Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11601 del 18/12/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 11601 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
EL AAFI YASINE N. IL 24/06/1989
avverso la sentenza n. 1979/2010 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
18/04/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;

Data Udienza: 18/12/2013

Osserva
Ricorre per cassazione El Aafi Yasine avverso la sentenza emessa in data 18.4.2011 dalla
Corte di Appello di Firenze che confermava quella in data 15.1.2010 del Tribunale di
Pistoia con la quale, con altri, il predetto era stato riconosciuto colpevole del reato di furto
aggravato e condannato alla pena di mesi otto di reclusione ed C 400,00 di multa.
Deduce il vizio motivazionale in ordine alla ritenuta penale responsabilità, essendosi
trattato di un mero scherzo tra amici, alla ritenuta aggravante contestata di cui all’art.
625 n. 2 c.p. (con conseguente improcedibilità per mancanza della prescritta querela),

Il ricorso è inammissibile essendo i motivi addotti manifestamente infondati ed aspecifici.
Le censure mirano ad una improponibile rivalutazione della prova e si risolvono in
generiche deduzioni in punto di fatto, insuscettibili, come tali, di aver seguito nel presente
giudizio di legittimità, sottraendosi la motivazione della impugnata sentenza ad ogni
sindacato per le connotazioni di coerenza, di completezza e di razionalità dei suoi
contenuti.
Invero, il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20
febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi
della motivazione anche attraverso gli “atti del processo”, non ha alterato la fisionomia
del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un
ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla
Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una
rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in
via esclusiva al giudice del merito. Il

novum

normativo, invece, rappresenta il

riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto
“travisamento della prova”, finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale:
cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere ad una inammissibile
rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di
prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no “veicolato”,
senza travisamenti, all’interno della decisione (Cass. pen. Sez. IV, 19.6.2006, n. 38424).
Ciò peraltro vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in
quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme, come nel caso di specie, il limite del
devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva

l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di
gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Cass.
pen., sez. II, 15.1.2008, n. 5994; Sez. I, 15.6.2007, n. 24667, Rv. 237207; Sez. IV,
3.2.2009, n. 19710, Rv. 243636).
Inoltre, è innegabile l’aspecificità delle censure mosse che hanno riproposto in questa
sede pedissequamente le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale
nonostante quel giudice le abbia disattese con motivazione ampia e congrua, immune da

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alla mancata concessione delle attenuanti generiche nonché all’entità della pena inflitta.

vizi ed assolutamente plausibile, sostanzialmente elusa, se non proprio ignorata dal
ricorrente.
Ed è stato affermato che “è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che
ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame,
dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo,
invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma
anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione
impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare

mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità” (Cass. pen. Sez. IV, 29.3.2000,
n. 5191 Rv. 216473 e successive conformi, quale: Sez. II, 15.5.2008 n. 19951, Rv.
240109).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si
ritiene equo liquidare in C 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non
ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 18.12.2013

le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a

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