Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11748 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 11748 Anno 2014
Presidente: DE ROBERTO GIOVANNI
Relatore: LEO GUGLIELMO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal pubblico ministero e, nell’interesse dell’indagato, dai
difensori di fiducia nel procedimento a carico di
Miccolis Emilio, nato a Bari il 05/10/1960

avverso l’ordinanza del Tribunale di Lecce, in funzione di giudice dell’appello
cautelare, del 03/09/2013

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Guglielmo Leo;
udito il Procuratore generale, in persona del sostituto dott. Luigi Riello, che ha
concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. È impugnata la ordinanza n. 646/13 del 03/09/2013 con la quale il Tribunale
di Lecce, in funzione di giudice dell’appello cautelare, in parziale riforma del
provvedimento del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Lecce
(del 06/08/2013), ha sostituito la misura cautelare degli arresti domiciliari, in
corso di applicazione nei confronti di Emilio Miccolis, con la misura interdittiva

(39A-

Data Udienza: 12/12/2013

della sospensione dell’esercizio di attività o funzioni presso qualunque Pubblica
Amministrazione, per la durata di sei mesi.
Contro l’ordinanza è stato proposto ricorso sia dal Pubblico Ministero, con
domanda di annullamento dell’ordinanza medesima, sia dai Difensori
dell’indagato, che con un primo atto hanno sollecitato l’annullamento senza
rinvio del provvedimento, nella parte in cui applica la misura cautelare
interdittiva sopra richiamata, e con un secondo atto hanno eccepito in ordine alla

2. Dal provvedimento impugnato si desume che ad Emilio Miccolis è stata
applicata inizialmente la misura degli arresti domiciliari con l’accusa d’aver
commesso un delitto continuato e tentato di concussione. I fatti sarebbero stati
commessi nel ruolo dapprima di direttore amministrativo e poi di direttore
generale dell’Università del Salento, ed avrebbero riguardato due dipendenti
della stessa Università, tali De Pascalis e Margiotta, attivisti sindacali e
componenti di organi di gestione dell’ente (rispettivamente, Consiglio di
amministrazione e Senato accademico). Miccolis avrebbe esercitato indebite
pressioni sui funzionari affinché desistessero dall’azione esercitata, nei rispettivi
ruoli sindacali e istituzionali, per contrastare le sue scelte gestionali. Ciò
evocando possibili vantaggi per gli interessati in termini di carriera e mansioni, e
nel contempo minacciando l’adozione di provvedimenti sfavorevoli, anche
nell’ambito di iniziative disciplinari, qualora l’azione indicata (attuata mediante
ricorsi, impugnative, comunicati sindacali) non fosse venuta meno. Una
condotta, protratta fino al settembre 2012, non sfociata nella effettiva adozione
della linea richiesta da Miccolis, o nella relativa promessa, a causa della
resistenza opposta dagli interessati, che anzi avevano poi denunciato l’odierno
ricorrente.
2.1. In particolare il provvedimento impugnato, nella parte in cui ricostruisce
il quadro indiziario sotteso alle contestazioni, informa della denuncia sporta il
5/10/2012 da Tiziano Margiotta e del relativo contenuto: poiché a parere del
sindacalista e di altri dipendenti dell’Università il direttore amministrava il
personale con criteri censurabili, era in corso una azione di contrasto esercitata a
più livelli, cui Miccolis avrebbe reagito con comportamenti intimidatori,
minacciando il denunciante, e promuovendo nei suoi confronti un procedimento
disciplinare, con l’avvertimento che si sarebbe risolto favorevolmente in caso di
ammorbidimento dell’azione sindacale; Margiotta aveva anche registrato alcuni
dei colloqui con l’odierno ricorrente, producendo copia delle stesse registrazioni
agli inquirenti.

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durata della misura stessa, che non potrebbe essere superiore ai due mesi.

