Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11818 del 13/02/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 11818 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sui ricorsi proposti dai difensori di:
D’Andrea Roberto, nato a Salerno, il 7/6/1969;
Senatore Marco, nato a Cava dè Tirreni, il 23/4/1970;

avverso la sentenza del 19/5/2012 del G.u.p. del Tribunale di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale
Dott. Eduardo Scardaccione, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 19 maggio 2012 il G.u.p. di Salerno applicava su richiesta delle
parti a D’Andrea Roberto e Senatore Marco la pena di anni due e mesi otto di
reclusione ciascuno per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale,

Data Udienza: 13/02/2014

dichiarandoli contestualmente inabilitati all’esercizio di un’impresa per il periodo di
dieci anni.
2. Avverso la sentenza ricorrono gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori,
deducendo l’errata applicazione dell’art. 216 comma 4 legge fall., avendo il giudice
applicato la pena accessoria ivi prevista nella misura fissa di dieci anni, anziché
commisurarla alla durata della concordata pena principale.

1.Successivamente alla proposizione del ricorso, D’Andrea Roberto vi ha personalmente
rinunziato con dichiarazione del 10 settembre 2012. Ne consegue la declaratoria di
inammissibilità del ricorso medesimo

ex art. 591, comma 1, lett. d), c.p.p. e la

condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di
euro cinquecento in favore della Cassa delle Ammende, atteso che la causa di rinunzia
deve ritenersi imputabile allo stesso ricorrente.

2. Venendo al residuo ricorso del Senatore, deve osservarsi come lo stesso faccia leva
sul contrasto giurisprudenziale registratosi in passato in seno a questa sezione della
Corte in merito ai vincoli di commisurazione della pena accessoria prevista dall’ultimo
comma dell’art. 216 legge fall. Come noto, infatti, per un primo orientamento, fedele al
tenore letterale della disposizione, la durata della sanzione accessoria sarebbe stabilita
dal legislatore in misura predeterminata e fissa e, quindi, a prescindere da quella della
pena principale, con conseguente inapplicabilità dell’art. 37 c.p. (v. Sez. 5, n. 30341
del 30 maggio 2012, Pinelli e altri, Rv. 253318; Sez. 5, n. 269 del 10 novembre 2010,
Marianella, Rv. 249500; Sez. 5, n. 17690 del 18 febbraio 2010, Cassa Di Risparmio Di
Rieti S.p.a. e altri, Rv. 247319; Sez. 5, n. 39337 del 20 settembre 2007, Bucci, Rv.
238211). Altro e opposto indirizzo – cui si rifa il ricorrente -, muovendo implicitamente
o espressamente dalla presunta incompatibilità costituzionale del significato letterale
della disposizione sanzionatoria, ha ritenuto invece necessaria una interpretazione
adeguatrice della stessa per cui – in analogia con quanto previsto per il reato di
bancarotta semplice dall’ultimo comma dell’art. 217 legge fall. – il limite di dieci anni
stabilito dal legislatore dovrebbe intendersi corrispondere alla determinazione
normativa del massimo edittale della durata della sanzione accessoria, dovendosi
conseguentemente fare riferimento alla regola generale contenuta nel citato art. 37
c.p. per commisurare la stessa ogni qual volta quella principale abbia consistenza
inferiore (Sez. 5, n. 23720 del 31 marzo 2010, Travaini, Rv. 247507; Sez. 5, n. 9672
del 22 gennaio 2010, Tonizzo, Rv. 246891).

CONSIDERATO IN DIRITTO

3.

Ritenendo impraticabile tale interpretazione adeguatrice, ma al contempo

riconoscendosi i potenziali limiti costituzionali dell’ultimo comma dell’art. 216, la
questione è stata sottoposta – anche da questa stessa Sezione (Sez. 5, n. 16083 del 23
marzo 2011, Capizzi e altri, Rv. 250089) – alla Corte Costituzionale, che con le recenti
ord. n. 134/2012 e 208/2012 l’ha ritenuta inammissibile in quanto quello richiesto
(sostanzialmente l’introduzione nel tessuto della norma impugnata della precisazione
che la durata di dieci anni della pena accessoria costituisce la mera indicazione del

legislatore, risolvendosi nella richiesta di una pronuncia additiva a contenuto
costituzionalmente non obbligato, atteso che molteplici -e non solo quella suggerita
nelle pronunzie che hanno dato impulso ai giudizi di costituzionalità – sono le soluzioni
ipotizzabili per superare l’apparente conflitto tra la disposizione impugnata e il contesto
costituzionale di riferimento.

4. Alla luce dei pronunziamenti del giudice delle leggi il Collegio ritiene di aderire al
primo dei due orientamenti espressi da questa Sezione, risultando a questo punto
inevitabile rispettare la volontà del legislatore per come manifestatasi nella lettera della
disposizione di cui si tratta ed improponibile qualsiasi lettura adeguatrice della
medesima.
Conseguentemente il ricorso deve ritenersi infondato, avendo il giudice del merito
correttamente applicato la disposizione medesima in conformità ai principi affermati dal
menzionato orientamento, mentre l’eccezione di illegittimità costituzionale sollevata in
subordine dal ricorrente si rivela inammissibile per le medesime ragioni già evidenziate
nelle ricordate pronunzie della Corte Costituzionale.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della
somma, ritenuta congrua, di euro cinquecento alla cassa delle ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 500 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 13/2/2014

massimo edittale della medesima) sarebbe intervento riservato alla discrezionalità del

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