Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11760 del 30/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 11760 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 30/01/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di SPADA Michele, n. a Manduria
(TA) il 08.07.1954, rappresentato ed assistito dall’avv. Franz Pesare,
avverso la sentenza n. 227/2009 della Corte d’Appello di Lecce,
sezione distaccata di Taranto, in data 27.09.2011;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
viste le conclusioni del Sostituto procuratore generale dott. Paolo
Canevelli che ha chiesto di dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la pronuncia impugnata, la Corte d’Appello di Lecce, sezione
distaccata di Taranto, in riforma della sentenza, resa all’esito del
giudizio abbreviato, dal Giudice per l’udienza preliminare presso il

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Tribunale di Taranto in data 18.06.2007, appellata da SPADA
Michele, rideterminava la pena nella misura di euro 1.400,00 di
multa e di anni cinque e mesi quattro di reclusione per i reati,
ritenuti avvinti dal vincolo della continuazione, di cui agli artt. 81
cod. pen., 3 n. 8 I. 75/1958 (capo A), 81 e 629 cod. pen. (capo B).
2. Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce, sezione
distaccata di Taranto, veniva proposto ricorso per cassazione per i

seguenti motivi:
-violazione dell’art. 606 lett. c) cod. proc. pen. in relazione agli artt.
422, comma 2 e 438 cod. proc. pen. (primo motivo);
-violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. in relazione a
mancanza di motivazione emergente dal testo della sentenza
impugnata (secondo motivo).
In relazione al primo motivo, lamenta il ricorrente come la Corte
d’Appello di Lecce avesse avallato, giustificandolo con la commissione
di un mero errore materiale non pregiudicante i diritti di difesa, la
decisione del Giudice dell’udienza preliminare che, dopo aver ammesso
l’imputato al rito abbreviato, disponeva integrazione probatoria a
norma dell’art. 422, comma 2 cod. proc. pen. e non a norma dell’art.
441, comma 5 cod. proc. pen., con conseguente lesione del diritto di
difesa, non prevedendo l’art. 422, comma 2 cod. proc. pen. il diritto
alla controprova da parte dell’imputato.
Sempre con riguardo alla prima censura, il ricorrente lamentava come
non fosse condivisibile, anche per mancanza di adeguata motivazione,
la decisione del giudice di merito secondo cui la dichiarazione di nullità
della notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare alla
persona offesa non avrebbe avuto l’effetto di travolgere anche la
richiesta di giudizio abbreviato avanzata in nome e per conto
dell’imputato in un’udienza precedente.
In relazione al secondo motivo, lamenta il ricorrente la mancanza di
motivazione della sentenza di appello, non essendo stato rispettato il
principio secondo cui il giudice deve far comprendere di aver valutato
la congruità della pena irrogata nonché l’opportunità di confermare la
sentenza di primo grado e, dunque, redigere una motivazione sorretta
dalla concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui si fonda
la decisione, esposizione che non può essere implicita né esaurirsi in
un giudizio finale di correttezza della qualificazione operata.

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CONSIDERATO IN DIRITTO

3.

Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, va dichiarato
inammissibile.
Prima di passare alla trattazione dei motivi di ricorso proposti, si ritiene
necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di
legittimità, delineati dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.,

4.

come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del
2006, che, a parere di questo Collegio, la predetta novella non ha
comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare
un’indagine sul discorso giustificativo della decisione finalizzata a
sovrapporre una propria valutazione a quella già effettuata dai giudici
di merito, dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare
l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso
per sottolineare il suo convincimento. La mancata rispondenza di
queste ultime alle acquisizioni processuali può, soltanto ora, essere
dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d. travisamento
della prova, purché siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le
prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in
volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da
rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da
parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od
un esame parcellizzato.
L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, poi, deve
risultare di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, dovendo il
sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato
le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal senso,
conservano validità, e meritano di essere tuttora condivise, Cass., Sez.
un., n. 24 del 24/11/1999-dep. 16/12/1999, Spina, rv. 214794; Id., n.
12 del 31/05/2000-dep. 23/06/2000, Jakani, rv. 216260; Id., n. 47289
del 24/09/2003-dep. 10/12/2003, Petrella, rv. 226074). A tal riguardo,
deve tuttora escludersi sia la possibilità di un’analisi orientata ad

