Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11766 del 30/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 11766 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 30/01/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di SCIMONELLI Giuseppe Maurizio,
n. a Caltanissetta il 02.06.1986, agli arresti domiciliari per questa
causa, rappresentato ed assistito dall’avv. Maria Francesca Assennato
avverso la sentenza n. 371/2013 della Corte d’Appello di
Caltanissetta, seconda sezione penale, in data 18.07.2013;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
viste le conclusioni del Sostituto procuratore generale dott. Paolo
Canevelli che ha chiesto di dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la pronuncia impugnata, la Corte d’Appello di Caltanissetta,
seconda sezione penale, confermava la sentenza, resa all’esito di

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giudizio abbreviato, emessa dal Tribunale di Caltanissetta in
composizione monocratica in data 21.03.2013, appellata da
SCIMONELLI Giuseppe Maurizio, con la quale lo stesso era stato
condannato alla pena di anni uno e mesi due di reclusione per i
reati, ritenuti avvinti dal vincolo della continuazione, di cui agli artt.
582, commi 1 e 2, 585, comma 1 cod. pen. in riferimento all’art.
576, n. 5-bis cod. pen. (capo A), 75, comma 2 d.lvo n. 159/2011

(capo B).
2. Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Caltanissetta, seconda
sezione penale, nell’interesse di SCIMONELLI Giuseppe Maurizio
veniva proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:
– mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione
ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen. in ordine alla sostenuta
insussistenza dell’elemento psicologico del reato di lesioni (primo
motivo);
– inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606
lett. b) cod. proc. pen. in relazione alla mancata concessione delle
circostanze attenuanti generiche (secondo motivo);
– inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606
lett. b) cod. proc. pen.; mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen. in
relazione alla chiesta riduzione della pena irrogata (terzo motivo).
In relazione al primo motivo, lamenta il ricorrente come la Corte
d’Appello di Caltanissetta abbia apoditticamente affermato che lo
SCIMONELLI si fosse volontariamente posto nelle condizioni di non
rispettare le prescrizioni imposte dal suo stato di sorvegliato
speciale e che l’impiego di forza fisica era stato diretto
“volontariamente” in danno degli Agenti di Polizia.
In relazione al secondo motivo, lamenta il ricorrente come la Corte
d’Appello di Caltanissetta, nel disattendere la richiesta difensiva di
concessione delle circostanze attenuanti generiche, avesse definito
neutro l’ottimo comportamento processuale dell’imputato
affermando altresì che la sussistenza di precedenti penali fosse di
per sé ostativa al loro riconoscimento.
In relazione al terzo motivo, lamenta il ricorrente come la Corte
d’Appello di Caltanissetta abbia errato nel ritenere che l’aumento di
pena per la recidiva avrebbe dovuto essere anteposto rispetto

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all’aumento per la sussistente continuazione e non abbia altresì
provveduto a fornire corretta motivazione in ordine alla richiesta di
ridimensionamento della pena applicata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, va dichiarato

inammissibile in quanto reitera i motivi d’appello già disattesi con
congrua ed adeguata motivazione da parte dei giudici di merito.
4.

Prima di passare alla trattazione dei motivi di ricorso proposti, si ritiene
necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di
legittimità, delineati dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.,
come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del
2006, che, a parere di questo Collegio, la predetta novella non ha
comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare
un’indagine sul discorso giustificativo della decisione finalizzata a
sovrapporre una propria valutazione a quella già effettuata dai giudici
di merito, dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare
l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso
per sottolineare il suo convincimento. La mancata rispondenza di
queste ultime alle acquisizioni processuali può, soltanto ora, essere
dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d. travisamento
della prova, purché siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le
prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in
volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da
rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da
parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od
un esame parcellizzato.
L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, poi, deve
risultare di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, dovendo il
sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato
le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal senso,
conservano validità, e meritano di essere tuttora condivise, Cass., Sez.

