Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11790 del 30/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 11790 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di AGOSTINELLI Francesco, n. ad
Urbino il 26.02.1964, in custodia cautelare in carcere per questa
causa, rappresentato e assistito dall’avv. Antonio Rocco, avverso
l’ordinanza ex art. 310 cod. proc. pen. n. 725/2013 del Tribunale di
Bologna, in data 26.06.2013;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
viste le conclusioni assunte dal Sostituto procuratore generale dott.
Paolo Canevelli che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 02.03.2012, il Giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Bologna applicava nei confronti

Data Udienza: 30/01/2014

di AGOSTINELLI Francesco la misura cautelare della custodia in
carcere per il delitto di cui agli artt. 110, 629, 628 comma 3 cod.
pen., 7 I. n. 203/1991.
2.

Con istanza depositata in data 09.05.2013 la difesa di
AGOSTINELLI Francesco chiedeva al giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Bologna l’emissione di pronuncia
di declaratoria di perdita di efficacia della misura in atto per

decorso del termine massimo previsto con riguardo alla fase delle
indagini preliminari. Nell’istanza, si evidenziava che:
-l’AGOSTINELLI era stato sottoposto alla misura cautelare della
custodia in carcere nell’ambito di altro procedimento penale
pendente avanti l’autorità giudiziaria di Rimini a far data dal
04.02.2011 in seguito all’avvenuto arresto nella flagranza del
reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309/1990;
-l’autorità giudiziaria di Bologna, all’atto dell’emissione della
misura cautelare oggetto del presente procedimento, aveva piena
contezza degli elementi costituenti la provvista indiziaria con
riferimento all’altro procedimento;
-la scelta del pubblico ministero bolognese di non avanzare subito
la richiesta di applicazione al prevenuto della misura custodiale
massima, dettata dalla conoscenza – in procedimento non
connesso – di altro provvedimento cautelare a carico
dell’AGOSTINELLI, costituiva violazione del disposto dell’art. 297,
comma 3 cod. proc. pen..
3.

Con ordinanza in data 04.05.2013, il Giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Bologna rigettava la richiesta
rilevando che, dovendosi escludere la sussistenza della
connessione qualificata tra il procedimento pendente avanti
all’autorità giudiziaria riminese e quello pendente presso quella
bolognese,

non

poteva

operare

il

meccanismo della

retrodatazione proprio perché si era in presenza di due distinti
procedimenti pendenti innanzi a due autorità giudiziarie diverse.
4.

Avverso detto provvedimento veniva proposto appello avanti al
Tribunale di Bologna, in funzione di giudice del riesame, che, con
provvedimento in data 14.06.2013, rigettava il gravame
ribadendo sostanzialmente le motivazioni addotte dal giudice di
primo grado e rilevando come l’appellante non avesse contestato

2

la non connessione tra i due procedimenti.
5.

Avverso detta pronuncia veniva proposto ricorso per
cassazione deducendo la nullità dell’impugnata ordinanza ai
sensi dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. per inosservanza e/o
erronea applicazione degli artt. 297, comma 3 e 303 cod. proc.
pen. e loro combinato disposto nonché ai sensi dell’art. 606
lett. e) cod. proc. pen. per mancanza e/o contraddittorietà e/o

manifesta illogicità della motivazione.
Contestava il ricorrente la motivazione dei giudici di secondo
grado laddove avevano ritenuto che il ricorrente non avesse
contestato la non connessione tra i due procedimenti. In
particolare, il deducente rilevava come fosse stato
documentato che la presentazione della richiesta della seconda
ordinanza era stata differita solo perché il ricorrente era già
stato arrestato per il procedimento pendente avanti all’autorità
giudiziaria di Rimini, dato di fatto che il Tribunale del riesame
aveva completamente omesso di considerare.

CONSIDERATO IN DIRITTO

6.

Il ricorso è infondato e, come tale, va rigettato.

7.

