Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11776 del 04/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 11776 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: FIANDANESE FRANCO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di

Mancuso

Salvatore, nato a Limbadi il 23.6.1967, di Ruggiero
Franco, nato a Vibo Valentia il 23.1.1972, di Carrà
Filippo,

nato a Vibo Valentia 1’8.10.1964, avverso

la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro, in
data 7 maggio 2013, di conferma della sentenza del
Tribunale di Lamezia Terme, in data 19 luglio 2012;
Visti gli atti, la sentenza denunziata e il
ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal
consigliere dott. Franco Fiandanese;
Udito il pubblico ministero in persona del
sostituto procuratore generale dott. Gianluigi

1

Data Udienza: 04/02/2014

Pratola, che ha concluso per il rigetto dei
ricorsi;
Uditi i difensori, avv.ti Francesca Binaghi, per
Mancuso Salvatore, Anna Maria Domanico, per
Ruggiero Franco e Carrà Filippo, e Alfredo

per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza in
data 7 maggio 2013, confermava la condanna
pronunciata il 19 luglio 2012 dal Tribunale di
Lamezia Terme nei confronti di Mancuso Salvatore,
Ruggiero Franco e Carrà Filippo, dichiarati
colpevoli di concorso in estorsione aggravata (capo
3) e il Mancuso anche di due tentate estorsioni
(capi 4 e 5), con determinazione della pena per il
Mancuso in anni nove mesi tre di reclusione ed euro
3.000 di multa, per il Ruggiero e il Carrà in anni
otto mesi tre di reclusione ed euro 2.300 di multa.
Propongono ricorso per cassazione i difensori degli
imputati.
Il difensore di Mancuso Salvatore deduce i seguenti
motivi:
1)

violazione di legge e vizio di motivazione con

riferimento al delitto di estorsione di cui al capo

2

Mercatante, per il Carrà, i quali hanno insistito

3) .
Il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata si
limiti a richiamare la motivazione del primo
giudice,

che

si

basa

esclusivamente

sulle

dichiarazioni della persona offesa e, pur

numerose incertezze e contraddizioni, le giustifica
in modo apodittico e contraddittorio con un
presunto profondo stato di soggezione del
dichiarante. Il ricorrente, poi, riporta ampi
stralci dei motivi di appello al fine di dimostrare
che le doglianze difensive sul punto non hanno
trovato risposta anche con riferimento a
circostanze fondamentali.
2)

violazione di legge, travisamento della prova e

vizio di motivazione,

in quanto le dichiarazioni

rese dal collaboratore di giustizia Servello
Angiolino presenterebbero molteplici discrasie e
contraddittorietà, come evidenziato nei motivi di
appello, che il ricorrente riproduce nel testo del
ricorso. Lo stesso ricorrente evidenzia, inoltre,
il contrasto tra le dichiarazioni della persona
offesa, Pellegrini, che ha individuato in
fotografia il Servello come uno dei partecipi alla
condotta estorsiva e le dichiarazioni del Servello,

3

ammettendo che il narrato di questa presenti

il quale, invece, mai afferma di avere partecipato
all’estorsione, pur riferendo di averne avuto
contezza in via indiretta.
3) violazione di legge, travisamento della prova e
vizio

di

motivazione,

con

riferimento

al

riunite, in quanto difetterebbe la compresenza
contestuale, nel luogo e nel tempo, delle più
persone,

poiché,

secondo la tesi difensiva,

l’incontro in un bar di Milano dove sarebbe
avvenuta l’intimidazione della persona offesa si
sarebbe svolto alla presenza di una sola persona,
mentre gli altri erano collocati in una stanzetta
attigua.
4) violazione di legge e vizio di motivazione con
riferimento ai delitti di tentata estorsione di cui
al capi

4)

e 5),

in considerazione delle

innumerevoli genericità, inesattezze,
inverosimiglianze emerse dall’esame dibattimentale
delle persone offese, Catanzaro e Petté.
5) violazione di legge, travisamento della prova e
vizio di motivazione in relazione al riconoscimento
dell’aggravante del metodo mafioso (art. 7 d.l. n.
152 del 1991).
Il ricorrente afferma che la circostanza che