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un., n. 24 del 24/11/1999-dep. 16/12/1999, Spina, rv. 214794; Id., n.
12 del 31/05/2000-dep. 23/06/2000, .lakani, rv. 216260; Id., n. 47289
del 24/09/2003-dep. 10/12/2003, Petrella, rv. 226074). A tal riguardo,
deve tuttora escludersi sia la possibilità di un’analisi orientata ad
esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti, nonché i motivi
di ricorso su di essi imperniati ed a fornire risposte circoscritte ai
diversi atti ed ai motivi ad essi relativi (Cass., Sez. 6, n. 14624 del

20/03/2006-dep. 27/04/2006, Vecchio, rv. 233621; Cass., Sez. 2, n.
18163 del 22/04/2008-dep. 06/05/2008, Ferdico, rv. 239789), che la
possibilità per il giudice di legittimità di una rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass.,
Sez. 6, n. 27429 del 04/07/2006-dep. 01/08/2006, Lobriglio, rv.
234559; Id., n. 25255 del 14/02/2012-dep. 26/06/2012, Minervini, rv.
253099).
Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen. intenda far valere il vizio di
«travisamento della prova» (consistente nell’utilizzazione di
un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una
prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od
omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato
motivazionale sottoposto a critica) deve, inoltre, a pena di
inammissibilità (Cass., Sez. 1, n. 20344 del 18/05/2006-dep.
14/06/2006, Salaj, rv. 234115; Cass., Sez. 6, n. 45036 del
02/12/2010-dep. 22/12/2010, Damiano, rv. 249035):
(a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la
doglianza;
(b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto
emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione
svolta nella sentenza impugnata;
(c)

dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato

probatorio

invocato,

nonché

dell’effettiva

esistenza

dell’atto

processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori
ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento;
(d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e
compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza
della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità”

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all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.
Il giudice di legittimità ha, ai sensi del novellato art. 606 cod. proc.
pen., il compito di accertare (Cass., Sez. 6, n. 35964 del 28/09/2006dep. 26/10/2006, Foschini ed altro, rv. 234622; Cass., Sez. 3, n.
39729 del 18/06/2009-dep. 12/10/2009, Belluccia ed altro, rv.
244623; Cass., Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007-dep. 23/10/2007,
Casavola ed altri, rv. 238215):

(a) il contenuto del ricorso (che deve contenere gli elementi sopra
individuati);
(b) la decisività del materiale probatorio richiamato (che deve essere
tale da disarticolare l’intero ragionamento del giudicante o da
determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione);
(c) l’esistenza di una radicale incompatibilità con l’iter motivazionale
seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto (non
essendo il giudice di legittimità obbligato a prendere visione degli atti
processuali anche se specificamente indicati, ove non risulti detto
requisito);
(d)

la sussistenza di una prova omessa o inventata, e del c.d.

«travisamento del fatto», ma solo qualora la difformità della realtà
storica sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu ()cui/ ed assuma
anche carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi
probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio valutativo non
sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico quindi,
anche contraddittorio).
Anche il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le
argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono
essere disattese per implicito o per aver seguito un differente iter
motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione
effettuata (per tutte, Cass., Sez. 6, n. 1307 del 26/09/2002-dep.
14/01/2003, Delvai, rv. 223061).
In presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità, va,
peraltro, ritenuta l’ammissibilità della motivazione della sentenza
d’appello per relationem a quella della decisione impugnata, sempre
che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non
contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e
disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione del controllo
della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata,

