Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11767 del 30/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 11767 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 30/01/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di LACCHINI Lorella, n. a Marta
(VT) il 18.01.1961, rappresentata ed assistita dall’avv. Carlo Mezzetti,
avverso la sentenza n. 8688/2008 della Corte d’Appello di Roma,
seconda sezione penale, in data 13.12.2012;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
viste le conclusioni del Sostituto procuratore generale dott. Paolo
Canevelli che ha chiesto l’annullamento senza rinvio per nullità della
sentenza di secondo grado;
sentita la discussione della difesa che ha concluso chiedendo
l’annullamento del provvedimento impugnato.

RITENUTO IN FATTO

1

1. Con la pronuncia impugnata, la Corte d’Appello di Roma, seconda
sezione penale, in riforma della sentenza del Tribunale di Viterbo,
sezione distaccata di Montefiascone in data 06.12.2007 appellata da
LACCHINI Lorella, dichiarava non doversi procedere a carico della
stessa in ordine ai capi A), B) ed E) della rubrica perché estinti per
prescrizione, rideterminando la pena finale, con riferimento ai capi
C) e D) d’imputazione (entrambi relativi alla contestazione di cui

agli artt. 110, 633, 639-bis cod. pen.), in mesi sei e giorni dieci di
reclusione.
2.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma, seconda sezione
penale, nell’interesse di LACCHINI Lorella veniva proposto ricorso
per cassazione per i seguenti motivi:
-violazione dell’art. 606, comma 1 lett. c) cod. proc. pen. in relazione
agli artt. 178 lett. c) e 179, comma 1 cod. proc. pen., per omessa
citazione dell’imputata (primo motivo);
-violazione dell’art. 606, comma 1 lett. c) cod. proc. pen. in relazione
all’art. 601, comma 6 cod. proc. pen. per non corretta identificazione
dell’imputata (secondo motivo);
-violazione dell’art. 606, comma 1 lett. e) cod. proc. pen.: mancanza
della motivazione in relazione alla materiale esecuzione delle opere
contestate (terzo motivo).
In relazione al primo motivo, evidenzia la ricorrente come a seguito di
impugnazione avverso la sentenza pronunciata in primo grado, veniva
fissata per il 19.05.2012 l’udienza avanti alla Corte d’Appello di Roma,
seconda sezione penale, per la celebrazione del giudizio di secondo
grado. In tale sede il Collegio, in assenza della prova della citazione
dell’imputata e della sua comparizione, rinviava il processo all’udienza
del 23.10.2012, disponendo la rinnovazione della notificazione.
La citazione dell’imputata per l’udienza del 23.10.2012 risulta affetta
da due gravi vizi. Invero:
– l’atto indica come imputata tale “Iachetti”e non la Lacchini;
-nella relata di notifica dell’08.06.2012, si legge che l’atto sarebbe
stato notificato a tale “Lacchetti”.
Appariva quindi evidente la nullità assoluta di tale notifica, non
recapitata all’imputata e non indicante la Lacchini quale destinataria
dell’atto. In quella sede l’udienza veniva differita al 13.12.2012 per
l’adesione del difensore alla giornata di astensione dalle udienze penali

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proclamata dall’Unione Camere Penali Italiane; all’udienza del
13.12.2012, veniva dichiarata la contumacia della Lacchini e
pronunciata la sentenza di condanna a suo carico oggetto del presente
gravame.
In relazione al secondo motivo, lamenta la ricorrente la non certa
identificazione dell’imputata, indicata con un nominativo (“Iachetti”)
non proprio.

In relazione al terzo motivo, lamenta la ricorrente come nelle
imputazioni a suo carico la LACCHINI viene indicata quale “locataria
committente” per reati che materialmente sarebbero stati realizzati dai
concorrenti, tutti prossimi congiunti dell’imputata. Peraltro, con la
sentenza di primo grado i pretesi esecutori materiali sono andati tutti
assolti. La pronuncia di primo grado a carico della LACCHINI,
nell’affermare la qualità di committente della stessa, non specifica
come i reati, nella loro materialità, sarebbero stati compiuti. Parimenti,
la sentenza di secondo grado, non solo non colma tale grave lacuna
motivazionale, ma sul punto appare sfumata e dubitativa, tralasciando
di entrare nel merito della materiale esecuzione delle opere. In realtà,
la ricostruzione – seppure sommaria – delle modalità materiali con le
quali le opere sarebbero state effettuate e delle quali si assume che la
LACCHINI sarebbe la committente, appare come elemento
imprescindibile della sentenza di condanna, con conseguente grave
lacuna della motivazione su un elemento fondamentale per la
ricostruzione del fatto contestato alla ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, va dichiarato
inammissibile.
4.

