Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11801 del 05/02/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 11801 Anno 2014
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: LAPALORCIA GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GERVASI UGO N. IL 12/10/1964
avverso la sentenza n. 12139/2007 CORTE APPELLO di TORINO, del
29/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA LAPALORCIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. O. Q-E
che ha concluso per

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i plifénsor Avv.

CrO 1_2-0

Data Udienza: 05/02/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Torino con sentenza del 29-5-2013, in parziale riforma di quella 711-2006 del Tribunale di Novara (in quanto era dichiarata la prescrizione del reato sub
c) e rideterminata la pena), riconosceva la responsabilità di Ugo GERVASI per reati di
bancarotta fraudolenta patrimoniale (capo a) e documentale (capo b) connessi al
fallimento della Principe Costruzioni srl, dichiarato il 14-11-2000.

comunque di concorrente nei reati, in quanto titolare di un’ampia procura al
compimento di atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, rilasciatagli solo
qualche mese dopo la costituzione della Principe Costruzioni dal socio amministratore
Giacomo Verrani, separatamente giudicato.
3. La bancarotta patrimoniale riguarda la distrazione del corrispettivo della cessione al
socio Sachespi dei beni strumentali della società, di un immobile e di un’autovettura,
nonché del prezzo di vendita di altre due vetture e di somme di denaro.
4. L’affermazione di responsabilità era ancorata alle dichiarazioni del Verrani e del
Sachespi -dalle quali risultava che Gervasi dava abitualmente direttiva allo stesso
amministratore quanto alla gestione dei cantieri ed ai rapporti con le banche ed aveva
effettuato le vendite di cui sopra-, riscontrate dalle testimonianze di due clienti della
società (Bottone e De Giovanni) che avevano trattato con l’imputato l’esecuzione di
lavori edili per loro conto, e di coloro che avevano rispettivamente acquistato (Nunzio
Rapisarda una Mercedes) e venduto (Francesco Muraca una BMW ed una Toyota)
autovettura da e a Gervasi.
5. L’imputato ha proposto ricorso tramite il difensore con quattro motivi.
6. Con il primo deduce erronea interpretazione degli artt. 2639 cod. civ. e 110 cod. pen.
per non essersi considerato, quanto all’attribuzione della qualifica di amministratore di
fatto, che egli, procuratore della società, non aveva mai esercitato poteri di
organizzazione e controllo sui fattori produttivi dell’attività della stessa, quanto alla
qualifica di concorrente nei reati, che non aveva fornito alcun contributo, né materiale,
né morale, alla commissione dei fatti reato (un solo teste, Rapisarda, aveva riferito di
avergli corrisposto la somma di tre milioni, mentre, quanto ai beni ceduti al Sachespi,
non essendo stato versato alcun corrispettivo, nulla era stato distratto).
7. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione sempre in punto riconoscimento
della qualifica di amministratore di fatto o comunque di concorrente nei reati. La corte
torinese aveva infatti trascurato che: a) dal testimoniale risultava che Gervasi si era
limitato ad accompagnare sui cantieri Verrani che assumeva tutte le decisioni; b)
l’indebitamento alla base del dissesto risaliva ad epoca antecedente al rilascio della
procura all’imputato; c) era stato il Sachespi a distrarre i beni della società non
pagandone il corrispettivo; d) era stato Verrani ad indurre i commercialisti che

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2. All’imputato era riconosciuto il ruolo di amministratore di fatto della società, o

tenevano la contabilità a risolvere il rapporto a fronte del suo disinteresse nella
trasmissione dei dati; e) il ruolo di Gervasi era di lavorare presso i cantieri essendo
esperto in lavori edili, mentre Verrani non lo era; f) i prelievi mediante bonifico di cui al
capo a) erano stati effettuati da Verrani; g) la teste De Giovanni aveva dichiarato che il
corrispettivo dei lavori era stato consegnato al Verrani; h) Sachespi aveva ammesso di
non aver corrisposto alcunché per l’acquisto dei beni mobili e immobili della società; i)
la somma di nove milioni di lire che il teste Muraca aveva dichiarato di aver corrisposto

denaro ancora dovuto dalla Principe Costruzioni e quindi non vi era stata distrazione,
senza contare che a tutti gli atti era stato presente il Verrani; I) nella vendita della
Mercedes a Rapisarda Gervasi aveva agito come procuratore e comunque non vi era
prova della distrazione della somma di tre milioni di lire da lui ricevuta quale
corrispettivo. Quanto alla bancarotta documentale, il ricorrente lamentava che la corte
territoriale avesse valutato le dichiarazioni del coimputato Verrani senza applicare il
criterio di cui all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.
8. Terzo motivo: violazione di legge per mancato giudizio di prevalenza, anche ex officio,
delle generiche sulle aggravanti.
9. Quarto motivo: violazione di legge e vizio di motivazione in punto conferma delle
statuizioni civili.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va disatteso.
2. Il riconoscimento della qualifica di amministratore di fatto all’imputato, investito dai
primi due motivi di gravame, è esente da vizi sotto il profilo sia della violazione di legge,
che del vizio di motivazione.
3. La corte territoriale, a sostegno di tale conclusione, ha valorizzato la logica
combinazione tra plurime risultanze processuali. Muovendo quindi dalla considerazione
del rilascio, solo qualche mese dopo la costituzione della società, dell’ampia procura al
Gervasi -tra l’altro titolare dell’impresa individuale Principe Intermediazioni, di
denominazione suggestivamente assonante con la ragione sociale della Principe
Costruzioni srl-, e tenendo conto che la linea difensiva dell’imputato gli attribuiva il
ruolo di mero procacciatore di affari, ha valorizzato la discordanza tra i due dati
(procuratore con poteri assai ampi e procacciatore di affari) per desumere
l’incompatibilità del secondo con le attività di fatto svolte, rappresentate dalle direttive
impartite all’amministratore di diritto circa la gestione dei rapporti con gli istituti
bancari, dall’alienazione dei beni sociali mobili ed immobili, dall’incasso (o mancato
incasso) del relativo prezzo e dalla decisione circa la destinazione del medesimo, dalla
direzione in forma prevalente -se non esclusiva- dei cantieri, dai rapporti con i

