Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11789 del 30/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 11789 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di MARRA Cosimo, n. a Nardò (LE)
il 26.09.1988, in custodia cautelare in carcere per questa causa,
rappresentato e assistito dall’avv. Ladislao Massari, avverso
l’ordinanza ex art. 309 cod. proc. pen. n. 549/2013 del Tribunale di
Lecce, sezione feriale, in data 23.07.2013 e avverso l’ordinanza di
convalida dell’arresto e contestuale applicazione della misura
cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Lecce in data 09.07.2013;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
sentite le conclusioni del Sostituto procuratore generale dott. Paolo
Canevelli che ha chiesto di dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udite le conclusioni assunte dal difensore avv. Ladislao Massari che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso con annullamento dell’ordinanza del

Data Udienza: 30/01/2014

Tribunale del riesame in data 23.07.2013 nonché dell’ordinanza di
convalida dell’arresto e contestuale applicazione della misura
cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Lecce in data 09.07.2013.

RITENUTO IN FATTO

1. In data 06.07.2013, MARRA Cosimo veniva tratto in arresto
con l’accusa di aver commesso, in concorso con altre persone
rimaste ignote, il delitto di cui agli artt. 110, 81, 628, commi 1
e 3 n. 1 e 3-bis cod. pen. (capo A) nonché il delitto di cui agli
artt. 110, 81, 61 n. 2 cod. pen., 2, 4 e 7 I. n. 895/1967 (capo
B). L’arresto veniva convalidato e nei confronti del MARRA
veniva

emesso

provvedimento

custodiale

che,

successivamente, il Tribunale del riesame, adito dal ricorrente,
confermava respingendo il ricorso ex art. 309 cod. proc. pen..
2.

Avverso i due provvedimenti giurisdizionali (ordinanza di
convalida dell’arresto ed ordinanza del Tribunale del riesame),
veniva proposto ricorso per cassazione, con richiesta di loro
annullamento senza rinvio, per i seguenti motivi:
– violazione ed erronea interpretazione ed applicazione del
combinato disposto degli artt. 380 e 382 cod. proc. pen.,
dell’art. 13 della Costituzione, dell’art. 5 par. 1 lett. c)
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali (primo motivo);
– mancanza o manifesta illogicità della motivazione (secondo
motivo).
Lamenta il ricorrente come l’arresto del MARRA sia avvenuto al di
fuori delle ipotesi consentite dalla legge e la misura cautelare è
stata al medesimo applicata in assenza sia dei gravi indizi di
colpevolezza che delle esigenze cautelari.
In relazione all’arresto del MARRA, lo stesso era intervenuto in
una situazione non inquadrabile nell’ipotesi della quasi-flagranza
di reato, avendo le forze dell’ordine ricercato l’indagato per poi
trarlo in arresto a distanza di circa sette ore dal fatto senza che
sulla sua persona venisse rinvenuto alcun bene che potesse f2Zr
incontrovertibilmente far presumere che “immediatamente

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prima” egli avesse commesso il fatto di cui era stato accusato.
Che fin dall’origine a carico del MARRA non vi fosse alcun indizio
preciso che potesse far sospettare lo stesso come l’autore della
rapina in contestazione, si ricava agevolmente dal fatto che nelle
denunce il c.d. “terzo rapinatore” (nell’ipotesi accusatoria, il
MARRA) viene descritto come alto circa mt. 1,70, con corporatura
più robusta e dall’atteggiamento più propositivo (leggasi,

aggressivo) rispetto agli altri due e con il capo avvolto da una
sorta di straccio che lasciava scoperti gli occhi. Inoltre, ben tre
testimoni descrivono questo rapinatore con occhi spiccatamente
chiari e chiari/azzurri, caratteristica somatica non appartenente al
MARRA che ha occhi castani, come attestato anche dal suo
documento d’identità.
Pari imprecisione si ha con riferimento alle descrizioni completamente contraddittorie – fornite dai querelanti con
riferimento ai vestiti indossati dal terzo malvivente, individuato
come MARRA Cosimo (ed analoghe contraddizioni erano rilevabili
anche in merito alla corporatura e all’altezza del predetto terzo
rapinatore): invero, uno di loro lo descrive come vestito con una
felpa scura ed un pantalone di tuta scuro, altro come indossante
una felpa di colore chiaro, altro ancora come indossante una
maglia corta, altri infine come indossante una felpa nera con un
logo centrale sul davanti di colore chiaro. Anche a voler
prescindere da tali contraddizioni, al MARRA non è stato
sequestrato alcun indumento avente le suindicate caratteristiche.
Il MARRA, inoltre, risulta inviso alle forze dell’ordine locali per la
sua personalità violenta ed aggressiva ed ancor di più per le sue
parentele “di spicco”.
Anche le modalità del riconoscimento del MARRA in caserma da
parte di tre testi-chiave non appariva immune da vizi e censure:
invero, il MARRA, arrestato nella sua abitazione alle ore 6.45
circa, viene trattenuto in caserma sino alle ore 9.00 allorquando
in caserma giungono i tre testimoni che “accidentalmente”
incrociano il MARRA, girovagante all’interno di quei locali, e lo
riconoscono quale autore della rapina: riconoscimento
certamente inficiato da un’evidente suggestione esercitata sui
denuncianti essendo stato loro sottoposto in visione un solo

