Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11777 del 06/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 11777 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA

Sui ricorsi proposti dagli Avvocati Alfonso M. Stile e Carla Manduchi – quali
difensori di O’Connor Paul Anthony (n. il 25/04/1971) e Neave Andrew David
(n. il 14/10/1967) — e dall’Avvocato Alfredo Gaito — quale difensore di Dines
Andrew Charles Edward (n. il 23/02/1981) – avverso la sentenza G.I.P. del
Tribunale di Roma, in data 13/06/2013.
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Adriano lasillo.
Letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Gioacchino
Izzo, il quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 06/12/2013

Letti i motivi nuovi e note di replica degli Avvocati Alfonso M. Stile, Carla
Manduchi e Alfredo Gaito — difensori dei ricorrenti — che hanno concluso per
l’accoglimento dei ricorsi.
Osserva:

Con sentenza — ex articolo 444 del c.p.p. – del 13/06/2013, il G.U.P. del

Tribunale di Roma applicò a O’Connor Paul Anthony, Neave Andrew David e
Dines Andrew Charles Edward la pena, concordata tra le parti, di anni 3 e
mesi 11 di reclusione ed € 12.000,00 di multa per i primi due e la pena di
anni 3 e mesi 11 di reclusione ed € 12.000,00 di multa per il terzo (per i reati
di associazione per delinquere e riciclaggio, capi A e B; per i primi due anche
per il riciclaggio di cui al capo C). Il G.U.P. ordinò anche la confisca, nei limiti
della quota loro spettante, degli immobili di proprietà degli imputati — descritti
nel foglio allegato alla sentenza e che forma parte integrante del dispositivo —
sottoposti a sequestro preventivo in esecuzione dei decreti del G.I.P. emessi
in data 03.02.2010 e 20.02.2010; ordinò, altresì, la restituzione agli aventi
diritto di quanto altro posto sottosequestro.
Tutti e tre gli imputati ricorrono per Cassazione limitatamente alle
disposizioni relative alla confisca.
L’Avvocato Alfredo Gaito – difensore di Dines Andrew Charles Edward —
deduce che poiché le società telefoniche (Fastweb s.p.a. e Telecom Italia
Sparkle s.p.a.) hanno assolto integralmente il loro debito tributario — che
costituisce il profitto dell’intera operazione di frode fiscale — non si può
procedere alla confisca dei beni degli imputati; invero in tale caso si avrebbe
una duplicazione illegittima della misura ablativa (il difensore del ricorrente
cita, anche, precedenti decisioni – alcune delle quali riguardano coimputati —
a sostegno dell’impugnazione).
Il difensore del ricorrente conclude, pertanto, per l’annullamento
dell’impugnata sentenza.
Gli Avvocati Alfonso M. Stile e Carla Manduchi – quali difensori di
O’Connor Paul Anthony e Neave Andrew David — deducono che il profitto
complessivamente tratto da tutti i soggetti coinvolti nell’inchiesta è pari all’IVA
non versata all’Erario. I difensori dei ricorrenti richiamano poi una decisione
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di questa Corte (sul coimputato Mokbel) nella quale si afferma che il valore di
riferimento per il sequestro funzionale alla confisca per equivalente, in caso
di delitto di riciclaggio transnazionale avente ad oggetto i proventi del reato di
frode fiscale, deve essere quantificato sulla base del profitto di tale ultimo
reato, entrato a far parte delle operazioni di riciclaggio transnazionale (in
motivazione la Corte ha ulteriormente precisato che se il riciclaggio ha ad
oggetto i proventi del reato di frode fiscale, detti proventi costituiscono anche