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per il riacquisto della Toyota di cui la società aveva smesso di pagare le rate, costituiva

committenti dei lavori. Il giudice di secondo grado è quindi pervenuto alla coerente
deduzione che la procura non fosse altro che lo schermo al riparo del quale Gervasi era
stato messo in grado di gestire di fatto la società, in unione con il Verrani, inesperto di
lavori edili e di rapporti con gli istituti creditizi.
4. Tale percorso argomentativo, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, è in
linea con la ricostruzione della figura dell’amministratore di fatto operata dalla
giurisprudenza di legittimità sulla base della nozione di essa introdotta dall’art. 2639

inerenti alla qualifica od alla funzione, con la precisazione, peraltro, che i concetti di
significatività e continuità non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri
propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività
gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale (tra le decisioni più recenti: Cass.
35346/2013).
5. Con la conseguenza, sempre secondo tale indirizzo, che la prova della posizione di
amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici
dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in una qualsiasi fase -non
necessariamente in tutte- della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale
dell’attività della società, quali sono quelle dei rapporti con i dipendenti, i fornitori o i
clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale,
produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare. Accertamento il quale,
costituendo oggetto di una valutazione di fatto, è insindacabile in sede di legittimità se,
come nella specie, per le ragioni di cui sopra, sostenuto da congrua e logica
motivazione.
6. Né ha maggior pregio la critica mossa all’ipotesi, comunque prospettata in sentenza
come meramente subordinata, della qualifica del Gervasi di concorrente nei fatti
distrattivi, vanamente ancorata, dopo il significativo riconoscimento che il teste
Rapisarda aveva riferito di avergli corrisposto la somma di tre milioni (che non
risultava versata nelle casse sociali), al rilievo che, quanto ai beni alienati al socio
Sachespi (tra i quali vi erano anche i beni strumentali all’attività esercitata e un
immobile al rustico), nulla poteva essere stato distratto non essendone stato versato il
corrispettivo, così trascurando che oggetto di distrazione erano stati i beni sociali di cui
la Principe Costruzioni era stata spogliata mediante la loro gratuita cessione al socio.
7. Inconsistenti sono pure le critiche mosse dal ricorrente alla sentenza per asseritamente
mancata considerazione di una serie di elementi che si appalesano invece irrilevanti.
Così il fatto che Verrani assumesse formalmente le decisioni non elimina che ciò
avvenisse dietro i suggerimenti del Gervasi che lo accompagnava costantemente sui
cantieri, essendo lo stesso Verrani, per ammissione del ricorrente, pacificamente
incompetente in materia; l’asserita risalenza ad epoca antecedente al rilascio della
procura all’imputato dell’indebitamento alla base del dissesto, non incide
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cod. civ., che postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici

sull’attribuzione allo stesso del ruolo di amministratore di fatto; l’assunto che il
Sachespi avesse distratto i beni della società non avendone pacificamente pagato il
corrispettivo non fa venir meno il contributo alla distrazione fornito dal Gervasi.
8. Essendo dimostrato, alla stregua di quanto sopra, il concorso nell’illecita attività
dell’imputato, quale amministratore di fatto, con l’amministratore formale, è destinato a
sicuro insuccesso lo sforzo del ricorrente di sostenere, con argomenti in fatto, che
singole distrazioni erano attribuibili materialmente al Verrani, in quanto l’accordo tra i

responsabili di tutti gli atti distrattivi contestati.
9. Quanto alla bancarotta documentale, le censure del ricorrente, che lamenta omessa
applicazione, nella valutazione delle dichiarazioni del coimputato Verrani, del criterio di
cui all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., trascurano che l’amministratore di fatto, per
consolidato orientamento giurisprudenziale di questa corte, essendo tenuto ad impedire
ex art. 40, comma secondo, cod. pen. le condotte illecite riguardanti l’amministrazione

della società o a pretendere l’esecuzione degli adempimenti previsti dalla legge, è
responsabile di tutti i comportamenti, sia omissivi che commissivi, posti in essere
dall’amministratore di diritto, al quale è sostanzialmente equiparato (Cass. 33385/2012,
39593/2011), poco contando quindi che fosse stato Verrani ad indurre i commercialisti
che tenevano la contabilità a risolvere il rapporto omettendo la trasmissione dei dati,
posto che tra l’altro, come ineccepibilmente evidenziato in sentenza, Gervasi era il
principale interessato a non far risultare, in particolare, il movimento dei beni
compravenduti a lui ascrivibile.
10.11 terzo ed il quarto motivo di ricorso attengono a questioni nuove (giudizio di
comparazione delle circostanze e conferma delle statuizioni civili), non dedotte con i
motivi di appello. Quanto al mancato giudizio di prevalenza delle generiche sulle
aggravanti, per quanto esso possa essere formulato anche d’ufficio ex art. 597, comma
5, cod. proc. pen., basta osservare che quanto sopra osservato smentisce il ruolo
secondario del Gervasi sostenuto nel gravame, onde il mancato esercizio dei poteri
officiosi da parte del giudice di secondo grado risulta giustificato.
11.Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma 5-2-2014

DEPOSITATA IN C NCELLERIA

due, avvalorato dal rilascio della procura, li rende entrambi concorsualmente

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