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non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite
dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il
primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici,
non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le
motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si
integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile
al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della

congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano
esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di
primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed
ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle
sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass.,
Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993-dep. 04/02/1994, Albergamo ed altri,
rv. 197250; Cass., Sez. 3, n. 13926 del 10/12/2011-dep. 12/04/2012,
Valerio, rv. 252615).
Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione «oltre
ogni ragionevole dubbio», presente nel testo novellato dell’art. 533
cod. proc. pen. quale parametro cui conformare la valutazione inerente
all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è opportuno
evidenziare che, al di là dell’icastica espressione, mutuata dal diritto
anglosassone, ne costituiscono fondamento il principio costituzionale
della presunzione di innocenza e la cultura della prova e della sua
valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale. Si è, in
proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una
funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in
precedenza, il «ragionevole dubbio» sulla colpevolezza dell’imputato ne
comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’art. 530,
comma 2 cod. proc. pen., sicché non si è in presenza di un diverso e
più rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a quello
precedentemente adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il
principio, già in precedenza immanente nel nostro ordinamento
costituzionale ed ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla
giurisprudenza di questa Corte Suprema – per tutte, cfr. Cass., Sez.
un., n. 30328 del 10/07/2002-dep. 11/09/2002, Franzese, rv. 222139
– e solo successivamente recepita nel testo novellato dell’art. 533 cod.
proc. pen.), secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia
la certezza processuale assoluta della responsabilità dell’imputato (cfr.

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Cass., Sez. 2, n. 19575 del 21/04/2006-dep. 07/06/2006, Serino ed
altro, rv. 233785; Id., n. 16357 del 02/04/2008-dep. 18/04/2008,
Crisiglione, rv. 239795; Id., n. 7035 del 09/11/2012-dep. 13/02/2013,
De Bartolomei ed altro, rv. 254025).
5. Alla luce di queste necessarie premesse va esaminato l’odierno ricorso.
6. In relazione al primo motivo, la Corte d’Appello, con motivazione
logica ed assolutamente immune da vizi, ha riconosciuto come

obblighi inerenti il proprio

l’imputato, pur avendo avuto piena e perfetta contezza degli
status di sorvegliato speciale, si è

volontariamente posto nelle condizioni di non rispettarli e, dopo
essere stato sorpreso all’interno di un bar in orario non consentito,
ebbe ad aggredire uno dei due agenti operanti dopo essere stato
reiteratamente invitato a salire a bordo dell’autovettura di servizio
per l’espletamento delle procedure di rito e, quindi, nella perfetta
consapevolezza della realtà dell’accadimento al momento vissuto: il
di lui conseguente impiego di energia fisica attiva in danno di uno
dei due agenti operanti, è stato dunque sorretto da dolo diretto,
dovendosi così disattendere la tesi difensiva dell’assenza di
intenzionalità dell’agire da parte dell’imputato.
7. In relazione al secondo motivo, altrettanto congrua e logica si
profila la motivazione della Corte d’Appello che, in ordine al diniego
della concessione delle circostanze attenuanti generiche, aveva
condiviso l’apprezzamento negativo operato dal giudice di primo
grado avuto riguardo ai numerosi e gravi precedenti penali
dell’imputato, di per sé indicativi di una non trascurabile capacità a
delinquere che non aveva trovato alcun concreto elemento di
smentita, in una situazione nella quale, a fronte di un’avvenuta
sorpresa in flagranza di reato, la confessione aveva finito per porsi
come fatto del tutto neutro.
8. In relazione al terzo motivo, assolutamente immune da censure è il
ragionamento operato dalla Corte d’Appello che aveva stigmatizzato
l’operato del giudice di primo grado il quale, anteponendo
erroneamente l’aumento di pena per la continuazione con il reato
satellite rispetto all’aumento di pena per la contestata recidiva, era
in sostanza giunto, con la diminuente per il rito, ad irrogare
all’imputato una misura di pena inferiore rispetto a quella a cui
sarebbe dovuto pervenire seguendo i corretti criteri di calcolo: su

7

tali presupposti, il giudice di secondo grado aveva correttamente
disatteso il motivo subordinato di gravame riguardante la richiesta
riduzione dell’irrogato trattamento sanzionatorio, di fatto
corrispondente al

quantum di aumento di pena per la ritenuta

recidiva.
9. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché

che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in euro 1.000,00

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali nonché della somma di euro 1.000,00 alla
Cassa delle ammende.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 30.1.2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Dott. And ea Pellegrino

ibero Carmenini

al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma

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