Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11599 del 07/02/2017

Penale Sent. Sez. 1 Num. 11599 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
A.A.

avverso la sentenza del 18/11/2015 della Corte di appello di Lecce

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Angela Tardio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Maria
Francesca Loy, che conclude per la inammissibilità del ricorso;
udito per il ricorrente l’avv. Andrea Sambati, che si riporta ai motivi del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 18 novembre 2015 la Corte di appello di Lecce ha
confermato la sentenza del 22 maggio 2013 del Tribunale di Lecce – sezione di
Casarano, che aveva dichiarato A.A. colpevole dei reati, di cui agli
artt. 2 e 7 legge n. 895 del 1967 (capo e), 38 e 58 T.U.L.P.S. (capo a) e 20,
quarto comma, legge n. 895 del 1967 (capo f), relativi alla detenzione di
numerosissime armi indicate in imputazione, e lo aveva condannato alla pena,
condizionalmente sospesa e non iscritta, di mesi otto di reclusione ed euro

Data Udienza: 07/02/2017

centosessanta di multa per il reato di cui al capo e) e di mesi uno di arresto ed
euro duecento di ammenda per i reati di cui ai capi a) e f), con confisca delle
armi in giudiziale sequestro.

2. La Corte di appello, che illustrava il contenuto dei motivi dell’appello
proposto dall’imputato, puntualizzava in via preliminare che dal granitico quadro
probatorio, neppure messo in discussione dalla difesa, era emerso che:
– l’imputato aveva denunciato il 20 dicembre 2009 numerose armi, che

in occasione del controllo delle armi, successivo a tale denuncia,

Carabinieri della Compagnia di Casarano, recatisi in detto luogo per il controllo
delle armi, avevano appreso che le armi erano detenute in Matino, via delle Poste
n. 3;
– all’imputato le armi erano state donate dalla moglie dello zio Natale
Stamerra, deceduto il 18 dicembre 2009;
– erano stati rinvenuti, in occasione del predetto controllo, anche due fucili,
non riconnpresi nell’elenco delle armi di cui alla indicata denuncia, né mai
denunciati dall’imputato né da altri, e mancavano tre fucili e sei canne per fucili
dei quali dallo stesso era stata, invece, denunciata la detenzione.
La Corte, tanto premesso, rilevava, a ragione della decisione, che:

la tesi difensiva relativa alla contestata sussistenza dell’elemento

psicologico in capo all’imputato, che, in tempi molto ristretti e pressato dalla
moglie del defunto zio, avrebbe ricevuto le armi senza procedere a un loro
immediato controllo, si sarebbe limitato a ricopiare la denuncia fatta dallo zio
circa un anno prima, fidandosi della sua correttezza e completezza, e si sarebbe
riservato di svolgere in seguito il controllo, era fondata su affermazioni labiali
provenienti da soggetto che aveva diritto di mendacio e contrastanti con le altre
acquisizioni probatorie, e segnatamente con la rilevata presenza di armi non
denunciate, la cui illegale detenzione era ascritta in termini specifici al capo e);
– l’imputato con la sua condotta, riferita a un numero elevato di armi, aveva
vanificato la duplice esigenza sottesa alla ratio della disciplina in materia di armi
(conoscenza da parte delle autorità di polizia in qualsiasi momento delle persone
e dei luoghi di detenzione delle armi e delle munizioni, nonché della quantità e
qualità delle armi presenti nella giurisdizione di ciascuna di esse). Egli, in
particolare, aveva trasferito le armi, già in suo possesso e di sua proprietà dal 20
gennaio 2009, dal suo domicilio di Matino a un altro, collocato nello stesso
territorio comunale, senza ripetere la denuncia di trasferimento da farsi
immediatamente, mentre tra la denuncia di detenzione in altro domicilio (20
dicembre 2009) e il sequestro (6 gennaio 2010) erano decorsi diciassette giorni,