4

la

riconoscimento dell’aggravante delle più persone

persona offesa fosse consapevole della appartenenza
del Mancuso alla famiglia Mancuso di Limbati e
della caratura criminale degli imputati sarebbe
smentita dalle risultanze probatorie, così come
sarebbe smentito dalle risultanze in atti il timore

a testimoniare da parte della persona offesa. Sul
punto il ricorrente riproduce uno stralcio delle
censure formulate con l’atto di appello al fine di
dimostrare la mancata risposta alle doglianze
difensive.
6) violazione di legge e vizio di motivazione con
riferimento al mancato riconoscimento delle
attenuanti generiche, in considerazione della
risalenza temporale di fatti e della sostanziale
incensuratezza degli imputati.
Il difensore di Carrà Filippo e di Ruggero Franco,
con un unico atto, deduce i seguenti motivi:
1) inosservanza di norme previste a pena di nullità
e vizio di motivazione con riferimento al capo 3)
in quanto l’editto di accusa

della rubrica,
difetterebbe

di

requisiti

minimi,

mancando

l’indicazione dell’evento danno, in termini di
quantificazione delle somme estorte, e della
partecipazione di Carrà e Ruggero agli utili,
individuandosi soltanto le condotte attribuibili al

5

4

Mancuso.
2)

inosservanza di norme previste a pena di

inutilizzabílità e vizio di motivazione,

in quanto

dalla documentazione presente in atti emergerebbe
che tutti i decreti di proroga dell’attività

transitati nel presente processo ex art. 270, comma
l, c.p.p., contengono, in riferimento al requisito
della inidoneità degli impianti ex art. 268, comma
3,

c.p.p.,

il richiamo,

attraverso il solo

“sbarrare la crocetta di riferimento”, alla mera
dicitura di legge.
3) inosservanza di norme previste a pena di nullità
e mancata assunzione di prova decisiva,

con

riferimento alla mancata acquisizione del verbale
di udienza di altro processo relativo all’audizione
della persona offesa Pellegrini Francesco Rosario
circa la firma apposta a margine delle fotografie
in sede di individuazione fotografica, nonché
mancata audizione dello stesso Pellegrini sulla
detta individuazione, al fine di evidenziare
circostanze che comprometterebbero la genuinità del
riconoscimento in sede dibattimentale.
4)

inosservanza di norme previste a pena di

inutilizzabilità, travisamento della prova e vizio

6

captativa, disposta da altra autorità giudiziaria e

di motivazione,

circa le modalità di effettuazione

del riconoscimento fotografico da parte della
persona offesa e circa l’indicazione del Carrà
quale concorrente nel reato, mentre esso sarebbe
stato solo dubitativamente individuato

fotograficamente dalla persona offesa, per di più
per la sola partecipazione ad un episodio
secondario e successivo all’estrinsecazione della
condotta estorsiva.
5)

inosservanza di norme previste a pena di

inutilizzabilità, travisamento della prova e vizio
di motivazione,

sia in relazione alla conduzione

dell’esame testimoniale della persona offesa da
parte del presidente del collegio che avrebbe posto
domande suggestive sia con riguardo alla mancata
considerazione e valutazione delle molteplici
genericità, inesattezze, contraddittorietà,
inverosimiglianze e oscillazioni dichiarative della
persona offesa, che sono ricondotte apoditticamente
dalla sentenza impugnata ad un presunto stato di
soggezione del dichiarante nonché di timore per la
sua incolumità. Su quest’ultimo punto il ricorrente
riporta uno stralcio dei motivi di appello al fine
di dimostrare la asserita mancata risposta alle
doglianze difensive.

7

i

6) violazione di legge, travisamento della prova e
vizio di motivazione,
attendibilità

in relazione al giudizio di

offerto

al

dichiarato

del

collaboratore di giustizia Servello Angiolino,
senza tenere conto della molteplici discrasie e

l’atto di appello.
7) violazione di legge, travisamento della prova e
vizio di motivazione in relazione al riconoscimento
della fattispecie consumata in luogo di quella
tentata,

in quanto i versamenti effettuati

sarebbero antecedenti all’intervento estorsivo,
mentre la circostanza relativa al pagamento
effettuato a mani della c.d. “signora Colorno di
Parma” sarebbe inverosimile e slegata dal contesto
estorsivo, in ogni caso la somma degli importi
versati dal Pellegrini al più coprirebbe il
capitale

originariamente

consegnatogli

senza

interessi di qualsiasi tipo.
8) violazione di legge, travisamento della prova e
vizio di motivazione in relazione al riconoscimento
dell’aggravante

più

delle

persone

riunite,

difettando la compresenza contestuale, nel luogo e
nel tempo, delle più persone, per le stesse ragioni
di cui al motivo di ricorso del Mancuso.