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esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti, nonché i motivi
di ricorso su di essi imperniati ed a fornire risposte circoscritte ai
diversi atti ed ai motivi ad essi relativi (Cass., Sez. 6, n. 14624 del
20/03/2006-dep. 27/04/2006, Vecchio, rv. 233621; Cass., Sez. 2, n.
18163 del 22/04/2008-dep. 06/05/2008, Ferdico, rv. 239789), che la
possibilità per il giudice di legittimità di una rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di

nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass.,
Sez. 6, n. 27429 del 04/07/2006-dep. 01/08/2006, Lobriglio, rv.
234559; Id., n. 25255 del 14/02/2012-dep. 26/06/2012, Minervini, rv.
253099).
Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen. intenda far valere il vizio di
«travisamento della prova» (consistente nell’utilizzazione di
un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una
prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od
omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato
motivazionale sottoposto a critica) deve, inoltre, a pena di
inammissibilità (Cass., Sez. 1, n. 20344 del 18/05/2006-dep.
14/06/2006, Salaj, rv. 234115; Cass., Sez. 6, n. 45036 del
02/12/2010-dep. 22/12/2010, Damiano, rv. 249035):
(a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la
doglianza;
(b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto
emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione
svolta nella sentenza impugnata;
(c)

dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato

probatorio

invocato,

nonché

dell’effettiva

esistenza

dell’atto

processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori
ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento;
(d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e
compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza
della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità”
all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.
Il giudice di legittimità ha, ai sensi del novellato art. 606 cod. proc.
pen., il compito di accertare (Cass., Sez. 6, n. 35964 del 28/09/2006dep. 26/10/2006, Foschini ed altro, rv. 234622; Cass., Sez. 3, n.

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39729 del 18/06/2009-dep. 12/10/2009, Belluccia ed altro, rv.
244623; Cass., Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007-dep. 23/10/2007,
Casavola ed altri, rv. 238215):
(a) il contenuto del ricorso (che deve contenere gli elementi sopra
individuati);
(b) la decisività del materiale probatorio richiamato (che deve essere
tale da disarticolare l’intero ragionamento del giudicante o da

determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione);
(c) l’esistenza di una radicale incompatibilità con l’iter motivazionale
seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto (non
essendo il giudice di legittimità obbligato a prendere visione degli atti
processuali anche se specificamente indicati, ove non risulti detto
requisito);
(d)

la sussistenza di una prova omessa o inventata, e del c.d.

«travisamento del fatto», ma solo qualora la difformità della realtà
storica sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu °cui/ ed assuma
anche carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi
probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio valutativo non
sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico quindi,
anche contraddittorio).
Anche il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le
argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono
essere disattese per implicito o per aver seguito un differente iter
motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione
effettuata (per tutte, Cass., Sez. 6, n. 1307 del 26/09/2002-dep.
14/01/2003, Delvai, rv. 223061).
In presenza di una doppia conforma affermazione di responsabilità, va,
peraltro, ritenuta l’ammissibilità della motivazione della sentenza
d’appello per relationem a quella della decisione impugnata, sempre
che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non
contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e
disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione del controllo
della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata,
non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite
dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il
primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici,
non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le

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motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si
integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile
al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della
congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano
esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di
primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed
ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle

sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass.,
Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993-dep. 04/02/1994, Albergamo ed altri,
rv. 197250; Cass., Sez. 3, n. 13926 del 10/12/2011-dep. 12/04/2012,
Valerio, rv. 252615).
Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione «oltre
ogni ragionevole dubbio», presente nel testo novellato dell’art. 533
cod. proc. pen. quale parametro cui conformare la valutazione inerente
all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è opportuno
evidenziare che, al di là dell’icastica espressione, mutuata dal diritto
anglosassone, ne costituiscono fondamento il principio costituzionale
della presunzione di innocenza e la cultura della prova e della sua
valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale. Si è, in
proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una
funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in
precedenza, il «ragionevole dubbio» sulla colpevolezza dell’imputato ne
comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’art. 530,
comma 2 cod. proc. pen., sicché non si è in presenza di un diverso e
più rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a quello
precedentemente adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il
principio, già in precedenza immanente nel nostro ordinamento
costituzionale ed ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla
giurisprudenza di questa Corte Suprema – per tutte, cfr. Cass., Sez.
un., n. 30328 del 10/07/2002-dep. 11/09/2002, Franzese, rv. 222139
– e solo successivamente recepita nel testo novellato dell’art. 533 cod.
proc. pen.), secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia
la certezza processuale assoluta della responsabilità dell’imputato (cfr.
Cass., Sez. 2, n. 19575 del 21/04/2006-dep. 07/06/2006, Serino ed
altro, rv. 233785; Id., n. 16357 del 02/04/2008-dep. 18/04/2008,
Crisiglione, rv. 239795; Id., n. 7035 del 09/11/2012-dep. 13/02/2013,
De Bartolomei ed altro, rv. 254025).