Per un corretto inquadramento della questione è opportuno
richiamare sinteticamente in premessa le decisioni cui è
pervenuta la giurisprudenza di legittimità nell’interpretazione
della norma dettata dall’art. 297, comma 3 cod. proc. pen.. Con
la disposizione in esame, disciplinante l’istituto cosiddetto della
“contestazione a catena”, il legislatore ha voluto codificare la

regula iuris frutto dell’elaborazione giurisprudenziale formatasi
sotto la vigenza del previgente codice di rito, con la quale si era
stabilita una deroga al principio della decorrenza autonoma dei
termini di durata massima della custodia in relazione a ciascun
titolo cautelare, all’evidente fine di evitare il fenomeno della
“diluizione” nel tempo della “carcerazione provvisoria”, attuata
mediante l’emissione, in momenti diversi, nei confronti della
stessa persona di più provvedimenti coercitivi concernenti il
medesimo fatto, diversamente qualificato o circostanziato,
ovvero riguardanti fatti di reato diversi ma connessi tra loro.

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Così, nel suo testo originario, l’art. 297, comma 3 cod. proc. pen.
(che riprendeva la disposizione da ultimo appositamente
introdotta nel codice abrogato dalla L. n. 398 del 1984) stabiliva
che la decorrenza del termine di durata massima della custodia
cautelare applicata con un’ordinanza si sarebbe dovuta
retrodatare al momento dell’esecuzione di altra precedente
ordinanza cautelare, laddove i due provvedimenti avessero

riguardato lo stesso fatto ovvero più fatti in concorso formale tra
loro, oppure integranti ipotesi di aberratio delicti o di aberratio
ictus plurioffensiva. Nella versione novellata nel 1995, da un lato
è stato ristretto l’ambito applicativo della norma, con la
previsione dell’operatività del meccanismo di retrodatazione
esclusivamente con riferimento ai casi di connessione qualificata
ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen., lett. b) (continuazione tra i
reati) e lett. c) limitatamente all’ipotesi di reati connessi per
eseguire gli altri (connessione teleologia); dall’altro, introducendo
una regola generale di retrodatazione “automatica” (“se nei
confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che
dispongono la medesima misura… i termini decorrono dal giorno
in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono
commisurati all’imputazione più grave”): automatismo, tuttavia,
non applicabile laddove la seconda ordinanza cautelare veniva
emessa dopo il rinvio a giudizio per i fatti oggetto della prima
ordinanza (“la disposizione non si applica relativamente alle
ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a
giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione ai
sensi del presente comma”).
La portata applicativa della disposizione in esame è stata
ampliata per effetto della sentenza additiva n. 408 del 2005, con
la quale la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità
dell’art. 297, comma 3 cod. proc. pen., nella parte in cui “non si
applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli
elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili
dagli atti al momento dell’emissione della precedente ordinanza”;
ed ulteriormente precisata dalla sentenza n. 233 del 2011, con la
quale la Consulta – “reagendo” ad un contrario orientamento
della giurisprudenza di legittimità, che aveva finito per diventare

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”diritto vivente” – ha dichiarato la illegittimità dello stesso art.
297, comma 3 nella parte in cui, con riferimento alle ordinanze
che dispongono misure cautelari per fatti diversi, non prevede
che la regola in tema di decorrenza dei termini in esso stabilita si
applichi anche quando, per i fatti contestati con la prima
ordinanza, l’imputato sia stato condannato con sentenza passata
in giudicato anteriormente all’adozione della seconda misura.

Nella cornice normativa così tratteggiata, seguendo il percorso
argomentativo fissato dalle Sezioni Unite con due decisioni
rispettivamente del 2005 e del 2006 (Sez. U., n. 14535/07 del
19/12/2006, Librato, rv. 235909-10-11; Sez. U., n. 21957 del
22/03/2005, P.M. in proc. Rahulia ed altri, rv. 231057-8-9), con
riguardo alla contestazione di reati diversi, variamente collegabili
tra loro, è possibile – in linea schematica – riconoscere tre distinte
situazioni, alle quali corrispondono altrettante, distinte regole
operative. In tutti e tre i casi è, comunque, necessario, perché si
possa parlare di “contestazione a catena” e perché possa
eventualmente