8

contraddittorietà segnalate specificamente con

9) violazione di legge, travisamento della prova e
vizio di motivazione in relazione al riconoscimento
dell’aggravante del metodo mafioso,

per le stesse

ragioni di cui al motivo di ricorso del Mancuso.
10) violazione di legge, travisamento della prova e

riconoscimento dell’attenuante del concorso di
minima importanza.
Il ricorrente, riproducendo il contenuto del motivo
di appello sul punto, lamenta la inesistenza di
qualsivoglia apparato argomentativo.
11) violazione di legge e vizio di motivazione in
relazione al trattamento sanzionatorio,
riguardo

all’applicazione

sia con

dell’aumento

per

l’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991
in presenza della già avvenuta applicazione
dell’aumento per l’aggravante ad effetto speciale
dell’art. 629 cpv. c.p., sia con riferimento al
mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
Altro difensore di Carrà Filippo deduce i seguenti
motivi:
l) omessa valutazione di due motivi di appello, uno
relativo alla mancata partecipazione del Carrà ai
fatti contestati, poiché, secondo la censura
difensiva, il suo nome e la sua figura non

9

vizio di motivazione in relazione al mancato

emergerebbero in alcun atto processuale; l’altro
motivo relativo alla intervenuta prescrizione.
2)

di

violazione

legge processuale e vizio

di

motivazione in relazione alla eccezione di nullità
difensore

avv. Mercadante

dell’avviso di cui all’art. 415 bis
dell’avviso di udienza

c-P-P- e

preliminare ex art.

418,

comma 4, c.p.p.
Il ricorrente, rilevato che l’avv. Mercadante era
stato nominato, nell’immediatezza dell’arresto, dal
genitore del Carrà, il quale successivamente
conferiva ulteriore incarico ad altro difensore di
fiducia, contesta la tesi sostenuta dalla Corte di
Appello, secondo la quale la nomina effettuata dai
familiari dell’arrestato perde efficacia in seguito
al nuovo mandato conferito personalmente
dall’imputato.
Con memoria pervenuta il 2 dicembre 2013 il
difensore di Carrà e Ruggero ha depositato sentenza
emessa dalla Corte di Assise di Catanzaro, la cui
acquisizione era stata negata dalla Corte di
Appello, dalla quale si desumerebbe
l’inattendibilità del collaboratore di giustizia
Servello Angiolino.
MOTIVI DELLA DECISIONE

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per omessa notifica al

I motivi dei ricorsi sono infondati e devono essere
rigettati.
Occorre

ribadire

secondo

che,

il

costante

insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai
poteri della Corte di cassazione quello di una

“rilettura” degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione, la cui valutazione è,
in via esclusiva, riservata al giudice di merito,
senza che possa integrare il vizio di legittimità
la mera prospettazione di una diversa, e per il
ricorrente più adeguata, valutazione delle
risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/42/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv. 207944; tra le
più recenti: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 06/02/2004, Elia, Rv. 229369).
Inoltre, è costante l’indirizzo che configura
l’obbligo della motivazione in termini tali da
ritenerlo adempiuto allorché il giudice di merito
abbia dato atto delle ragioni del suo
convincimento, senza che sia necessario l’esame di
tutte le deduzioni difensive delle parti; non
possono giustificare l’annullamento minime
incongruenze argomentative o l’omessa esposizione
di elementi di valutazione che, ad avviso della
parte, avrebbero potuto dar luogo ad una diversa

11

decisione, semprechè tali elementi non siano muniti
di un chiaro e inequivocabile carattere di
decisività

e

non

risultino,

di

per

sé,

obiettivamente intrinsecamente idonei a
determinare una diversa decisione; inoltre, la

estrapolandoli dal contesto in cui essi sono
inseriti, ma devono essere posti a confronto con il
complesso probatorio, dal momento che soltanto una
valutazione globale e una visione di insieme
permettono di verificare se essi rivestano
realmente consistenza decisiva oppure se risultino
inidonei a scuotere la compattezza logica
dell’impianto argomentativo, dovendo intendersi, in
quest’ultimo caso, implicitamente confutati.
Invero, un elemento probatorio estrapolato dal
contesto in cui esso si inserisce, non posto a
raffronto con il complesso probatorio, può
acquisire un significato molto superiore a quello
che gli è attribuibile in una valutazione completa
del quadro delle prove acquisite. Ritenere il vizio
di motivazione per la omessa menzione di un tale
elemento nella sentenza comporterebbe il rischio di
annullamento di decisioni logiche, e ben correlate
alla sostanza degli elementi istruttori