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soggetto avente caratteristiche fisico-somatiche simili a quelle di
uno dei rapinatori.
Censurabile poi l’omesso vaglio dell’alibi fornito dal MARRA che,
in sede di interrogatorio, aveva descritto tutti i suoi movimenti
nella notte della rapina ed aveva indicato un suo amico, tale
Stapane Antonio, quale persona informata sui fatti.
Inesistenti poi le valutate esigenze cautelari, non essendosi

tenuto conto della modestia del precedente penale a suo carico
ed essendosi di contro valutato a suo danno un carico pendente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3.

Il ricorso è inammissibile per tardività con riferimento al primo
motivo, è infondato per genericità con riferimento al secondo
motivo.

4.

È anzitutto necessario chiarire, sia pur in sintesi, i limiti di
sindacabilità da parte di questa Corte Suprema dei provvedimenti
adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà
personale.
Secondo l’orientamento di questa Corte Suprema, che il Collegio
condivide e reputa attuale anche all’esito delle modifiche
normative che hanno interessato l’art. 606 cod. proc. pen. (cui
l’art. 311 cod. proc. pen. implicitamente rinvia), in tema di
misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso
per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso
dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi
indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di
verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di
legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di
merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno
indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico
dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione
riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai
canoni della logica e ai principi di diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Si è anche precisato
che la richiesta di riesame, mezzo di impugnazione, sia pure
atipico, ha la specifica funzione di sottoporre a controllo la

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validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali
indicati nell’art. 292 cod. proc. pen., ed ai presupposti ai quali è
subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo: ciò
premesso, si è evidenziato che la motivazione della decisione del
Tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere
conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al
modulo di cui all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi

necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non
fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non
della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di
colpevolezza (Cass., Sez. un., n. 11 del 22/03/2000, Audino, rv.
215828; conforme, dopo la novella dell’art. 606 cod. proc. pen.,
Cass., Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova, rv. 237012).
Si è successivamente osservato, sempre in tema di impugnazione
delle misure cautelari personali, che il ricorso per cassazione è
ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche
norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione
del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di
diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la
ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa
valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito
(Cass., Sez. 5, n. 46124 dell’08/10/2008, Pagliaro, rv. 241997;
Cass., Sez. 6, n. 11194 dell’ 08/03/2012, Lupo, rv. 252178).
5. In relazione al primo motivo, rileva il Collegio come lo stesso sia
inammissibile per tardività.
Con lo stesso, il ricorrente impugna il provvedimento di convalida
ritenendo insussistente il presupposto della quasi-flagranza di
reato per il quale si era proceduto all’arresto. Già il Tribunale del
riesame aveva evidenziato come, nei confronti del provvedimento
di convalida dell’arresto, l’art. 391, comma 4 cod. proc. pen.
prevede il ricorso per cassazione con il quale possono farsi valere
soltanto ragioni miranti a far accertare l’illegittimità dell’arresto,
in quanto eventualmente operato fuori dei casi previsti dalla
legge, l’esistenza o meno della flagranza o della quasi flagranza
ovvero l’osservanza dei termini, essendo invece rimessa agli
appositi rimedi di cui agli artt. 309, 310 e 311 cod. proc. pen. le