il profitto del riciclaggio in relazione ai soggetti autori del solo reato
transnazionale; Sez. 3, Sentenza n. 11970 del 24/02/2011 Cc. – dep.
24/03/2011 – Rv. 249761). Quindi poiché le società telefoniche (Fastweb
s.p.a. e Telecom Italia Sparkle s.p.a.) hanno assolto integralmente il loro
debito tributario — che costituisce l’intero profitto dei reati contestati — non si
può procedere alla confisca dei beni degli imputati; invero in tale caso si
avrebbe una duplicazione illegittima della misura ablativa. Con un secondo
motivo la difesa dei ricorrenti rileva che il profitto riferibile agli imputati
(partendo dalla data del 01 settembre 2006, epoca in cui è entrata in vigore
la legge che consente la confisca per i reati de quibus) è errato per eccesso
(si indica quale profitto del reato corretto quello di Euro 8.482.350,00 e non
già quello determinato dal G.U.P. in Euro 11.840.125,07).
La difesa dei ricorrenti conclude, quindi, per l’annullamento
dell’impugnato provvedimento.
In data 20.11.2013 l’Avvocato Alfredo Gaito – difensore di Dines Andrew
Charles Edward — ha depositato motivi nuovi e note di replica. Richiama
anch’egli la sentenza Mokbel (di cui sopra) e rileva che trattandosi di
sentenza emessa per un coimputato vi sarebbe una vera e propria
preclusione endoprocessuale a decidere in modo diverso la stessa
questione. Il difensore dell’imputato richiama i precedenti motivi di ricorso e
ne chiede l’accoglimento.
In data 20.11.2013 gli Avvocati Alfonso M. Stile e Carla Manduchi quali difensori di O’Connor Paul Anthony e Neave Andrew David —
depositano un unico motivo nuovo di ricorso. Ribadiscono la natura
sanzionatoria della confisca per equivalente e, quindi, che la stessa può
essere adottata solo in forza di una legge “che la disciplini sia nell’an, sia nel
quantum, sia nel quomodo” (in ossequio al canone del “nulla poena sine

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lege” e a quello equivalente contenuto in altre fonti normative
esemplificativamente indicate alle pagine 2 e 3 del motivo nuovo). Prendono,
poi, in considerazione la legge che è stata applicata al caso di specie: l’art.
11 della L. 146/2006. Secondo i difensori dei ricorrenti dalla lettura della
predetta legge si ricaveo tre presupposti legittimanti la confisca per
equivalente: a) la presenza di una fattispecie incriminatrice rientrante nella

l’accertamento della sussistenza di un profitto suscettibile di confisca, sino a
concorrenza del quale potrà operare l’ablazione; c) la previa verifica circa
l’impossibilità di confiscare il profitto/prodotto/prezzo del reato in via diretta.
Sempre secondo i difensori dei ricorrenti nel caso di specie il G.U.P. ha
disposto la confisca in mancanza dei presupposti sub b) e c). Invero non vi è
alcun profitto diverso da quello pari all’IVA non versata all’Erario e quindi
poichè, come detto, le società telefoniche hanno successivamente pagato
integralmente il debito tributario non si può duplicare la confisca. Infine, il
G.U.P. ha omesso di verificare la possibilità di disporre in via diretta la
confisca dell’asserito profitto. I difensori dei ricorrenti richiamano anche i
motivi di ricorso e ne chiedono l’accoglimento.
In data 29.11.2013 gli Avvocati Alfonso M. Stile e Carla Manduchi quali difensori di O’Connor Paul Anthony e Neave Andrew David —
presentano in Cancelleria memoria di replica con la quale dopo aver
evidenziato la aspecificità delle osservazioni del P.G. richiamano tutto quanto
esposto nel ricorso e nel motivo nuovo e concludono chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

I ricorsi sono infondati. Invero, il G.U.P. nella sentenza impugnata ha
evidenziato che da tutti gli elementi probatori acquisiti risulta che gli imputati
hanno trattenuto per ogni operazione di trasferimento fondi, quale vantaggio
patrimoniale per ciascuna condotta materiale di riciclaggio effettuata, una
quota della somma ricevuta ed oggetto di successivo ritrasferimento in
circolarità (circostanza neppure oggetto di contestazione da parte degli
imputati). Dunque nel caso di specie — a differenza di quanto è avvenuto nei

nozione di reato transnazionale, di cui all’art. 3 della predetta legge; b)

precedenti casi affrontati da questa Corte ed evocati dai difensori — è stato
accertato il reale profitto del reato di riciclaggio transnazionale degli imputati
costituito, appunto, dal margine di profitto che essi hanno trattenuto sulle
somme provento del reato di fatturazione per operazioni inesistenti oggetto di
riciclaggio. E’ evidente, quindi, che tale certo arricchimento personale degli
imputati è stato correttamente assoggettato alla confisca per equivalente
preveduta dalla legge, anche per la nota natura sanzionatoria di tale

