Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11765 del 30/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 11765 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 30/01/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di SILVESTRI Ippolito, n. a Roma il
09.09.1968, rappresentato ed assistito dall’avv. Giuseppe Squitieri,
avverso la sentenza n. 2733/2013 della Corte d’Appello di Roma,
prima sezione penale, in data 30.05.2013;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
letta la memoria difensiva a firma avv. Squitieri depositata in data
28.01.2014;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
viste le conclusioni del Sostituto procuratore generale dott. Paolo
Canevelli che ha chiesto di rigettarsi il ricorso;
sentita la discussione della difesa che ha concluso chiedendo
l’annullamento del provvedimento impugnato.

RITENUTO IN FATTO

i

1. Con la pronuncia impugnata, la Corte d’Appello di Roma, prima
sezione penale, confermava la sentenza pronunciata in primo grado
dal Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Roma in
data 25.09.2012 con la quale, all’esito di giudizio abbreviato,
SILVESTRI Ippolito era stato condannato alla pena di anni tre di
reclusione ed euro 1.000,00 di multa per il reato di rapina aggravata

Il Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Roma era
pervenuto all’affermazione della penale responsabilità del SILVESTRI
avuto riguardo agli atti contenuti nel fascicolo processuale e tutti
utilizzabili in ragione del rito richiesto, ed in particolare alle
dichiarazioni rese dalla persona offesa, Calvitti Giovanni, e da
Bernardi Davide, presente alla rapina, alle individuazioni
fotografiche da questi ultimi effettuate nonché alla relazione tecnica
eseguita dalla Direzione Centrale della Polizia Criminale, Servizio
Polizia Scientifica, ed attestante quest’ultima l’identità tra l’impronta
rilevata dalla polizia giudiziaria in sede di sopralluogo sul finestrino
posteriore sinistro dell’autovettura all’interno della quale si trovava
il Calvitti al momento della patita rapina e quella del palmo della
mano destra del SILVESTRI, già fotosegnalato in ragione dei suoi
precedenti penali.
2. Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma, prima sezione
penale, nell’interesse di SILVESTRI Ippolito veniva proposto ricorso
per cassazione per i seguenti motivi:
-violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b), c), d) ed e) cod. proc.
pen. relativamente all’errata declaratoria di colpevolezza basata
esclusivamente su un singolo elemento indiziante (impronta
papillare), eletto a rango di certezza scientifica e in ogni caso non
assunto nel rispetto delle forme e garanzie di legge; mancata
rinnovazione dell’istruzione in appello conseguente alla mancata
acquisizione d’ufficio di prove ex art. 441, comma 5 cod. proc. pen.;
omessa considerazione della richiesta difensiva di produzione dei
diagrammi da parte della Polizia Scientifica quale elemento
determinante tenuto conto del fatto che inizialmente l’esito delle
investigazioni tecniche risultava negativo e, solo successivamente,
divenuto positivo; mancata declaratoria di assoluzione per non aver

s

dal travisamento.

commesso il fatto anche a norma dell’art. 530, comma 2 cod. proc.
pen. (primo motivo);
– manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine
alle deduzioni logico-giuridiche discendenti dall’errata elezione
dell’elemento dell’impronta papillare a prova regina e palese
contraddittorietà rispetto agli altri elementi di prova a discarico
emersi e risultanti tutti dal testo del provvedimento impugnato;

travisamento degli elementi di prova a discarico emergenti dal testo
del provvedimento impugnato (secondo motivo);
– violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. per
erronea applicazione delle legge penale ed erronea interpretazione
giuridica in ordine all’invocata derubricazione del reato di rapina in
quella di furto con destrezza; illogicità e palese contraddittorietà
della

