considerazione, e prima ancora individuati, in tutta la
loro portata probatoria già al momento della emissione della prima ordinanza
cautelare, piuttosto che, molto diversamente, l’importanza di tali elementi
fosse emersa solo dopo una attenta elaborazione degli stessi, elaborazione
che, nel caso concreto, ha richiesto tempi non brevi, oltre alla lettura delle
ulteriori emersioni indiziario valorizzate nel presente procedimento.
Tale motivazione si mostra del tutto lineare con la giurisprudenza di questa
Corte per cui la questione relativa alla retrodatazione della decorrenza del
termine di custodia cautelare può essere dedotta anche nel procedimento di
riesame soltanto quando ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a)
termine interamente scaduto, per effetto della retrodatazione, al momento del
secondo provvedimento cautelare; b) desumibilità dall’ordinanza applicativa
della misura coercitiva di tutti gli elementi idonei a giustificare l’ordinanza
successiva (Cass. sez. un. 19.7.2012, n. 45246).
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della

ulteriormente le attività dell’associazione.

Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle
ammende. Si provveda a norma dell’art. 94, comma 1 ter disp. att. cod. proc.

Così deliberato il 12.2.2014

Il Consigliere estensore
Fabrizio Di Marzio

eCa–)–:

pen.

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