trovare

applicazione

la

disciplina

della

retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima
della custodia cautelare, che i delitti oggetto della ordinanza
cautelare cronologicamente posteriore siano stati commessi in
data anteriore a quella di emissione della ordinanza cautelare
cronologicamente anteriore (in questo senso, ex plurimis, Cass.,
Sez. 6, n. 31441 del 24/04/2012, Canzonieri, rv. 253237).
Vediamo partitamente le diverse ipotesi:
a) la prima situazione è quella in cui le due (o più) ordinanze
applicative di misure cautelari personali abbiano ad oggetto
fatti-reato legati tra loro da concorso formale, continuazione o
da connessione teleologia (casi di connessione qualificata), e
per le imputazioni oggetto del primo provvedimento coercitivo
non sia ancora intervenuto il rinvio a giudizio. In queste
circostanze trova applicazione la disposizione dettata dal
primo periodo dell’art. 297, comma 3 cod. proc. pen., che non
lascia alcun dubbio sul fatto che la retrodatazione della
decorrenza dei termini di durata della misura o delle misure
applicate successivamente alla prima operi automaticamente
e, dunque – impiegando le parole delle Sezioni unite di questa

5

Corte – “indipendentemente dalla possibilità, al momento
della emissione della prima ordinanza, di desumere dagli atti
l’esistenza dei fatti oggetto delle ordinanze successive e, a
maggior ragione, indipendentemente dalla possibilità di
desumere dagli atti l’esistenza degli elementi idonei a
giustificare le relative misure”. Automatica retrodatazione
della decorrenza dei termini che risponde all’esigenza “di

mantenere la durata della custodia cautelare nei limiti stabili
dalla legge, anche quando nel corso delle indagini emergono
fatti diversi legati da connessione qualificata” (così C. Cost.,
28 marzo 1996, n. 89), e che si determina solo se le
ordinanze siano state emesse nello stesso procedimento
penale (così Sez. U, n. 14535/07 del 19/12/2006, Librato,

cit.);
b)

la seconda situazione rappresenta una variante della prima,
presupponendo comunque l’accertata esistenza, tra i fatti
oggetto delle plurime ordinanze cautelari, di una delle tre
forme di connessione qualificata sopra indicate, ma è
caratterizzata dall’intervenuta emissione del decreto di rinvio
a giudizio per i fatti oggetto del primo provvedimento
coercitivo. Tale ipotesi presuppone, ovviamente, che le due o
più ordinanze siano state emesse in distinti procedimenti, ma
(come hanno chiarito le Sezioni unite nelle più volte
richiamate sentenze) è irrilevante che gli stessi siano
“gemmazione” di un unico procedimento, vale a dire siano la
conseguenza di una separazione delle indagini per taluni fatti,
oppure che i due procedimenti abbiano avuto autonome
origini. In siffatta diversa situazione si applica la regola
dettata dal secondo periodo dell’art. 297, comma 3 cod. proc.
pen., sicché la retrodatazione della decorrenza dei termini di
durata massima delle misure applicate con la successiva o le
successive ordinanze opera solo se i fatti oggetto di tali
provvedimenti erano desumibili dagli atti già prima del
momento in cui è intervenuto il rinvio a giudizio per i fatti
oggetto della prima ordinanza;

c)

infine, la terza situazione è quella in cui tra i fatti oggetto dei
due provvedimenti cautelari non esista alcuna connessione