motivazione

in

riferimento

all’asserita

presenza

del

presupposto, in realtà insussistente, della violenza o minaccia, con
consequenziale travisamento del fatto; manifesta illogicità della
motivazione a norma dell’art. 606, comma 1 lett. c) ed e) cod. proc.
pen. emergente dal testo del provvedimento impugnato; asettico
recepimento da parte del giudice d’appello della motivazione resa
dal giudice di primo grado con richiamo “per relationem”; mancata
osservanza delle norme processuali previste dagli artt. 125, comma
3 e 321, comma 1 cod. proc. pen. in tema di inesistenza di
motivazione e/o motivazione apparente (terzo motivo);
– violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) e c) cod. proc. pen. in
riferimento all’errata ritenuta sussistenza dell’aggravante del
travisamento nella fattispecie di rapina (quarto motivo);
– violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b), c) ed e) cod. proc. pen.
in ordine al capo relativo alla mancata concessione delle circostanze
attenuanti generiche anche in giudizio di equivalenza rispetto alla
contestata circostanza aggravante (quinto motivo).
Con riferimento al primo motivo, lamenta il ricorrente come non si
fosse proceduto alla rinnovazione dell’istruttoria

ex art. 603 cod.

proc. pen. attraverso l’acquisizione dell’integrale elaborato tecnico e
dei relativi diagrammi ed analisi della Polizia Scientifica analizzati
per la ricerca delle impronte papillari. Ma non solo. Risultava
paradossale – a parere del ricorrente – verificare come fosse stata
utilizzata la relazione della Polizia Scientifica del 03.10.2011 e non

3

si fosse ritenuto necessario acquisire i necessari (e collegati)
diagrammi, analisi ed elaborazioni, pur se presenti: acquisizione che
si sarebbe dovuta compiere sul presupposto della sua valutata
necessarietà ai fini della decisione.
In ogni caso, gli accertamenti della Polizia Scientifica si sarebbero
dovuti esplicare nelle forme dell’atto irripetibile ex art. 360 cod.
proc. pen., norma che impone che venga dato preventivo avviso di

inizio e/o di prosecuzione delle operazioni sia alla difesa che
all’indagato, avendo i primi la facoltà di nominare un proprio
consulente tecnico di parte che possa assistere a tutte le operazioni
e constatare, in contraddittorio, l’accertamento della verità:
procedimento non avvenuto nel caso di specie con conseguente
verificazione di una nullità di carattere assoluto ed effetto di
inutilizzabilità di carattere patologico del conseguito risultato
probatorio.
Con riferimento al secondo motivo, lamenta il ricorrente come la
Corte d’Appello, procedendo “a cascata” e discendendo dalla prova
erroneamente assunta (relazione di Polizia Scientifica) eretta a
postulato, aveva finito con il leggere e l’interpretare tutti gli altri
ulteriori elementi di prova emersi in chiave colpevolista.
Con riferimento al terzo motivo, lamenta il ricorrente l’erronea
omessa derubricazione della fattispecie in contestazione in quella di
furto aggravato dalla destrezza. La Corte d’Appello, recependo
asetticamente la medesima giustificazione assunta dal giudice di
primo grado, travisando il fatto storico, osservava come la
complessiva e descritta azione, integrasse quel

metus

che

costituisce il tratto distintivo della rapina differenziandolo dal furto.
In realtà, proprio l’esame della dinamica dei fatti doveva indurre a
far rilevare come nella fattispecie non fosse mai esistito alcun
intento e/o intervento – da parte del soggetto che ha sottratto
l’incasso alla persona offesa – che possa minimamente avvicinarsi,
se non adottando elementi congetturali apodittici, ad una minaccia
e/o, tantomeno, ad una violenza. A questo andava aggiunto come
fosse stata la stessa parte offesa a rimarcare la carenza di
volontarietà da parte dell’agente.
Con riferimento al quarto motivo, lamenta il ricorrente come dalla
testimonianza di tale Calvitti Giovanni, ricavabile dal testo del

1
t

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provvedimento impugnato, emerge con chiarezza che il casco
indossato dal reo fosse di tipo non integrale e, come tale, inidoneo a
nascondere i tratti somatici distintivi di una persona: da qui
l’assenza dell’aggravante del travisamento.
Con riferimento al quinto motivo, lamenta il ricorrente l’insufficienza
della motivazione nella parte in cui pone a parametro di riferimento
esclusivamente il precedente penale del 2008 a carico del