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5. Alla luce di queste necessarie premesse va esaminato l’odierno ricorso.
Ritiene il Collegio come lo sviluppo argomentativo della motivazione
della sentenza impugnata, da integrarsi con quella di primo grado, è
fondato su una coerente analisi critica degli elementi di prova e sulla
loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del
quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica
l’attribuzione a detti elementi del requisito della sufficienza, rispetto al

tema di indagine concernente la responsabilità del ricorrente in ordine
al delitto contestato. La motivazione della sentenza impugnata supera
il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, alla quale non è
tuttora consentito di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti
magari finalizzata ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi
da quelli fatti propri dal giudice del merito.
Le censure proposte appaiono inammissibili posto che, con le stesse, si
muovono non già precise contestazioni di illogicità argomentativa, ma
solo doglianze di merito in parte anche aspecifiche (si allude in
particolare al secondo motivo), non condividendosi dal ricorrente le
conclusioni attinte nella sentenza impugnata.
Con riferimento al primo motivo, entrambe le censure, attraverso le
quali lo stesso viene articolato, risultano manifestamente infondate.
Come correttamente evidenziato dalla Corte d’Appello, il fatto che il
giudice dell’udienza preliminare, nel disporre l’integrazione istruttoria,
abbia richiamato l’art. 422, comma 2 cod. proc. pen. anziché l’art. 441,
comma 5 cod. proc. pen., ha determinato una mera imprecisione
terminologica improduttiva di conseguenze sulle parti e segnatamente
sull’imputato e sui propri diritti di difesa: invero, ferma la valutata
ricorrenza del presupposto normativo costituito dall’impossibilità di
decidere allo stato degli atti, nulla ha impedito all’imputato di chiedere
di essere ammesso alla prova contraria ovvero di sollecitare i poteri
ufficiosi del giudice sempre in tema di prova contraria.
Non miglior pregio caratterizza il secondo aspetto dell’eccezione di
nullità articolata nell’ambito del primo motivo. Assume il ricorrente che
la dichiarazione di nullità della notifica dell’avviso di fissazione
dell’udienza preliminare alla persona offesa avrebbe travolto anche la
richiesta di giudizio abbreviato avanzata nell’interesse dell’imputato i
un’udienza precedente. Invero, la nullità riguardava solo e soltanto
l’avviso alla persona offesa, mentre l’imputato era stato regolarmente

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citato, ne era stata dichiarata la contumacia ed il suo difensore, munito
di procura speciale, aveva chiesto procedersi nelle forme del rito
abbreviato: richiesta rimasta valida in quanto fondata su una regolare
costituzione del rapporto processuale nei confronti dell’imputato,
mentre il difetto di notifica alla persona offesa ha riguardato solo
quest’ultima, senza che la nullità di detta notifica potesse riverberarsi
sulla richiesta di giudizio abbreviato.

fondi su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, con
l’adozione di espressioni di stile che ripropongono, di fatto, le stesse
ragioni già esaminate e ritenute infondate e ritenute infondate dal
giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria
correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata
e quelle poste a fondamento dell’impugnazione: situazione che, per
pacifica giurisprudenza di legittimità, rende la doglianza inammissibile
(cfr.,

ex multis,

Cass., Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012-dep.

16/05/2012, Pezzo, rv. 253849).
6. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché
al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma
che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in euro 1000,00

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 30.1.2014

In relazione al secondo motivo, ritiene il Collegio come lo stesso si

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