Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 118 del 22/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 118 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: AMORESANO SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) Dong Wenkang

nato il 2. 8.1971

avverso la sentenza del 18.1.2013
della Corte di Appello di L’Aquila
sentita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano
sentite le conclusioni del P. G., dr. Mario Fraticelli, che ha
chiesto rigettarsi il ricorso
sentito il difensore, avv. Lucio Filippo Longo, in sost. avv.
Abramo Di Salvatore, che ha concluso per l’accoglimento
del ricorso

1

Data Udienza: 22/11/2013

1. La Corte di Appello di l’Aquila, con sentenza del 18.1.2013, confermava la sentenza del
Tribunale di Teramo, sez. dist. di Atri, in composizione monocratica, emessa in data
23.11.2011, con la quale Dong Wenkang era stato condannato alla pena (sospesa alle
condizioni di legge) di anni 1, mesi 8 di reclusione per il reato di cui all’art.2 D.L.vo 74/2000
per avere, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, indicato nelle
dichiarazioni annuali relative a dette imposte, per gli anni 2004 e 2005 elementi passivi fittizi
per un importo complessivo pari ad euro 202.845,60.
Rilevava la Corte territoriale, disattendendo i motivi di appello, che il processo verbale di
constatazione redatto dalla G.d.F. era stato inserito correttamente nel fascicolo per il
dibattimento ex art.431 co.1 lett.b) c.p.p. ed era pienamente utilizzabile trattandosi di atto
irripetibile compiuto dalla p.g.. L’acquisizione delle fatture, i riscontri sulle merci, le attività
attraverso cui era stata accertata la consistenza aziendale dei soggetti formalmente in
rapporto con le società amministrate dall’imputato consentivano, poi, di affermare
(indipendentemente dalle dichiarazioni di tali soggetti riferite dal M.Ilo Pollice) l’inesistenza,
anche se solo soggettivamente, delle operazioni commerciali. Erano quindi tali dati oggettivi
ad attestare la fittizietà delle operazioni.
Quanto all’elemento soggettivo era insostenibile che l’imputato non sapesse di non aver mai
acquistato la merce riportata nelle fatture.
2. Ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, denunciando la violazione degli
artt.191, 195 co.4, 514 c.p.p., 220 disp.att. c.p.p. e 111 Cost., nonché la mancanza e/o
manifesta illogicità della motivazione.
La Corte territoriale, nell’affermare l’utilizzabilità del processo verbale di constatazione, non
tiene conto che, quando emergono indizi di reato, occorre procedere a norma dell’art.220
disp. att. (successivamente a detta emersione l’accertamento non assume efficacia
probatoria).
La Corte territoriale ha utilizzato nella sua interezza il processo verbale di constatazione ed ha
violato l’art.195 co.4 c.p.p. che vieta la testimonianza indiretta degli ufficiali di p.g. su quanto
loro riferito dai testi. E’ stata quindi posta a base della pronuncia di condanna la testimonianza
indiretta da parte della G.d.F. resa peraltro non in dibattimento ma attraverso un atto scritto.
Le medesimi considerazioni valgono per la testimonianza del M.Ilo Pollice in ordine a quanto
riferito dai rappresentanti legali delle ditte fornitrici (sul disconoscimento delle fatture
incriminate), per di più ai colleghi di Firenze e Segrate.
Inconferente è, poi, il rilievo della Corte territoriale in ordine alla non opposizione da parte
della difesa all’acquisizione del verbale di constatazione al fascicolo per il dibattimento,
essendo ex art.191 c.p.p. l’inutilizzabilità rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del
procedimento.
Contrariamente a quanto affermato dai Giudici di merito gli elementi su cui è stata fondata la
sentenza di condanna non sono stati tratti dagli accertamenti ispettivi, ma da quanto
dichiarato dai fornitori dell’imputato (dichiarazioni inutilizzabili).
Inoltre da nessun atto emerge che le fatture in contestazione non siano state riportate nelle
scritture contabili delle ditte (non essendo stata acquisita la documentazione fiscale ma solo
le fatture). Né ha considerato la Corte territoriale che le ditte cedenti avevano un interesse
contrario all’imputato a sostenere di non aver intrattenuto rapporti con lui e ad indicare come
false le fatture.
Infine, la Corte territoriale omette completamente di motivare
in ordine all’elemento
soggettivo (dolo specifico).

RITENUTO IN FATTO

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.

2

/4.