12

rilevanza dei singoli dati non può essere accertata

disponibili. Per ovviare ad un tale rischio, la
Corte di legittimità dovrebbe valutare la portata
dell’elemento additato dalla difesa nel contesto
probatorio acquisito, con una sovrapposizione
argomentativa

che

sconfinerebbe

nei

compiti

dell’il novembre, Maniscalco, Rv. 212053; Sez.

riservati al giudice di merito (Sez. l, n. 13528
2,

n. 18163 del 22/04/2008, Ferdico, Rv. 239789; Sez.
2, n. 9242 del 08/02/2013, Reggio, Rv. 254988).
Le posizioni della giurisprudenza di legittimità
rivelano, dunque, che non è considerata automatica
causa di annullamento la motivazione incompleta né
quella implicita quando l’apparato logico relativo
agli

elementi

probatori

ritenuti

rilevanti

costituisca diretta ed inequivoca confutazione
degli elementi non menzionati, a meno che questi
presentino determinante efficienza e concludenza
probatoria, tanto da giustificare, di per sé, una
differente ricostruzione del fatto e da ribaltare
gli esiti della valutazione delle prove.
Sulla base di tali principi deve rilevarsi, nel
caso di specie, che la decisione impugnata trova
sostegno in un solido apparato argomentativo,
giuridicamente corretto e immune da palesi vizi
logici.

13

i

La sentenza impugnata conduce un esame attento e
analitico circa l’attendibilità della persona
offesa, Pellegrini Francesco, (da pag. 8 a pag.
13), dando atto che i fatti criminosi che vedono il
Pellegrini come persona offesa erano emersi nel

criminose,

mettendo in evidenza “lo stato di

profonda soggezione del Pellegrini e di timore per
la propria incolumità”, rilevando che la
“progressione dichiarativa” della sua testimonianza
era rimasta, comunque, sempre coerente, e che le
incongruenze e incertezze, di cui la sentenza dà
atto, non intaccano “sia il nucleo centrale delle
accuse, sia gli aspetti di contorno alle stesse”,
anche alla luce dei riscontri offerti dalle
deposizioni di Raso Grazia, di Cracolici Raffaele e
di Catanzaro Gaetano, nonché dalle dichiarazioni
del collaboratore di giustizia Servello Angiolino
(pag. 12).
Anche con riferimento a quest’ultimo, la sentenza
impugnata valuta correttamente la credibilità
soggettiva (pag. 16), l’attendibilità intrinseca
delle sue dichiarazioni, pur in presenza di
imprecisioni di cui si dà atto (pag. 17), e la
presenza di riscontri esterni (pag. 17), in

14

Corso di indagini riguardanti altre vicende

particolare per quanto riguarda la partecipazione
dello stesso collaborante all'”incontro di Cutro”
(pag. 15 e 17).
Pertanto, i primi due motivi del ricorso di Mancuso
Salvatore

non possono essere accolti, poiché, in

evidenziati, si risolvono in una inammissibile
ricostruzione dei fatti mediante criteri di
valutazione diversi da quelli adottati dal giudice
di merito, il quale, con motivazione ampia ed
esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato
le ragioni del suo convincimento.
Il terzo motivo di ricorso con il quale si censura
l’applicazione dell’aggravante delle più persone
riunite non è fondato, poiché la sentenza impugnata
ha fatto corretta applicazione del seguente
principio di diritto: nel reato di estorsione, la
circostanza aggravante speciale delle più persone
riunite richiede la simultanea presenza di non meno
di due persone nel luogo ed al momento di
realizzazione della violenza o della minaccia.
(Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, Alberti, Rv.
252518). Infatti, la stessa sentenza, con
motivazione, il cui contenuto in fatto non è
censurabile in questa sede di legittimità, afferma:

15

applicazione dei principi di diritto sopra

”gli

imputati

hanno

agito

congiuntamente,

presentandosi insieme, con un altro soggetto
rimasto sconosciuto, presso il cantiere edile di
Parma per due volte, contattando telefonicamente,
in maniera ripetuta, il Pellegrini e costringendolo

minacciato, sia con riferimento alla sua incolumità
fisica che in relazione ai beni aziendali, e fu
aggredito, anche fisicamente, dal Mancuso” (pag.
18).
Il quarto motivo di ricorso concernente i capi 4) e
5) dell’imputazione, oltre ad essere inammissibili
per le medesime ragioni esposte con riferimento ai
primi due motivi di ricorso, essendo state le
deposizioni delle persone offese accuratamente
valutate anche attraverso riscontri provenienti da
altre dichiarazioni, è anche del tutto generico,
essendo formulato in modo apodittico ed avulso dal
testo motivazionale della sentenza impugnata.
Con riferimento al quinto motivo di ricorso
relativo

all’applicazione

dell’aggravante

del

metodo mafioso, deve rilevarsi che la sentenza
impugnata sviluppa il suo percorso argomentativo
sulla base di molteplici elementi processualmente
emersi: la circostanza che il Pellegrini non abbia

16

a seguirli nel bar di Milano, dove fu gravemente

mai denunciato i fatti di cui era stato vittima,
l’evidente timore nei confronti degli imputati
manifestato nel rendere la sua “sofferta
deposizione”, il fatto che aveva cercato di
risolvere la sua situazione debitoria rivolgendosi

la sua posizione negli ambienti di criminalità
organizzata, poteva essere un valido interlocutore
del Mancuso. Su tali basi, la Corte di merito ha
ritenuto di rinvenire “nella condotta degli
imputati i caratteri dell’idoneità ad esercitare
sulla vittima quella particolare coartazione
psicologica propria delle organizzazione mafiose,
pur non essendo stata contestata agli stessi
l’appartenenza a tale tipo di associazione” (pag.
25): si tratta di una valutazione che, in quanto
priva di vizi logici e giuridici, non è censurabile
in questa sede di legittimità, mentre le censure
difensive si risolvono in una parcellizzata
estrapolazione di contenuti dichiarativi, che non
possono dimostrare alcun travisamento della prova,
ma, al più, sono espressione di una diversa
rilevanza attribuita ad alcuni elementi di fatto
rispetto ad altri, che esula dall’ambito di
cognizione del giudice di legittimità.

17

al boss di Cutro, Grande Aracri Nicolino, che, per

Con riferimento, infine, al mancato riconoscimento
delle attenuanti generiche, secondo la costante
giurisprudenza di questa Suprema Corte, ai fini
dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione, è
sufficiente che il giudice di merito giustifichi

legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla
concessione, senza che sia tenuto ad esaminare
tutte le circostanza prospettate o prospettabili
dalla difesa (Sez. l, 11 gennaio 1994, n. 3772,
Spallina, Rv. 196880; Sez. l, 20 ottobre 1994 -26
gennaio 1995, n. 866, Candela, Rv. 200204; Sez. 4,
20 dicembre 2001 – 28 febbraio 2002, n. 8167,
Zahraoui, Rv. 220885). Nel caso di specie, la
sentenza impugnata ha rispettato tale principio,
facendo riferimento alla gravità dei fatti
accertati e alla personalità degli imputati che
hanno dimostrato una “elevata capacità a
delinquere”, e, quindi, non è in alcun modo
censurabile.
Il primo motivo di ricorso del difensore di
Filippo e di Ruggero Franco,

Carrà

relativo al contenuto

del decreto di citazione a giudizio con riferimento
al capo 3) dell’imputazione, è infondato alla luce
del seguente principio di diritto: In tema di

18

l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla

citazione a giudizio, l’imputazione deve contenere
l’individuazione dei tratti essenziali del fatto di
reato attribuito, dotati di adeguata specificità,
in modo da consentire all’imputato di difendersi,
mentre non è necessaria un’indicazione

n. 16817 del 27/03/2008, Muro, Rv. 239758). La
sentenza impugnata correttamente rileva che
l’omessa quantificazione economica delle somme di
denaro estorte “non lede il diritto di difesa degli
imputati, che hanno avuto la possibilità di
conoscere le imputazioni loro contestate e di
apportare un’adeguata strategia difensiva” (pag.
6), mentre nel capo di imputazione viene indicato
espressamente che tutte le minacce sono state poste
in essere da tutti gli imputati, anche
simultaneamente, mentre la violenza è stata
attribuita al solo Mancuso. Del tutto irrilevante,
inoltre, ai fini della sussistenza della
fattispecie

concorsuale

e,

quindi,

della

completezza dell’imputazione, è la mancata
indicazione della partecipazione agli utili di
Carrà e Ruggero.
Il secondo motivo di ricorso, con il quale si
denuncia la inutilizzabilità dei risultati di