SILVESTRI senza tener conto della documentazione prodotta dalla
difesa in ordine al lavoro intrattenuto stabilmente dal ricorrente ed
abbandonato solo a seguito del suo arresto e del suo corretto
comportamento processuale: circostanze di fatto che avrebbero
dovuto imporre quantomeno un giudizio di equivalenza delle
circostanze attenuanti generiche rispetto alla contestata circostanza
aggravante.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, va dichiarato
inammissibile.
4.

Prima di passare alla trattazione dei motivi di ricorso proposti, si ritiene
necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di
legittimità, delineati dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.,
come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del
2006, che, a parere di questo Collegio, la predetta novella non ha
comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare
un’indagine sul discorso giustificativo della decisione finalizzata a
sovrapporre una propria valutazione a quella già effettuata dai giudici
di merito, dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare
l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso
per sottolineare il suo convincimento. La mancata rispondenza di
queste ultime alle acquisizioni processuali può, soltanto ora, essere
dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d. travisamento
della prova, purché siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le
prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in
volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da
rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da
parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od

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un esame parcellizzato.
L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, poi, deve
risultare di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, dovendo il
sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la

decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato
le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal senso,
conservano validità, e meritano di essere tuttora condivise, Cass., Sez.
un., n. 24 del 24/11/1999-dep. 16/12/1999, Spina, rv. 214794; Id., n.
12 del 31/05/2000-dep. 23/06/2000, Jakani, rv. 216260; Id., n. 47289
del 24/09/2003-dep. 10/12/2003, Petrella, rv. 226074). A tal riguardo,
deve tuttora escludersi sia la possibilità di un’analisi orientata ad
esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti, nonché i motivi
di ricorso su di essi imperniati ed a fornire risposte circoscritte ai
diversi atti ed ai motivi ad essi relativi (Cass., Sez. 6, n. 14624 del
20/03/2006-dep. 27/04/2006, Vecchio, rv. 233621; Cass., Sez. 2, n.
18163 del 22/04/2008-dep. 06/05/2008, Ferdico, rv. 239789), che la
possibilità per il giudice di legittimità di una rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass.,
Sez. 6, n. 27429 del 04/07/2006-dep. 01/08/2006, Lobriglio, rv.
234559; Id., n. 25255 del 14/02/2012-dep. 26/06/2012, Minervini, rv.
253099).
Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen. intenda far valere il vizio di
«travisamento della prova» (consistente nell’utilizzazione di
un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una
prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od
omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato
motivazionale sottoposto a critica) deve, inoltre, a pena di
inammissibilità (Cass., Sez. 1, n. 20344 del 18/05/2006-dep.
14/06/2006, Salaj, rv. 234115; Cass., Sez. 6, n. 45036 del
02/12/2010-dep. 22/12/2010, Damiano, rv. 249035):
(a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la
doglianza;

6

(b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto
emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione
svolta nella sentenza impugnata;
(c)

dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato

probatorio

invocato,

nonché

dell’effettiva

esistenza

dell’atto

processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori
ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento;
indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e

(d)

compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza
della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità”
all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.
Il giudice di legittimità ha, ai sensi del novellato art. 606 cod. proc.
pen., il compito di accertare (Cass., Sez. 6, n. 35964 del 28/09/2006dep. 26/10/2006, Foschini ed altro, rv. 234622; Cass., Sez. 3, n.
39729 del 18/06/2009-dep. 12/10/2009, Belluccia ed altro, rv.
244623; Cass., Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007-dep. 23/10/2007,
Casavola ed altri, rv. 238215):
(a)

il contenuto del ricorso (che deve contenere gli elementi sopra

individuati);
(b) la decisività del materiale probatorio richiamato (che deve essere
tale da disarticolare l’intero ragionamento del giudicante o da
determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione);
(c) l’esistenza di una radicale incompatibilità con l’iter motivazionale
seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto (non
essendo il giudice di legittimità obbligato a prendere visione degli atti
processuali anche se specificamente indicati, ove non risulti detto
requisito);
(d)

la sussistenza di una prova omessa o inventata, e del c.d.