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questioni afferenti la misura cautelare in ordine all’esistenza dei
gravi indizi di colpevolezza ovvero delle esigenze cautelari.
Fermo quanto precede, si evidenzia come il provvedimento di
convalida pronunciato dal giudice per le indagini preliminari
presso il Tribunale di Lecce risulti essere stato emesso in data
09.07.2013 e letto in pari data ad indagato e difensore al termine
dell’udienza, come da verifica compiuta attraverso il consentito

accesso al fascicolo (cfr., Cass., Sez. 4, n. 25310 del
07/04/2004-dep. 07/06/2004, Ardovino e altri, rv. 228953).
E’ principio generale, più volte ribadito nel codice di rito, che la
lettura del provvedimento, comprensivo della motivazione,
equivale a notificazione alle parti presenti, con conseguente
decorrenza del termine per l’impugnazione da quel preciso
momento (Cass., Sez. 2, n. 17232 del 04/04/2007-dep.
04/05/2007, Grasso, rv. 236822). Nella specie, il giudice per le
indagini preliminari, avendo dato lettura all’udienza di convalida
del provvedimento sia nella parte dispositiva che nel suo corredo
motivazionale, ha messo sia l’indagato che il difensore nelle
condizioni di conoscerne integralmente il contenuto del suo
provvedimento nonché le argomentazioni che lo sorreggevano:
conseguentemente, nessun’altra formalità di notifica di
comunicazione doveva essere compiuta anche perché nulla la
medesima avrebbe potuto aggiungere al contenuto già
legalmente conoscibile.
Fermo quanto precede, trattandosi di provvedimento camerale, il
ricorso per cassazione doveva necessariamente essere proposto
nel termine di quindici giorni stabilito dall’art. 585, comma 1 lett.
a) cod. proc. pen., termine che nella fattispecie, andava a
scadenza il 24.07.2013. Il presente ricorso per cassazione risulta
invece proposto solo in data 05.08.2013 e, quindi, oltre il termine
di legge: da qui l’inammissibilità del motivo la cui tardività
impedisce di procedere alla valutazione in ordine alla sua
eventuale fondatezza.
6. In relazione al secondo motivo, osserva il Collegio come, a fronte
di un provvedimento congruamente motivato, si pongano una
serie di censure generiche, senza alcun contenuto di effettiva
critica alla decisione impugnata e comunque inidonee a

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sconfessare l’intrinseca logicità delle valutazioni operate dai
giudici di merito.
E’ pacifico infatti che, l’insussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza (art. 273 cod. proc. pen.) e delle esigenze cautelari
(art. 274 cod. proc. pen.) è rilevabile in cassazione soltanto se si
traduca nella violazione di specifiche norme di legge o nella
manifesta illogicità della motivazione secondo la logica ed i

principi di diritto, rimanendo “all’interno” del provvedimento
impugnato; il controllo di legittimità non può, infatti, riguardare
la ricostruzione dei fatti e sono inammissibili le censure che, pur
formalmente investendo la motivazione, si risolvono nella
prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze
esaminate dal giudice di merito, dovendosi in sede di legittimità
accertare unicamente se gli elementi di fatto sono corrispondenti
alla previsione della norma incriminatrice.
Nella fattispecie, il Tribunale del riesame ha valorizzato, ad
integrazione del necessario quadro di gravità indiziaria
legittimante l’emissione della impugnata misura coercitiva, una
articolata serie di elementi, dai quali – con motivazione
esauriente, logica, non contraddittoria, come tale esente da vizi
rilevabili in questa sede, oltre che in difetto delle ipotizzate
violazioni di legge – è stata nel complesso desunta la sussistenza
del necessario quadro di gravità indiziaria in relazione ai reati
ipotizzati, nella specie senz’altro configurabile nei suoi elementi
costitutivi essenziali (v. punti 3 e 4 dell’ordinanza impugnata).
Le doglianze del ricorrente inerenti all’adeguatezza del quadro
indiziario valorizzato dal Tribunale del riesame si risolvono, al
contrario, nella prospettazione di una diversa valutazione delle
circostanze esaminate dal giudice di merito (che in sede di
riesame ha puntualmente confutato ogni doglianza difensiva,
successivamente riproposta nel presente ricorso), laddove in
sede di legittimità occorre unicamente accertare se gli elementi di
fatto valorizzati dai giudici del merito siano corrispondenti alla
previsione della norma incriminatrice che si assume violata.
7. Consegue pertanto l’inammissibilità del ricorso e, per il disposto
dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in

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favore della Cassa delle ammende, di una somma che,
considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in euro 1.000,00.
Si provveda a norma dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod.
proc. pen..

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Si provveda a norma dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen..
Così deliberato in Roma, camera di consiglio del 30.1.2014

PQM

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