Sempre in data 5/10/2012 anche De Pascalis aveva sporto una denuncia dai
contenuti analoghi, segnalando comportamenti ostili ed arbitrari del Miccolis nei
suoi confronti, ai quali si sarebbero accompagnate promesse in ordine ad un
trattamento favorevole (e contra legem) per il caso di un atteggiamento più
conciliante dell’interessato; anche De Pascalis aveva registrato alcuni dei colloqui
con l’indagato.
Tra gli elementi acquisiti dopo le denunce, il Tribunale menziona l’ammissione
resa dal Miccolis, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, circa l’effettiva

2.2. Confermata dal competente Tribunale del riesame l’ordinanza applicativa
della misura originaria, che risale al 14/06/2013, è intervenuta successivamente,
da parte della difesa, una richiesta di revoca o sostituzione della misura
medesima, definita nel senso del rigetto con ordinanza del 6/08/2013.
Nel provvedimento si svaluta l’attendibilità delle dichiarazioni difensive
(contrastate dalle registrazioni in atti), si rileva la conseguente tenuta del quadro
indiziario già valutato in sede di riesame, si nega che il tempo di sperimentazione
della misura detentiva (comunque breve) possa assumere rilievo, ed analogo
giudizio si formula quanto alle mutate funzioni amministrative assegnate dal
Miccolis. Il quale ultimo, per quel che risulta, aveva rassegnato le dimissioni
quale direttore dell’Università del Salento, rientrando nell’Università di
provenienza (Bari) e qui subendo una sospensione dal servizio, oltreché una
progressiva dequalificazione della mansioni, fino ad un incarico di studio
sostanzialmente privo di ogni potere direttivo e decisionale.
L’ordinanza

de qua è

stata appellata dall’indagato, dando luogo al

provvedimento di parziale riforma che costituisce l’oggetto degli odierni ricorsi.

3. Dopo aver ribadito l’adeguatezza del quadro indiziario, il Tribunale
conferma, in primo luogo, la qualificazione dei fatti come tentativo di
concussione, e non piuttosto, assecondando alcune delle doglianze difensive,
come reato di istigazione alla corruzione (art. 322 cod. pen.).
Nel caso di specie, infatti, sarebbero riscontrabili una posizione di preminenza
dell’autore del fatto sul destinatario delle sue esortazioni, ed un effettivo stato di
soggezione dei lavoratori alle sue dipendenze. Vi sarebbe inoltre adeguata
dimostrazione di un tentativo di effettiva costrizione in danno delle vittime,
anche per induzione (ma non nel senso di una mera forma di pressione
psicologica a tenere comportamenti vantaggiosi anche per gli interessati).
Per quanto più interessa in questa sede, il Tribunale ritiene invece censurabile
la valutazione di perdurante necessità della misura degli arresti domiciliari, alla
luce dei principi di adeguatezza e proporzionalità. Non nega la permanenza

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riferibilità alla sua persona delle registrazioni acquisite.

dell’esigenza cautelare di prevenire nuovi reati, documentata dalla strutturale
propensione del Miccolis ad utilizzare la funzione pubblica per atteggiamenti
prevaricatori. E precisa di non preoccuparsi d’un rischio di inquinamento della
prova, a proposito del quale allo stato non sarebbero emersi «rilievi».
Di conseguenza, ed in sostanza, si legittimerebbe (solo) una restrizione utile
ad impedire l’esercizio di funzioni pubbliche da parte dell’indagato. Ciò per via
della tipologia di mansioni cui Miccolis sarebbe adibito in caso di ripresa del
lavoro, oltre che del tempo già trascorso di restrizione della libertà, non lungo

Come anticipato, la durata della misura interdittiva è stata fissata in sei mesi.

4.

Con un primo motivo di ricorso il pubblico ministero deduce – a norma

dell’art. 606, comma 1, lettera c), cod. proc. pen. – violazione degli artt. 175,
comma 1, e 310 dello stesso codice. Il Tribunale avrebbe esplicitamente scelto di
non apprezzare il rischio di inquinamento della prova, sebbene spetti sempre, al
giudice della cautela, una valutazione complessiva della questione cautelare. Non
sarebbe esatto, del resto, che il problema dell’inquinamento probatorio non sia
mai stato posto, visto che la relativa esigenza cautelare era stata ritenuta con
espressa motivazione dallo stesso Tribunale in funzione di giudice del riesame.
Per altro verso, la questione era stata specificamente devoluta al giudice
dell’appello, proprio coi motivi a sostegno dell’impugnazione difensiva, che
aveva dedotto la cessazione del rischio di inquinamento della prova: il Tribunale
non avrebbe potuto escludere tale rischio dalla propria valutazione senza dare
puntuale risposta alle argomentazioni difensive.
A tale ultimo proposito viene dedotto anche un vizio di contraddittorietà o
insufficienza della motivazione: il provvedimento impugnato non potrebbe al
tempo stesso indicare la questione della genuinità della prova tra i motivi
d’appello e affermare che sulla questione non si sarebbero registrati “rilievi”; in
ogni caso, una qualunque specie di armonia tra i due assunti avrebbe dovuto
essere oggetto di una illustrazione che, invece, sarebbe assolutamente carente.

