Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11746 del 09/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 11746 Anno 2014
Presidente: DE ROBERTO GIOVANNI
Relatore: CONTI GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Brancato Camillo, nato a Catania il 16/01/1976

avverso la sentenza del 25/02/2013 della Corte di appello di Messina

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Conti;
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Eugenio
Selvaggi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Messina confermava la
sentenza in data 13 marzo 2012 del Tribunale di Messina, appellata da Camino
Brancato, condannato, all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di anni quattro di
reclusione, oltre alla interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e alla incapacità di
contrattare con la p.a. per anni due, nonché al risarcimento dei danni in favore
delle parti civili Giovanni Cavallaro e Associazione Nazionale Antiracket Antiusura
Etnea, in quanto responsabile del delitto di cui agli artt. 110, 317 cod. pen., 7

Data Udienza: 09/01/2014

d.l. n. 152 del 1991, in concorso con Salvatore Pietro Sterrantino,
separatamente giudicato, per avere lo Sterrantino quale consigliere del Comune
di Giardini Naxos, abusando del suo potere e violando i suoi doveri, costretto o
indotto Giovanni Cavallaro a corrispondergli indebitamente la somma di euro
2000 per velocizzare il pagamento degli stati di avanzamento dei lavori espletati
dalla ditta del Cavallaro nell’interesse del predetto Comune, aventi ad oggetto
demolizione e ricostruzione di loculi cimiteriali, dicendogli che in caso di mancato
pagamento i rimanenti S.A.L. non sarebbero stati sbloccati e li avrebbe percepito

casa dello Sterrantino e alla presenza di quest’ultimo, esortava il Cavallaro ad
accondiscendere a tale richiesta, qualificandosi come rappresentante locale della
famiglia mafiosa dei “Mussi i ficurinnia”, ed affermando che tutti i pagamenti del
Comune Giardini Naxos venivano gestiti dalla famiglia; con l’aggravante di avere
commesso il fatto avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis ovvero al
fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa denominata clan Laudani o
“Mussi i ficurinnia” (in Giardini Naxos, il 21 giugno 2011).
Le prove della responsabilità penale dell’imputato venivano rinvenute nelle
dichiarazioni della persona offesa, nei servizi di osservazione e controllo espletati
dai Carabinieri della Compagnia di Taormina, da intercettazioni di conversazioni
e, soprattutto, dalla sorpresa in flagranza correlata al momento della consegna
da parte del Cavallaro allo Sterrantino di una busta contenente euro 2.000,
documentata anche da una ripresa visiva.
La Corte di appello osservava che sulla base di detti elementi di prova
doveva ritenersi accertato che il Cavallaro fu indotto a versare il “pizzo” allo
Sterrantino sia a seguito della prospettiva manifestatagli da quest’ultimo
secondo cui egli avrebbe finito per ricevere il saldo delle sue spettanze con un
ritardo di dieci anni sia per le minacce di stampo mafioso formulate dal Brancato
nel medesimo contesto spazio-temporale (le concorrenti pressioni dello
Sterrantino e del Brancato avvennero infatti nel corso di un incontro a casa del
primo); e tanto integrava il contestato delitto di concussione, aggravato ex art. 7
d.l. n. 152 del 1991.

2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato con atto sottoscritto dal
difensore avv. Mario Cardillo, che deduce i seguenti motivi.
2.1. Inosservanza dell’art. 317 cod. pen., dovendosi inquadrare il fatto come
corruzione impropria, dato che in un primo tempo lo Sterrantino non formulò
alcuna minaccia nei confronti del Cavallaro, ma si limitò a richiedergli soltanto
“un pensierino” (il che era qualificabile come istigazione alla corruzione), e quindi
si attivò spontaneamente per fargli ottenere il pagamento di un S.A.L: solo

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dopo dieci anni; mentre il Brancato, presentatosi come “Camillu u picuraru”, in

successivamente il Cavallaro aderì alla richiesta di un compenso per lo
Sterrantino, senza che gli fosse prospettata alcuna conseguenza negativa con
riferimento alle somme a lui dovute dal Comune.
2.2. Inosservanza dell’art. 56 cod. pen., in quanto, in subordine, la ravvisata
concussione doveva essere inquadrata nella fattispecie del tentativo, dato che il
regalo fatto dal Cavallaro allo Sterrantino avvenne a distanza di circa quattro
mesi dall’incontro al quale aveva partecipato anche il Brancato, senza alcun
ulteriore contatto con quest’ultimo, sicché il regalo non poteva dirsi effetto delle

Cavallaro.
Andrebbe poi ravvisata l’ipotesi della desistenza, proprio perché la condotta
del Brancato si esaurì in quel lontano incontro.
2.3. Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 7 d.l. n. 152 del 1991, in
quanto l’aggravante del metodo mafioso può concepirsi solo in presenza di un
asserito collegamento con ambienti mafiosi, occorrendo che sussistano specifici e
concreti elementi di fatto che qualifichino la minaccia in termini effettivi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. E’ integrata nella concreta fattispecie l’ipotesi di cui all’art. 317 cod. pen.
nella nuova formulazione introdotta dalla legge n. 190 del 2012, sussistendo
continuità normativa con la precedente fattispecie contemplata dal medesimo
articolo (v. tra le altre Sez. 6n. 3251 del 03/12/2012, dep. 2013, Roscia, Rv.
253935).
Che si tratti di condotta costrittiva e non meramente induttiva (ricadente
quest’ultima nella nuova fattispecie di cui all’art.

319-quater, cod. pen., pur

essendo anche questa, peraltro in linea di continuità normativa con la condotta
induttiva nel previgente art. 317 cod. pen.) ovvero di corruzione impropria è
risolutivamente ricavabile dall’intervento nell’azione intimidatoria del Brancato,
che, in ausilio alle pretese illegittime dello Sterrantino, giudicato separatamente,
si presentò come esponente di una nota famiglia mafiosa, precisando che tutti i
pagamenti in ambito cimiteriale erano gestiti da essa; episodio che fu decisivo,
nella ineccepibile valutazione dei giudici di merito, per convincere il Cavallaro al
pagamento della tangente, nulla rilevando che il pagamento dopo le iniziali
resistenze del Cavallaro, avvenne a distanza di qualche mese dall’incontro con il
Brancato, verosimilmente solo perché il Cavallaro ricevette ulteriori sollecitazioni
estorsive da parte dello Sterrantino.

pressioni esercitate dall’imputato ma effetto di una determinazione autonoma del

3.

Palesemente generica e comunque manifestamente infondata è la

deduzione subordinata secondo cui nel caso in esame sarebbe configurabile
l’ipotesi della desistenza volontaria o quella, in ulteriore subordine, della
fattispecie tentata.

4. Sussiste all’evidenza, stanti le conclusioni in punto di fatto cui sono
pervenuti i giudici di merito, l’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991,

l’espresso riferimento fatto dal Brancato alla famiglia mafiosa dei “Mussi i
ficurinnia” e la specifica asserzione che tutti i pagamenti interessanti i servizi
cimiteriali venivano gestiti da essa, di cui il ricorrente si qualificò componente.

5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrrente al pagamento delle spese
processuali
Così deciso il 09/01/2014.

quanto meno sotto il profilo dell’uso di un metodo mafioso, considerato

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