19

assolutamente dettagliata dell’imputazione (Sez. 2,

attività di intercettazione di conversazioni, è del
tutto privo del requisito di specificità, non solo
perché non indica la rilevanza probatoria degli
atti denunciati come inutilizzabili, ma anche
perché è privo delle allegazioni indispensabili

devono essere allegati con il decreto prorogato),
in applicazione del seguente principio di diritto:
in tema di sindacato di legittimità, con
riferimento al divieto di utilizzazione del
risultato delle intercettazioni eseguite fuori dai
casi preveduti dalla legge, il relativo motivo di
ricorso può essere esaminato solo a condizione che
l’atto asseritamente inutilizzabile (o dal quale
consegue l’inutilizzabilità della prova) sia stato
specificamente indicato e faccia parte del
fascicolo trasmesso al giudice di legittimità,
atteso che – pur trattandosi di motivo di carattere
processuale e, pertanto, pur essendo alla Corte
consentito di esaminare il fascicolo del
procedimento – l’applicazione di tale principio
presuppone in concreto che da parte del ricorrente
venga quantomeno indicato l’atto viziato e che esso
sia contenuto nel fascicolo. (Fattispecie relativa
alla mancata indicazione ed allegazione dei

20

(tanto più trattandosi di decreti di proroga, che

provvedimenti asseritamente viziati) (Sez. 2, n.
41142 del 19/09/2013, Rea, Rv. 257336).
Il terzo e il quarto motivo di ricorso, con il
quale si lamenta la mancata assunzione di una prova
decisiva e il vizio di motivazione, sono

manifestamente infondati, in quanto, non solo sul
punto la sentenza impugnata si è espressa
motivatamente, rilevando che la certezza della
prova non discende dal riconoscimento fotografico
effettuato dalla persona offesa, ma dalla
attendibilità accordata alla deposizione della
stessa che si è detta certa dell’individuazione,
ma, per di più, in generale, deve osservarsi che è
prova decisiva, la cui mancata assunzione è
deducibile come motivo di ricorso per cassazione,
solo quella prova che, non assunta o non valutata,
vizia la sentenza intaccandone la struttura
portante (Sez. 3, n. 27581 del 15/06/2010, M., Rv.
248105); nel caso di specie alla prova richiesta,
che avrebbe la finalità di mettere in dubbio
l’attendibilità della testimonianza, non si può
riconoscere preventivamente un’efficacia decisiva,
ossia la capacità di contrastare le acquisizioni
processuali elidendone l’efficacia e provocando una
decisione contraria, trattandosi di una prova

21

i

aperta ad ogni esito, la quale, pertanto, non
rientra nella categoria della prova decisiva di cui
all’art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc.
pen.
Il quinto motivo di ricorso, nella sua prima parte,

testimoniale della persona offesa, è manifestamente
infondato, in quanto, in tema di esame
testimoniale, la violazione del divieto di porre
domande non pertinenti o suggestive, da un lato,
non determina l’inutilizzabilità della
testimonianza, in quanto tale sanzione riguarda le
prove vietate dal codice di rito e non la
regolarità dell’assunzione di quelle consentite,
dall’altro, non è sanzionata da nullità in virtù
del principio di tassatività (Sez. 3, n. 35910 del
25/06/2008, Ouertatani, Rv. 241090).
La seconda parte del quinto motivo di ricorso, in
cui si censura l’attendibilità della persona offesa
e il sesto motivo di ricorso, con il quale si
afferma la inattendibilità del collaboratore di
giustizia, Servello Angiolino, non sono
accoglibili, per le ragioni sopra espresse con
riferimento agli analoghi motivi, primo e secondo,
del ricorso di Mancuso.