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ovvero sia configurabile una forma di connessione non
qualificata, cioè diversa da quelle sopra considerate del
concorso formale, della continuazione o del nesso teleologico
(per quest’ultimo, nei limiti fissati dal codice). Questa ipotesi,
che in passato si riteneva pacificamente non riguardare l’art.
297, comma 3 cod. proc. pen., oggi rientra nel campo
applicativo di tale disposizione codicistica per effetto della

menzionata sentenza “manipolativa” della Consulta n. 408 del
2005. Ne consegue che la retrodatazione della decorrenza del
termine di durata massima della misura cautelare è dovuta
“in tutti i casi in cui, pur potendo i diversi provvedimenti
coercitivi essere adottati in un unico contesto temporale, per
qualsiasi causa l’autorità giudiziaria abbia invece prescelto
momenti diversi per l’adozione delle singole ordinanze”. Il
giudice deve, perciò, verificare se al momento dell’emissione
della prima ordinanza cautelare non fossero desumibili, dagli
atti a disposizione, gli elementi per emettere la successiva
ordinanza cautelare, da intendersi – come sottolineato dai
Giudici delle leggi – come “elementi idonei e sufficienti per
adottare” il provvedimento cronologicamente posteriore. Tale
regola vale solo se le due ordinanze siano state emesse in
uno stesso procedimento penale, perché se i provvedimenti
cautelari sono stati adottati in procedimenti formalmente
differenti, per la retrodatazione occorre verificare, oltre che al
momento della emissione della prima ordinanza vi fossero gli
elementi idonei a giustificare l’applicazione della misura
disposta con la seconda ordinanza, che i due procedimenti
siano in corso dinanzi alla stessa autorità giudiziaria e che la
separazione possa essere stata il frutto di una scelta del
pubblico ministero (così Cass., Sez. U., n. 14535/07 del
19/12/2006, Librato, cit.; conf., in seguito, su tale specifico
aspetto, Cass., Sez. 2, n. 44381 del 25/11/2010, Noci, rv.
248895; Cass., Sez. 1, n. 22681 del 27/05/2008, Caniello, rv.
240099).
8. Il caso in esame rientra in quest’ultima ipotesi rispetto alla quale
difetta però l’elemento della pendenza dei due procedimenti
davanti alla stessa Autorità giudiziaria. E’ chiaro che la

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retrodatazione non ha ragione di operare quando la seconda
misura viene disposta in un procedimento pendente davanti a un
diverso ufficio giudiziario. In questo caso infatti la diversità delle
autorità giudiziarie procedenti indica una diversità di competenza,
e fa ritenere che i procedimenti non avrebbero potuto essere
riuniti e che quindi la sequenza dei provvedimenti cautelari non è

misura. Se la competenza appartiene a giudici diversi, il primo
non ha ragione di disporre una misura cautelare per fatti di
competenza del secondo, anche perché, a norma dell’art. 291,
comma 2 cod. proc. pen., il giudice incompetente è tenuto a
disporre la misura cautelare nel solo caso in cui “sussiste
l’urgenza di soddisfare taluna delle esigenze cautelari previste
dall’art. 274 cod. proc. pen.”, e questa urgenza manca se il
giudice riesce a soddisfare le esigenze cautelari disponendo la
misura per i fatti di propria competenza.
9.

Il profilo sopra esaminato consente di superare l’aspetto
“desumibilità dagli atti” il cui esame e la cui consistenza
costituiscono valutazione esclusivamente di merito e non
ammessi in sede di legittimità, il cui controllo è limitato alla
coerenza e corretta argomentazione del ragioni del giudizio reso
(cfr., Cass., Sez. 6, n. 5050 del 27/11/2012-dep. 31/01/2013,
Ferrante, rv. 254468).
Peraltro, ciò che assume significato nel caso concreto è – come
detto – la diversità dei due procedimenti e la mancanza di ogni
elemento di connessione tra gli stessi. In tale contesto valutativo,
vi è completezza e coerenza della motivazione dell’ordinanza
impugnata nonché corretta applicazione dei principi di diritto
dianzi enunciati: da qui il rigetto del ricorso.

10. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Si provveda a norma dell’art. 94 comma 1 ter disp.
att. cod. proc. pen..

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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il frutto di una scelta per ritardare la decorrenza della seconda

processuali.
Si provveda a norma dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen..
Così deliberato in Roma, camera di consiglio del 30.1.2014

Il Presidente

Dott. Andrea Pellegrino

Dott. S

ibero Carmenini

Il Consigliere estensore

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