confisca. Né l’avvenuto assolvimento del debito tributario, pari al profitto
dell’intera operazione di frode fiscale, da parte delle società telefoniche che
di tale frode hanno beneficiato può impedire la confisca dei beni dei
ricorrenti. Infatti, non vi è alcuna duplicazione illegittima della misura ablativa.
Ciò risulta con chiarezza se si riflette su cosa sarebbe avvenuto qualora tutta
la complessa e illecita operazione non fosse stata scoperta dagli inquirenti.
Le società telefoniche avrebbero goduto del profitto derivante dalle frodi
fiscali e gli attuali imputati avrebbero goduto del profitto derivante dalla
commissione del reato di riciclaggio transnazionale, costituito — come già
evidenziato — dal danaro trattenuto per ogni operazione di riciclaggio
effettuato. Infatti, in tutti i casi di frode fiscale la persona fisica o società che
la pone in essere ha come profitto il totale del quantum evaso (nel caso di
specie, poi, restituito allo Stato dalle società telefoniche con l’assolvimento
del debito tributario), profitto che copre anche le necessarie “spese” che si
devono sostenere per ottenere il vantaggio patrimoniale perseguito; i soggetti
(nel caso di specie gli attuali ricorrenti) che hanno compiuto operazioni
finanziarie dirette ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa
delle somme di danaro provenienti dal delitto di emissione di fatture per
operazioni inesistenti, hanno come profitto il quantum incassato per compiere
tali attività illecite, quantum versato, appunto, dalla predetta persona fisica o
società quale “spesa” per ottenere il vantaggio patrimoniale perseguito.
E’, quindi, evidente che scoperta la illecita operazione non è possibile
che tutto si risolva unicamente con l’incameramento del debito tributario, pari
al profitto dell’intera operazione di frode fiscale, pagato dalle società
telefoniche e si lasci a disposizione degli imputati quanto illecitamente
ricavato dalla commissione del reato di riciclaggio. Come ben osservato dal
G.U.P. ciò comporterebbe un non consentito consolidamento dell’illecito

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arricchimento degli imputati condannati in via definitiva, tra l’altro, per il reato
di riciclaggio transnazionale (la condanna è definitiva avendo gli imputati
proposto ricorso solo in relazione alla disposta confisca).
Si deve, poi, osservare che il contenuto della sentenza n. 42476 del
2011 a carico dell’imputato Mokbel (coimputato dei ricorrenti) non ha alcuna
incidenza su quanto sopra osservato. Si tratta, infatti, in primo luogo di una
decisione di questa Corte sulla richiesta di riesame proposta avverso il

sequestro preventivo per equivalente. Il coimputato Mokbel si lamentava che
tale sequestro fosse stato disposto per un valore quantificato sulla base del
profitto del reato di frode fiscale (quindi il Mokbel sosteneva una tesi opposta
a quella oggi sostenuta dai ricorrenti). La cassazione ha ritenuto legittimo il
sequestro sulla base di quanto accertato fino a quel momento, affermando
così il principio secondo il quale il valore di riferimento per il sequestro
funzionale alla confisca per equivalente, in caso di delitto di riciclaggio
transnazionale avente ad oggetto i proventi del reato di frode fiscale, deve
essere quantificato sulla base del profitto di tale ultimo reato. Non è un caso
che l’Avvocato Gaito, a pagina 2 dei suoi motivi nuovi e repliche, richiamando
il principio di cui sopra — confermato anche da Sez. 2, Sentenza n. 42120 del
09/10/2012 Cc. – dep. 29/10/2012 – Rv. 253831 — abbia affermato che solo in
prospettiva generale ed astratta, poi, codesta Suprema Corte ha avuto modo
di riaffermare il suddetto principio. Ma, soprattutto, nella sentenza emessa
nel procedimento contro Mokbel non risulta affatto che questi si sia trattenuto
per ogni operazione di trasferimento fondi, quale vantaggio patrimoniale per
ciascuna condotta materiale di riciclaggio effettuata, una quota della somma
ricevuta ed oggetto di successivo ritrasferimento in circolarità, come, invece,
risulta essere avvenuto per gli odierni imputati. Circostanza quest’ultima
diversa e nuova che, comunque, proprio per tale sua novità è idonea a
superare l’eventuale preclusione endoprocessuale del giudicato cautelare (si
veda Sez. 3, Sentenza n. 42476 del 20/09/2013 Cc. – dep. 16/10/2013 – Rv.
257352).
La cosa certa è, quindi, che nel caso di cui ci occupiamo è stato
accertato il reale profitto del reato di riciclaggio transnazionale degli imputati
costituito, appunto, dal margine di profitto che essi hanno trattenuto sulle
somme provento del reato di fatturazione per operazioni inesistenti oggetto di
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riciclaggio. Ciò ha comportato che si abbia una situazione economica
modificata in favore degli imputati in conseguenza dalla commissione del
fatto illecito. Questa Suprema Corte — nella parte motiva della sent. n. 17584
del 2013 — ha affermato che costituisce ormai consolidato principio di diritto
che la confisca per equivalente assolve ad una funzione sostanzialmente
ripristinatoria della situazione economica modificata in favore del reo dalla

patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile. Per tale
ragione, non è necessario che sussista un vincolo di pertinenzlalità tra i beni
ed il reato. Il carattere sanzionatorio della confisca ex art. 322 ter c.p.,
finalizzata a sottrarre dal patrimonio del reo beni per un valore equivalente al
profitto del reato, rende, quindi, irrilevante l’epoca di acquisto dei beni
oggetto della misura ablatoria. Tutti i beni facenti parte del patrimonio
dell’imputato, al momento della condanna, sono, quindi, in astratto suscettibili
di confisca, indipendentemente dall’epoca in cui i medesimi siano pervenuti
nella piena disponibilità del medesimo, purché, come nel caso in esame, si
rientri nell’ambito di un fatto reato commesso in epoca successiva alla
previsione normativa della confiscabilità dei suddetti beni (Sez. 2, Sentenza
n. 17584 del 10/01/2013 Cc. – dep. 17/04/2013 – Rv. 255964).
Si rileva, infine, che il G.U.P. a pagina 9 della sentenza impugnata ha
ben sottolineato la natura di bene fungibile del danaro e che, quindi, non è
possibile rintracciare nella loro individualità, nella sfera patrimoniale degli
imputati, le singole somme di danaro che hanno costituito il profitto delle
condotte di riciclaggio; dunque tale constatazione e quanto sopra evidenziato
(tutti i beni facenti parte del patrimonio dell’imputato, al momento della
condanna, sono in astratto suscettibili di confisca) rendono con evidenza
pienamente legittima la confisca dei beni immobili degli imputati. D’altronde
gli stessi imputati da quando è stato disposto il sequestro preventivo per
equivalente, a quando è stata disposta la confisca (e al dire il vero anche nei
ricorsi) non hanno mai fornito elementi per contrastare quanto sopra
affermato dal G.U.P.; né in particolare hanno evidenziato che gli altri beni
mobili sequestrati (compresi i conti correnti dei quali il G.U.P. rileva che non
è stata mai fornita la consistenza) e poi dissequestrati dal G.U.P. – per
evitare di superare il limite di valore della confisca – fossero di valore

commissione del fatto illecito, mediante l’imposizione di un sacrificio

equivalente al profitto delle operazioni di riciclaggio transnazionale
determinato dal G.U.P. Si deve rilevare che il G.U.P. – in ossequio al principio
di irretroattività ex art. 25 Cost. e 2 c.p. – ha preso in considerazione solo il
profitto del reato di riciclaggio realizzato dopo l’entrata in vigore della L.
146/2011 (si vedano le pagine 8 e 9 impugnata sentenza). Infine sono
apodittiche le contestazioni in ordine alla determinazione del profitto del

Pertanto il G.U.P. ha rispettato pienamente i tre presupposti legittimanti
— anche alla luce di quanto previsto nei trattati e, in particolare, nell’art. 7
CEDU – la confisca per equivalente, indicati nel motivo nuovo degli imputati
O’Connor Paul Anthony e Neave Andrew David. Infatti, ha disposto la
confisca in presenza di una fattispecie incriminatrice rientrante nella nozione
di reato transnazionale, di cui all’art. 3 della predetta legge (presupposto a,
non contestato dai ricorrenti); ha accertato la sussistenza di un profitto
suscettibile di confisca, sino a concorrenza del quale potrà operare
l’ablazione (presupposto b); ha verificato l’impossibilità di confiscare il
profitto/prodotto/prezzo del reato in via diretta (presupposto c).
Quindi anche le doglianze e osservazioni contenute nei motivi nuovi e
note di replica degli imputati sono infondate.
Tutti i ricorsi vanno, pertanto, rigettati.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
rigetta i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati al
pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deliberato in camera di consiglio, il 06/12/2013.

reato, a fronte di un’incensurabile motivazione sul punto.

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