22

in cui si censura la conduzione dell’esame

Il settimo motivo di ricorso, con il quale si
deduce il mancato versamento di somme come
conseguenza dell’intervento estorsivo o, al più, il
versamento di somme corrispondenti al capitale
consegnato al Pellegrini senza interessi, da un

inammissibile diversa valutazione delle emergenze
probatorie, che hanno condotto il giudice di merito
a ritenere l’estorsione consumata (pagg. 11 e 18),
dall’altro lato, è manifestamente infondato, poiché
anche la semplice restituzione del capitale non è
dovuta se riconducibile, come nel caso di specie,
ad un accordo usurario.
L’ottavo e il nono motivo di ricorso, riguardanti
rispettivamente, l’aggravante delle più persone
riunite e quella del metodo mafioso, sono
infondati, per le ragioni già espresse con
riferimento agli analoghi motivi, terzo e quinto,
del ricorso di Mancuso.
Il decimo motivo di ricorso, con il quale si
lamenta il difetto di motivazione sul mancato
riconoscimento dell’attenuante del concorso di
minima importanza, è manifestamente infondato,
poiché la sentenza impugnata espressamente afferma
che Carrà e Ruggiero hanno agito attivamente,

23

lato, non è consentito, perché prospetta una

minacciando il Pellegrini, dapprima a Parma e poi a
Milano, “fornendo un contributo causale rilevante
alle diverse fasi esecutive dell’impresa estorsiva”
(pag. 17).
La doglianza di cui all’undicesimo motivo di

aumenti per ciascuna delle due aggravanti ad
effetto speciale, non è fondata, sia che si
aderisca alla tesi della Corte di Appello, la quale
interpreta la sentenza del primo giudice nel senso
che è stato operato un solo aumento nel rispetto
del disposto di cui all’art. 63, comma 4, c.p., sia
che si interpreti la stessa sentenza nel senso che
abbia applicato un aumento per un aggravante ad
effetto speciale dopo l’applicazione di un’altra
aggravante ad effetto speciale, posto che il
disposto del citato comma 4 dell’art. 63 stabilisce
che in caso di concorso di più aggravanti ad
effetto speciale si applica solo la pena stabilita
per la circostanza più grave, ma “il giudice può
aumentarla” e l’aumento operato dal primo giudice
per la seconda aggravante sarebbe comunque nei
limiti di legge e, quindi, la pena non sarebbe
illegale.
Per

quanto

concerne,

infine,

24

il

mancato

ricorso, relativa alla presunta applicazione di due

riconoscimento delle attenuanti generiche, il
relativo motivo di ricorso non è accoglibile per le
ragioni già espresse con riferimento all’analogo
sesto motivo di ricorso di Mancuso.
Con riferimento ai motivi del ricorso presentato da

altro difensore del Carrà, si osserva:
– che il primo motivo di ricorso è manifestamente
infondato nella parte in cui deduce la mancata
partecipazione del Carrà ai fatti contestati,
partecipazione che, invece, emerge evidente dal
testo complessivo della sentenza impugnata (v.
conclusioni a pag. 17), ed è anche del tutto
generico nella parte in cui eccepisce l’intervenuta
prescrizione, che, invece, non risulta affatto
maturata.
– che l’eccezione di nullità per omessa notifica
dell’avviso dell’udienza preliminare all’avv.
Mercadante è infondato, poiché questo collegio
condivide, nonostante un contrario ma risalente
precedente, il seguente principio di diritto: la
legittimazione sostitutiva, riconosciuta dall’art.
96, coma terzo, cod. proc. pen. al prossimo
congiunto, ha carattere eccezionale e temporaneo e
il presupposto della stessa è rigorosamente legato
alle difficoltà di provvedere personalmente alla
(

25

designazione di un difensore in dipendenza della
condizione di persona arrestata, fermata o in stato
di custodia cautelare. Conseguentemente, il legale
scelto dal prossimo congiunto resta sprovvisto
dell’eccezionale titolo abilitativo allo

queste difficoltà siano venute meno e l’indagato
sottoposto a limitazione della libertà personale
abbia nominato un diverso difensore (Sez. l, n.
25323 del 29/04/2003, Fotia, Rv. 229673). Comunque,
non risulta che l’eccezione, trattandosi in ipotesi
di nullità a regime intermedio, sia stata proposta
tempestivamente in udienza.
Deve, infine, rilevarsi che non può essere
esaminata la sentenza della Corte di Assise di
Catanzaro, allegata alla memoria depositata il 2
dicembre 2013, in quanto trattasi di sentenza non
definitiva, il cui esame comporta un’attività di
apprezzamento circa la sua efficacia nel contesto
delle prove già raccolte e valutate dai giudici di
merito, che non è consentita in questa sede di
legittimità.
Al rigetto dei ricorsi consegue ex art. 616 c.p.p.
la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.

26

svolgimento del mandato difensivo una volta che

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al
pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 4 febbraio 2014.

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