5. Con il primo loro ricorso i difensori di fiducia del Miccolis deducono violazione
di legge processuale e vizio di motivazione in riferimento all’art. 275, comma 1,
cod. proc. pen.
Il Tribunale avrebbe dovuto escludere il rischio di reiterazione dei reati in base
alla decisiva modifica delle mansioni affidate all’indagato, e d’altra parte, con il
già citato riferimento all’assenza di “rilievi” concernenti il rischio di inquinamento
della prova, avrebbe escluso il rischio medesimo (come già avrebbero fatto tutti i
precedenti giudici tranne che il Tribunale del riesame). Non vi sarebbe dunque
4

ug,

ma neppure trascurabile.

razionale giustificazione – e comunque adeguata motivazione – per l’applicazione
della misura interdittiva.

6. Con un secondo ricorso i Difensori deducono violazione della legge
processuale e vizio di motivazione in rapporto all’art. 308, comma 2, cod. proc.
pen., posto che tale ultima norma prevede per le misure interdittive una durata
massima di due mesi, ed invece il Tribunale ha disposto la sospensione

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Sono parzialmente fondati i ricorsi di entrambe le parti processuali, con la
conseguenza che il provvedimento impugnato deve essere annullato, con rinvio
al Tribunale di competenza per un nuovo esame dell’appello cautelare proposto
dalla difesa dell’odierno ricorrente.

2. Il Tribunale infatti, svolte sommarie considerazioni sulle residue esigenze
cautelari e sulla meno afflittiva tra le misure idonee a garantire dette esigenze,
ha applicato nei confronti del Miccolis la sospensione dall’esercizio di un pubblico
ufficio o servizio. La durata della misura, senza alcuna motivazione o citazione
normativa, è stata fissata in sei mesi, ed è presumibile che anche tale durata sia
stata considerata, dal Tribunale, nel formulare il proprio giudizio di «idoneità» e
di «proporzionalità» del trattamento per la tutela delle residue necessità
cautelari.
La Difesa, come sopra si è visto (§ 6 del Ritenuto in fatto), ha eccepito
violazione di legge, poiché il comma 2 dell’art. 308 cod. proc. pen., salva
l’eventualità di proroghe, fisserebbe in due mesi la durata massima di tutte le
misure i nterd ittive.
Ora – fermo restando il difetto assoluto di motivazione sul punto – è probabile
che il Giudice dell’appello cautelare abbia inteso fare applicazione del comma 2bis dell’art. 308 cod. proc. pen., già vigente all’epoca del provvedimento

impugnato, in quanto introdotto nel corpo della norma citata dall’art. 1, comma
78, della legge 6/11/2012, n. 190. La novella prevede che, per una serie di
delitti contro la pubblica amministrazione (compreso quello di concussione), la
durata della misura interdittiva possa raggiungere il limite di sei mesi (salva la
possibilità di proroga, che qui non interessa).
Se anche così fosse, però, sussisterebbe la violazione di legge denunciata
dalla parte privata (sebbene mediante un percorso argomentativo erroneo od
incompleto), posto che la nuova norma «speciale», che elenca le disposizioni
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ck,

dall’esercizio delle funzioni per un semestre.

incriminatrici per le quali è applicabile, non contiene alcun cenno all’eventuale
rilevanza delle forme tentate di manifestazione del reato. Deve dedursene, per il
noto principio di tassatività delle norme che consentono provvedimenti limitativi
della libertà personale, che nel caso di mero tentativo del delitto di concussione
(cioè nel caso che ricorre nella specie) la nuova disposizione non possa essere
applicata, e valga dunque la regola generale indicata nel comma
immediatamente precedente dell’art. 308 cod. proc. pen.
Già per questa parte, dunque, il provvedimento deve essere annullato. Subito

dall’ufficio implica la necessità di una complessiva rivalutazione del tema
cautelare sottoposto al Tribunale. Rivalutazione imposta, nel contempo, dai
denunciati vizi motivazionali, che le parti hanno segnalato ciascuna nel proprio
interesse, ponendo in luce la complessiva inadeguatezza della documentazione
che il Giudice procedente ha inteso dare del proprio ragionamento.