«travisamento del fatto», ma solo qualora la difformità della realtà
storica sia evidente, manifesta, apprezzabile

ictu ocu/i ed assuma

anche carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi
probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio valutativo non
sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico quindi,
anche contraddittorio).
Anche il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le
argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono
essere disattese per implicito o per aver seguito un differente iter

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motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione
effettuata (per tutte, Cass., Sez. 6, n. 1307 del 26/09/2002-dep.
14/01/2003, Delvai, rv. 223061).
In presenza di una doppia conforn,affermazione di responsabilità, va,
peraltro, ritenuta l’ammissibilità della motivazione della sentenza
d’appello per relationem a quella della decisione impugnata, sempre
che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non

contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e
disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione del controllo
della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata,
non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite
dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il
primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici,
non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le
motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si
integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile
al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della
congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano
esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di
primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed
ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle
sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass.,
Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993-dep. 04/02/1994, Albergamo ed altri,
rv. 197250; Cass., Sez. 3, n. 13926 del 10/12/2011-dep. 12/04/2012,
Valerio, rv. 252615).
Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione «oltre
ogni ragionevole dubbio», presente nel testo novellato dell’art. 533
cod. proc. pen. quale parametro cui conformare la valutazione inerente
all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è opportuno
evidenziare che, al di là dell’icastica espressione, mutuata dal diritto
anglosassone, ne costituiscono fondamento il principio costituzionale
della presunzione di innocenza e la cultura della prova e della sua
valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale. Si è, in
proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una
funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in
precedenza, il «ragionevole dubbio» sulla colpevolezza dell’imputato ne
comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’art. 530,

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comma 2 cod. proc. pen., sicché non si è in presenza di un diverso e
più rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a quello
precedentemente adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il
principio, già in precedenza immanente nel nostro ordinamento
costituzionale ed ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla
giurisprudenza di questa Corte Suprema – per tutte, cfr. Cass., Sez.
un., n. 30328 del 10/07/2002-dep. 11/09/2002, Franzese, rv. 222139

– e solo successivamente recepita nel testo novellato dell’art. 533 cod.
proc. pen.), secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia
la certezza processuale assoluta della responsabilità dell’imputato (cfr.
Cass., Sez. 2, n. 19575 del 21/04/2006-dep. 07/06/2006, Serino ed
altro, rv. 233785; Id., n. 16357 del 02/04/2008-dep. 18/04/2008,
Crisiglione, rv. 239795; Id., n. 7035 del 09/11/2012-dep. 13/02/2013,
De Bartolomei ed altro, rv. 254025).
5. Alla luce di queste necessarie premesse va esaminato l’odierno ricorso.
6.

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta:
-come non si fosse proceduto alla rinnovazione dell’istruttoria ex art.
603 cod. proc. pen. attraverso l’acquisizione dell’integrale elaborato
tecnico e dei relativi diagrammi ed analisi della Polizia Scientifica
analizzati per la ricerca delle impronte papillari;
-come in ogni caso, gli accertamenti della Polizia Scientifica si
sarebbero dovuti esplicare nelle forme dell’atto irripetibile

ex art.