3. La Corte territoriale ha quindi ritenuto, sulla base di dati oggettivi ( e cioè la diversità delle
fatture, la non corrispondenza delle contabilità ai controlli incrociati, l’inoperatività delle
aziende fornitrici), che non potessero esservi dubbi di sorta in ordine alla fittizietà delle
operazioni descritte nei documenti utilizzati.
Non ha, quindi, utilizzato le dichiarazioni rese dal M.Ilo Pollice, né in ordine a quanto riferito
dai titolari delle aziende (apparentemente) emittenti le fatture, né sugli accertamenti svolti da
altri Ufficiali della Guardia di Finanza (peraltro, secondo Cass. Sez. 2 n.36286 del 21.9.2010
“Il divieto di testimonianza indiretta previsto per gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria
dall’art.195 comma quarto c.p.p. non si applica nell’ipotesi in cui il verbalizzante riferisca sulle
attività di indagine svolte da altri ufficiali o agenti di p.g. nello stesso contesto investigativo”).
Anche in ordine al dolo i Giudici di merito hanno adeguatamente motivato, evidenziando che,
nonostante la consapevolezza che quella merce non era stata acquistata (alcune delle aziende
erano addirittura non operative) e che quindi si trattava di operazioni fittizie (anche se
soggettivamente), l’imputato aveva utilizzato le fatture nelle dichiarazioni annuali al fine di
evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto.
3.1. I motivi con cui, da parte del ricorrente, si contesta la fittizietà delle operazioni si
risolvono sostanzialmente nella prospettazione di una diversa lettura delle risultanze
processuali. Tali censure non tengono conto, però, che il controllo demandato alla Corte di
legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali
si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di
rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per
sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove
siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo.
Anche a seguito della modifica dell’art.606 lett.e) c.p.p., con la L.46/06, il sindacato della
Corte di Cassazione rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza,
contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da “altri atti del processo
specificamente indicati nei motivi di gravame”, non attribuisce al giudice di legittimità il potere
di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza
dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la
prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata
(cfr.Cass.pen. sez.6 n.752 del 18.12.2006;Cass.pen.sez.2 n.23419/2007-Vignaroli; Cass.pen.
sez. 6 n. 25255 del 14.2.2012).

3

2. E’ assolutamente pacifico, secondo la giurisprudenza di questa Corte, che costituisca atto
irripetibile, e possa quindi essere inserito nel fascicolo per il dibattimento, il processo verbale di
costatazione redatto dalla Guardia di Finanza per accertare o riferire violazioni a norme
finanziarie o tributarie (cfr. ex multis Cass.pen. sez. 3 n.36399 del 18.5.2011): “Rientrano,
infatti, nel novero degli atti irripetibili quelli mediante i quali la p.g. prende direttamente
cognizione di fatti, situazioni o comportamenti umani dotati di una qualsivoglia rilevanza
penale e suscettibili di modificazione”, ciò si riferisce, nella fattispecie in esame, all’acquisizione
delle fatture, ai riscontri alle merci, alle attività attraverso le quali è stata constatata la
consistenza aziendale dei soggetti formalmente in rapporti con le società amministrate
dall”imputato (elementi già sufficienti ad affermare l’inesistenza delle pretese operazioni
commerciali”.
E’ vero che, qualora nel corso dell’attività ispettiva, emergano indizi di reato “occorre
procedere secondo le modalità previste dall’art.220 disp.att.c.p.p., altrimenti la parte del
documento redatta successivamente a detta emersione non può assumere efficacia probatoria
e, quindi, non è utilizzabile” (cfr. Cass.pen. sez. 3 n.6881 del 18.11.2008; Cass. Sez. 3 n.
15372 del 10.2.2010).
Il motivo di ricorso sul punto è assolutamente generico, limitandosi il ricorrente a richiamare la
sopra indicata giurisprudenza e ad affermare che il verbale di costatazione è stato utilizzato
nella sua interezza, senza neppure specificare quali siano le parti inutilizzabili (perché assunte
dopo l’emersione di indizi di colpevolezza). Dalla motivazione della sentenza impugnata
risulta, peraltro, che sono stati utilizzati soltanto gli accertamenti oggettivi e non certo la
parte del verbale in cui venivano riportate le dichiarazioni dei soggetti che escludevano di aver
intrattenuto rapporti commerciali con l’imputato.

ricorrente al
pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma che pare congruo
determinare in euro 1.000,00 ai sensi dell’art.616 c.p.p.
4.1. Va solo aggiunto che l’inamissibilità del ricorso preclude la possibilità di far valere e
rilevare d’ufficio, ai sensi dell’art.129 cod.proc.pen., l’estinzione del reato per prescrizione (in
relazione all’anno 2004), maturata dopo l’emissione della sentenza impugnata.
Questa Corte si è pronunciata più volte sul tema anche a sezioni unite (per ultimo
sent.n.23428/2005-Bracale). Tale pronuncia, operando una sintesi delle precedenti decisioni,
ha enunciato il principio che l’intervenuta formazione del giudicato sostanziale derivante dalla
proposizione di un atto di impugnazione invalido perché contrassegnato da uno dei vizi indicati
dalla legge (art.591 comma 1, con eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione,
e art.606 comma 3), precluda ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità
precedentemente maturata sia di rilevarla d’ufficio. L’intrinseca incapacità dell’atto invalido di
accedere davanti al giudice dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio
ab instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di assegnare
alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico, divenendo altrimenti
fatti storicamente verificatisi, ma giuridicamente indifferenti per essersi già formato il giudicato
sostanziale”.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché al versamento alla cassa delle ammende della somma di euro 1.000,00.
Così deciso in Roma il 22.11.2013

4. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del

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