Prima di passare alla trattazione dei motivi di ricorso proposti, si ritiene
necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di
legittimità, delineati dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.,
come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del
2006, che, a parere di questo Collegio, la predetta novella non ha
comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare
un’indagine sul discorso giustificativo della decisione finalizzata a
sovrapporre una propria valutazione a quella già effettuata dai giudici

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di merito, dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare
l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso
per sottolineare il suo convincimento. La mancata rispondenza di
queste ultime alle acquisizioni processuali può, soltanto ora, essere
dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d. travisamento
della prova, purché siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le
prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in

volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da
rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da
parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od
un esame parcellizzato.
L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, poi, deve
risultare di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il
sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato
le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal senso,
conservano validità, e meritano di essere tuttora condivise, Cass., Sez.
un., n. 24 del 24/11/1999-dep. 16/12/1999, Spina, rv. 214794; Id., n.
12 del 31/05/2000-dep. 23/06/2000,3akani, rv. 216260; Id., n. 47289
del 24/09/2003-dep. 10/12/2003, Petrella, rv. 226074). A tal riguardo,
deve tuttora escludersi sia la possibilità di un’analisi orientata ad
esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti, nonché i motivi
di ricorso su di essi imperniati ed a fornire risposte circoscritte ai
diversi atti ed ai motivi ad essi relativi (Cass., Sez. 6, n. 14624 del
20/03/2006-dep. 27/04/2006, Vecchio, rv. 233621; Cass., Sez. 2, n.
18163 del 22/04/2008-dep. 06/05/2008, Ferdico, rv. 239789), che la
possibilità per il giudice di legittimità di una rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass.,
Sez. 6, n. 27429 del 04/07/2006-dep. 01/08/2006, Lobriglio, rv.
234559; Id., n. 25255 del 14/02/2012-dep. 26/06/2012, Minervini, rv.
253099).
Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen. intenda far valere il vizio di

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«travisamento

della

prova»

(consistente

nell’utilizzazione

di

un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una
prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od
omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato
motivazionale sottoposto a critica) deve, inoltre, a pena di
inammissibilità (Cass., Sez. 1, n. 20344 del 18/05/2006-dep.
14/06/2006, Salaj, rv. 234115; Cass., Sez. 6, n. 45036 del

02/12/2010-dep. 22/12/2010, Damiano, rv. 249035):
(a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la
doglianza;
(b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto
emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione
svolta nella sentenza impugnata;
(c)

dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato

probatorio

invocato,

nonché

dell’effettiva

esistenza

dell’atto

processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori
ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento;
(d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e
compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza
della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità”
all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.
Il giudice di legittimità ha, ai sensi del novellato art. 606 cod. proc.
pen., il compito di accertare (Cass., Sez. 6, n. 35964 del 28/09/2006dep. 26/10/2006, Foschini ed altro, rv. 234622; Cass., Sez. 3, n.
39729 del 18/06/2009-dep. 12/10/2009, Belluccia ed altro, rv.
244623; Cass., Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007-dep. 23/10/2007,
Casavola ed altri, rv. 238215):
(a) il contenuto del ricorso (che deve contenere gli elementi sopra
individuati);
(b) la decisività del materiale probatorio richiamato (che deve essere
tale da disarticolare l’intero ragionamento del giudicante o da
determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione);
(c) l’esistenza di una radicale incompatibilità con l’iter motivazionale
seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto (non
essendo il giudice di legittimità obbligato a prendere visione degli atti
processuali anche se specificamente indicati, ove non risulti detto
requisito);

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(d) la sussistenza di una prova omessa o inventata, e del c.d.
«travisamento del fatto», ma solo qualora la difformità della realtà
storica sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu ocull ed assuma
anche carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi
probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio valutativo non
sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico quindi,
anche contraddittorio).

Anche il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le
argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono
essere disattese per implicito o per aver seguito un differente iter
motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione
effettuata (per tutte, Cass., Sez. 6, n. 1307 del 26/09/2002-dep.
14/01/2003, Delvai, rv. 223061).
In presenza di una doppia conformtaffermazione di responsabilità, va,
peraltro, ritenuta l’ammissibilità della motivazione della sentenza
d’appello per relationem a quella della decisione impugnata, sempre
che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non
contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e
disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione del controllo
della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata,
non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite
dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il
primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici,
non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le
motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si
integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile
al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della
congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano
esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di
primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed
ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle
sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass.,
Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993-dep. 04/02/1994, Albergamo ed altri,
rv. 197250; Cass., Sez. 3, n. 13926 del 10/12/2011-dep. 12/04/2012,
Valerio, rv. 252615).
Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione «oltre
ogni ragionevole dubbio», presente nel testo novellato dell’art. 533