360 cod. proc. pen., cosa non avvenuta.
Entrambi i profili di censura sono del tutto destituiti di fondamento.
La non incompatibilità del rito abbreviato con le assunzioni probatorie
(Cass., Sez. 6, 01/10/1998, n. 397, Palomba) – in virtù del rinvio
dell’art. 443, comma 4 cod. proc. pen. all’art. 599 cod. proc. pen. e,
quindi, al comma 3 di questo articolo, che a sua volta rinvia al
successivo art. 603 cod. proc. pen. – comporta tuttavia che
all’assunzione d’ufficio di nuove prove o alla riassunzione delle prove
già acquisite agli atti si proceda solo quando e nei limiti in cui il giudice
di appello la ritenga assolutamente necessaria ai fini della decisione
(Cass., Sez. 6, 24/11/1993, n. 1944, De Carolis), sicché deve
comunque ritenersi escluso che la parte conservi un diritto proprio a
prove alla cui acquisizione ha rinunciato per effetto della scelta del
giudizio abbreviato e che, pertanto, il mancato esercizio da parte del
giudice d’appello dei poteri d’ufficio sollecitati possa tradursi in un vizio
l

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deducibile mediante ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 lett. d)
cod. proc. pen. (cfr., Cass., Sez. 6, 16/10/2008, n. 7485, Monetti, rv.
242905). In questo senso si è determinata la Corte di merito
evidenziando come dagli atti allegati al fascicolo processuale risultasse
come il difensore del SILVESTRI, a seguito di decreto di giudizio
immediato, avesse chiesto al giudice per le indagini preliminari la
definizione del procedimento con il rito abbreviato condizionato alla

sola escussione della persona offesa, ed il giudice avesse accolto
integralmente la richiesta. Su queste premesse, la Corte di merito,
facendo applicazione della pacifica giurisprudenza di legittimità che
esclude dal novero degli atti utilizzabili per la decisione assunta in
camera di consiglio soltanto quelli affetti da patologia assoluta, aveva
correttamente escluso qualsivoglia violazione del diritto di difesa,
proprio a ragione dell’iniziativa assunta dall’imputato e dal suo
difensore che, nella succitata richiesta di rito abbreviato condizionato
al solo esame testimoniale della persona offesa, nessun riferimento
aveva operato alla relazione eseguita dalla Direzione Centrale della
Polizia Criminale Servizio Polizia Scientifica, della quale aveva
necessariamente accettato il contenuto e, soprattutto, le modalità
attraverso le quali la stessa era venuta a formarsi. Detta conclusione
rimane valida anche con riferimento alla richiesta di assunzione di
prove nuove sopravvenute o scoperte successivamente, non potendosi
configurare nemmeno in tali casi un diritto delle parti alla rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale, spettando in ogni caso al giudice la
valutazione se sia assolutamente necessaria la loro acquisizione (Cass.,
Sez. 1, 23/05/2012, n. 35846, P.G. in proc. Andali, rv. 253729):
valutazione operata dalla Corte d’Appello che aveva riconosciuto come
gli elementi esistenti imponessero non solo di rigettare l’eccezione di
nullità della sentenza di primo grado, ma anche la richiesta di
acquisizione, ex art. 603 cod. proc. pen., di qualsivoglia ulteriore atto
concernente la relazione tecnica in esame, attesa la completezza ed
esaustività della stessa nonché priva di alcun vizio logico.
E, nella fattispecie, è stata proprio la scelta del rito speciale ad aver
comportato la rinuncia da parte dell’imputato ad eccepire la nullità
derivante dalla effettuazione del dedotto accertamento tecnico
irripetibile, non preceduto dagli avvisi alle parti (cfr., Cass., Sez. 1,
23/04/2013, n. 28459, Ramella, rv. 256106).

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Come è noto, rientrano nella nozione di accertamenti tecnici “non
ripetibili”, ai quali si applica la disciplina prevista dall’art. 360 cod.
proc. pen., unicamente quelli aventi ad oggetto persone, cose o luoghi
soggetti a modificazioni tali da far perdere loro in tempi brevi ogni
valenza probatoria in relazione ai fatti oggetto di indagini e di
eventuale futuro giudizio (Cass., Sez. 6, 18/11/1992, n. 2999,
Cornacchia, rv. 193598). In ogni caso, anche a voler prescindere dalla