3. Bene emerge dal ricorso del Pubblico ministero, anzitutto, che la presa di
posizione del Tribunale circa la sussistenza di rischi per il regolare svolgimento
del processo di acquisizione del materiale probatorio è davvero sibillina. Si è
stabilito espressamente che l’attenzione dovesse concentrarsi sul rischio di
reiterazione dei comportamenti criminosi, «non essendo emersi allo stato rilievi
in ordine alla possibilità di inquinamento probatorio».
Non è chiaro se il Tribunale abbia inteso compiere una scelta «processuale»
od abbia semplicemente inteso escludere l’attuale ricorrenza della pertinente
necessità cautelare.
Nel primo caso il rilievo potrebbe forse essere collegato all’assenza di
riferimenti alle necessità della prova nell’ordinanza de libertate posta ad oggetto
dell’impugnazione. Per questa eventualità si osserva, nel ricorso della parte
pubblica, che le esigenze di cui alla lettera a) dell’art. 274 cod. proc. pen. erano
state poste a fondamento dei provvedimenti applicativi dell’originaria misura
coercitiva (compreso quello confermativo in sede di riesame), non erano state
certo escluse nell’ordinanza di rigetto della richiesta di revoca o sostituzione
(essenzialmente motivata sull’assenza di elementi modificativi nel quadro dei
fattori rilevanti), erano state apertamente contestate con l’atto d’appello definito
con l’ordinanza qui impugnata. Almeno l’ultima tra le osservazioni citate risulta
decisiva, posto che la cognizione del giudice di appello nel procedimento

de

libertate è certo limitata ai punti della decisione impugnata cui si riferiscono i
motivi di gravame (ed a quelli strettamente connessi o dipendenti), ma non è
condizionata dalle deduzioni in fatto e dalle argomentazioni in diritto poste dal

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u,-

va aggiunto, per altro, che la drastica riduzione nella durata della sospensione

giudice della decisione impugnata a sostegno del proprio assunto (Sez. Un.,
Sentenza n. 8 del 25/06/1997, Gibilras, rv. 208313).
Nella seconda delle possibili letture, l’inciso sopra trascritto potrebbe alludere
all’assenza di concrete manifestazioni delle paventate iniziative di Miccolis in
punto di inquinamento del procedimento probatorio, deducendone appunto la
sopravvenuta carenza delle relative esigenze di prevenzione. In questo senso,
comprensibilmente, si è orientata la lettura difensiva dell’espressione, ma si
tratterebbe, a questo punto, d’un giudizio sostanzialmente privo di motivazione.

l’oggetto della valutazione giudiziale, ancor prima delle sue giustificazioni, ed in
tal senso dovrà essere emendata, sussistendone le ulteriori condizioni, nel
giudizio di rinvio.

4. Discorso in parte analogo va fatto a proposito della ritenuta idoneità, in chiave
specialpreventiva, di una misura di interdizione le cui caratteristiche oltretutto, e
per quanto sopra si è detto, il Tribunale ha considerato erroneamente sotto un
profilo non indifferente sul piano della necessità e dell’adeguatezza, cioè quello
della durata.
Da un lato infatti, nel provvedimento impugnato, viene posta in evidenza la
progressiva dequalificazione delle mansioni affidate al Miccolis, alla fi ne risolte in
un incarico di studio privo di quei margini di «potere» del quale, in ipotesi,
l’indagato sarebbe propenso ad abusare. Dequalificazione che, a differenza del
concomitante provvedimento amministrativo di sospensione dall’impiego, legato
alla cautela processuale e revocabile, sembra avere assunto carattere di
stabilità. Per altro verso è ritenuta la necessaria protrazione del trattamento
cautelare, con un mero e non perspicuo riferimento ad ulteriori pendenze, senza
concreta valutazione del rapporto tra nuove mansioni e rischio di reiterazione di
reati della stessa indole di quelli in contestazione. Un rischio evidentemente
ritenuto intenso, o almeno durevole, al punto da indurre la fissazione nel
massimo della durata del provvedimento interdittivo, così che resta dubbia la
coerenza dello stesso provvedimento, rispetto alla logica della decisione, qualora
la decisione fosse stata assunta in corretta applicazione della legge sulla durata
massima della sospensione.

5. Per le ragioni indicate entrambi i ricorsi devono essere accolti, con rinvio degli
atti al Tribunale per un nuovo esame dell’appello cautelare, che dovrà estendersi
(ferme le ovvie necessità di attualizzazione) a tutti i fattori rilevanti per la
relativa decisione.

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(9.,

In ogni caso, la motivazione non assolve al suo compito essenziale di chiarire

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Lecce per nuovo
esame.

Così deciso il 12/12/2013.

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