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cod. proc. pen. quale parametro cui conformare la valutazione inerente
all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è opportuno
evidenziare che, al di là dell’icastica espressione, mutuata dal diritto
anglosassone, ne costituiscono fondamento il principio costituzionale
della presunzione di innocenza e la cultura della prova e della sua
valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale. Si è, in
proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una

funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in
precedenza, il «ragionevole dubbio» sulla colpevolezza dell’imputato ne
comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’art. 530,
comma 2 cod. proc. pen., sicché non si è in presenza di un diverso e
più rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a quello
precedentemente adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il
principio, già in precedenza immanente nel nostro ordinamento
costituzionale ed ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla
giurisprudenza di questa Corte Suprema – per tutte, cfr. Cass., Sez.
un., n. 30328 del 10/07/2002-dep. 11/09/2002, Franzese, rv. 222139
– e solo successivamente recepita nel testo novellato dell’art. 533 cod.
proc. pen.), secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia
la certezza processuale assoluta della responsabilità dell’imputato (cfr.
Cass., Sez. 2, n. 19575 del 21/04/2006-dep. 07/06/2006, Serino ed
altro, rv. 233785; Id., n. 16357 del 02/04/2008-dep. 18/04/2008,
Crisiglione, rv. 239795; Id., n. 7035 del 09/11/2012-dep. 13/02/2013,
De Bartolomei ed altro, rv. 254025).
Alla luce di queste necessarie premesse va esaminato l’odierno ricorso.
5. I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente.
Al riguardo va premesso come la questione in ordine all’avvenuta
corretta individuazione ezkitkxlid3:1=ktne dell’imputata e rituale
citazione della stessa per il giudizio d’appello, attesa la specifica
indicazione – da parte del deducente – degli atti dai quale si ritiene che
siano derivate conseguenze giuridiche pregiudizievoli, impone un
accertamento in fatto con doveroso accesso al fascicolo processuale
(Cass., Sez. 4, n. 25310 del 07/04/2004-dep. 07/06/2004, Ardovino e
altri, rv. 228953).
Rileva il Collegio come nel decreto di citazione per il giudizio d’appello
datato 31.05.2012 che prevedeva la comparizione per l’udienza del
23.10.2012 l’imputata LACCHINI Lorella, nata a Marta il 18/01/1961,

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veniva erroneamente indicata con il nominativo di Iachetti Lorella (con
indicazione di luogo e data di nascita correttamente indicati) pur se la
medesima non solo veniva raggiunta nel proprio domicilio eletto di
Capodimonte Strada Capodimonte via Gradoli 11 ma riceveva anche
l’atto ritirandolo a mani proprie in data 08.06.2012, nel rispetto dei
termini a comparire, come attestato dalla relata di notificazione che
indicava come tale Iachetti Lorella avesse ricevuto l’atto a mani

proprie.
All’udienza del 23.10.2012 (differita per l’adesione del difensore
all’astensione dalle udienze indetta dalla categoria professionale di
appartenenza) ove la Lacchini non compariva, il Collegio, senza
procedere all’accertamento della regolare costituzione delle parti,
differiva il dibattimento all’udienza del 13.12.2012, ove nella
persistente assenza dell’imputata già regolarmente citata per la
precedente udienza, veniva dichiarata contumace.
La chiamata in giudizio di LACCHINI Lorella, correttamente identificata
non essendosi dedotto né potendosi fondatamente immaginare che nel
medesimo indirizzo di residenza/domicilio della LACCHINI potesse
dimorare altra persona di nome Iachetti Lorella nata lo stesso giorno e
nello stesso luogo della LACCHINI, non lasciando adito a dubbi su chi
fosse il reale destinatario dell’atto e chi lo avesse materialmente
ritirato, deve considerarsi valida: da qui la manifesta infondatezza dei
primi due motivi di doglianza.
6. Pari giudizio di inammissibilità involge il terzo motivo di doglianza.
Anche qui si rende doveroso premettere come lo sviluppo
argomentativo della motivazione della sentenza impugnata, da
integrarsi con quella di primo grado, sia fondato su una coerente
analisi critica degli elementi di prova e sulla loro coordinazione in un
organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di
adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi
del requisito della sufficienza, rispetto al tema di indagine concernente
la responsabilità della ricorrente in ordine ai reati contestati.
La motivazione della sentenza impugnata supera il vaglio di legittimità
demandato a questa Corte, alla quale non è tuttora consentito di
procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti magari finalizzata,
nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in
termini diversi da quelli fatti propri dal giudice del merito.

8

La censura proposta con il terzo motivo appare inammissibile posto
che, con la stessa, sul presupposto di una pretesa contestazione di
illogicità argomentativa, si sollevano doglianze di merito, non
condividendosi dalla ricorrente le conclusioni attinte ed anzi
proponendosi versioni più persuasive di quelle dispiegate nella
sentenza impugnata.
Ciò premesso, la sentenza d’Appello, con motivazione congrua e scevra

LACCHINI, originari coimputati quali esecutori delle opere, fossero stati
assolti, non incide sull’attribuibilità dei reati alla medesima contestati,
posto che dette opere poterono essere state eseguite da persone
diverse su indicazione della stessa LACCHINI, con conseguente
responsabilità di quest’ultima a titolo di concorso; né in alcun modo si
è determinata modifica del fatto contestato atteso che la condotta e il
fatto storico non risultano mutati e la LACCHINI è stata pienamente in
grado di difendersi dalle accuse indipendentemente dall’individuazione
o meno degli autori materiali dei reati alla stessa contestati.
7. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché
al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma
che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in euro 1.000,00

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 30.1.2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

da vizi logici e giuridici, chiarisce che il fatto che i familiari della

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