sanatoria derivante dalla scelta del rito abbreviato, si osserva come
l’art. 360, comma 5 cod. proc. pen. commini la sanzione della
inutilizzabilità nel solo caso in cui il pubblico ministero, malgrado
l’espressa riserva di promuovere incidente probatorio formulata
dall’indagato e pur non sussistendo la indifferibilità degli accertamenti,
abbia ugualmente disposto di procedere. Invece, in caso di omissione
degli avvisi previsti dall’art. 360, comma 1 cod. proc. pen., è
ravvisabile la sanzione della nullità di ordine generale prevista dall’art.
178, lett. c) cod. proc. pen., la quale non può più esser fatta valere, se
non è stata tempestivamente dedotta prima della deliberazione della
sentenza di primo grado a norma dell’art. 180 cod. proc. pen. (così,
Cass. n. 28459/2013, cit.; cfr., anche Cass., Sez. 1, 22/01/1996, n.
3066, Altomare, rv. 204301). Nel caso in esame, risulta che il
ricorrente abbia dedotto la inutilizzabilità

(rectius,

nullità) della

consulenza tecnica, disposta dal pubblico ministero senza la
formulazione degli avvisi previsti dall’art. 360 cod. proc. pen., soltanto
con l’atto di ricorso per cassazione, ben oltre il limite temporale di
deducibilità delle nullità di ordine generale a regime intermedio
stabilito dall’art. 180 cod. proc. pen..
7. Sia il secondo che il terzo motivo, trattabili congiuntamente in
relazione all’oggetto della censura, appaiono del tutto aspecifici
risolvendosi gli stessi in una generica contestazione della
motivazione non consentita in sede di legittimità.
Al riguardo non appare superfluo evidenziare come lo sviluppo
argomentativo della motivazione della sentenza impugnata, da
integrarsi con quella di primo grado, è fondato su una coerente analisi
critica degli elementi di prova e sulla loro coordinazione in un organico
quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata
plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito
della sufficienza, rispetto al tema di indagine concernente la

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responsabilità del ricorrente in ordine al delitto contestato. La
motivazione della sentenza impugnata supera il vaglio di legittimità
demandato a questa Corte, alla quale non è tuttora consentito di
procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti magari finalizzata,
nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in
termini diversi da quelli fatti propri dal giudice del merito. Di contro, il
ricorrente, con i motivi che saranno di seguito esposti, muove non già

precise contestazioni di illogicità argomentativa, ma solo doglianze di
merito, non condividendo le conclusioni attinte ed anzi adombrando
versioni alternative e comunque asseritamente più persuasive di quelle
dispiegate nella sentenza impugnata: da qui il ritenuto giudizio di
inammissibilità.
8. Anche il quarto motivo appare palesemente infondato.
La Corte territoriale ha riconosciuto e giustificato come il rapinatore
indossasse un casco “a scodella” con visiera abbastanza
trasparente; la persona offesa ha dichiarato inoltre di aver visto solo
gli occhi dell’aggressore. Nella situazione quale descritta, i giudici di
merito hanno ritenuto la ricorrenza della contestata circostanza
aggravante tenuto conto che, proprio in ragione del travisamento
operato, sia la persona offesa Calvitti che il teste Bernardi, avevano
avuto forti perplessità nelle individuazioni fotografiche svolte,
esprimendosi in forma dubitativa.
9.

Medesime conclusioni vanno assunte con riferimento al quinto
motivo di doglianza.
Anche sul punto le motivazioni della Corte d’Appello appaiono
congrue e logiche laddove si afferma come le circostanze attenuanti
generiche non potessero essere concesse in ragione dei plurimi
precedenti penali del SILVESTRI ed in particolare del precedente
specifico del 20.11.2008, in relazione al quale lo stesso era stato
condannato alla pena di anni uno, mesi quattro di reclusione oltre
alla pena pecuniaria, con concessione, per la seconda volta, del
beneficio della sospensione condizionale della pena.

10.Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché
al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma
che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in euro 1.000,00

12

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle
ammende.

Il Consigliere estensore
Dott. Andrea Pellegrino

Al
Dott. Sec

Il Presidente
ro Carmenini

Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 30.1.2014

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