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aveva indicato di detenere in Matino, Via Roma n. 12;

sì da rendere irrilevante la circostanza che egli fosse stato impegnato fuori
provincia per ragioni di lavoro il giorno precedente al controllo delle armi e fosse
stato colpito da un fatto luttuoso; inoltre, aveva denunciato la detenzione di armi
non trovate al momento del controllo dei Carabinieri, pur avendo l’obbligo, una
volta ricevute le armi, di svolgere una opportuna verifica e di denunciare solo
quelle presenti;
– non era fondata la richiesta di rinnovazione dibattimentale, attesa la
esaustività della svolta istruttoria e considerato il carattere esplorativo del suo

Stamerra, oltre alla sua ininfluenza ai fini dell’affermazione della responsabilità
dell’imputato;
– le due contravvenzioni contestate erano, inoltre, compatibili, sotto il profilo
psicologico, con una condotta colposa ovvero colpevolmente negligente
dell’agente;
– il trattamento sanzionatorio, quanto alla pena base, agli aumenti per
continuazione e al diniego delle attenuanti generiche, andava confermato per la
sua correttezza e congruità.

3. L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo dei suoi
difensori avvocati Francesco Sanzò e Ivana Maria Quarta, avverso detta sentenza
e avverso l’ordinanza resa nel giudizio di appello il 26 novembre 2014,
sviluppando cinque motivi.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione
della legge penale con riferimento all’art. 159 cod. pen. e mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al mancato
riconoscimento della estinzione dei reati sub a) e sub f) per intervenuta
prescrizione.
Secondo il ricorrente, è censurabile l’ordinanza del 26 novembre 2014 con la
quale la Corte di appello, pur dando atto del documentato e concorrente
impegno professionale dell’avv. Quarta, unico difensore, e della sua assoluta
impossibilità di nominare un sostituto processuale per la discussione, aveva
rinviato il processo all’udienza del 18 novembre 2015, sospendendo i termini di
prescrizione per l’intero periodo, invece che fino a un massimo di sessanta giorni,
ai sensi dell’art. 159 cod. pen.
La decisione è in contrasto con il principio di diritto fissato dalle Sezioni
Unite con sentenza n. 4909 del 18 dicembre 2014, che, intervenendo sul tema
specifico, hanno riaffermato che il concomitante impegno professionale del
difensore ha natura di impedimento legittimo, in presenza delle condizioni di
essenzialità e non sostituibilità del medesimo in altro processo, sì da

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esito, a fronte delle modalità «frenetiche» di acquisto delle armi da parte dello

compromettere la possibilità, da scrutinarsi dal giudice, di prestare la propria
opera in una sede processuale, con congelamento dei termini fino a un massimo
di sessanta giorni dalla cessazione dell’impedimento.
Né la Corte ha motivato in ordine alle ragioni della omessa applicazione di
tale principio, che, ove applicato, comportando la riduzione della sospensione del
termine di prescrizione, avrebbe comportato la dichiarazione di intervenuta
estinzione delle indicate ipotesi contravvenzionali.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa

e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata rinnovazione
dibattimentale mediante perizia sulle armi di cui al capo e).
Secondo il ricorrente, la richiesta di rinnovazione istruttoria, formulata con i
motivi aggiunti e non riportata nella sentenza né oggetto di apprezzamento, era
volta all’espletamento di una perizia sulle armi in relazione alle quali egli era
stato condannato per detenzione illegale, descritte come «fucile doppietta matr.
25937 e fucile semiautomatico cal. 12 marca Benelli, matr. A16682», finalizzata
a colmare la lacuna probatoria afferente alla funzionalità delle stesse e alla loro
certa individuazione, non superabile con le indicazioni riportate nella
imputazione.
3.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione
della legge con riferimento all’art. 603 cod. proc. pen. e mancanza e manifesta
illogicità della motivazione in relazione alla mancata rinnovazione dibattimentale
invocata mediante acquisizione delle quarantaquattro denunce di acquisto di
armi a firma di Salvatore Stamerra a partire dal settembre 1995 fino al 3
dicembre 2009.
Secondo il ricorrente, la richiesta formulata con i motivi aggiunti era volta a
colmare la lacuna, consolidatasi nell’ambito del giudizio, in tema di prova certa
della sua responsabilità e della tipologia, numero e matricola delle armi
effettivamente pervenutegli in donazione e di quelle non più in possesso dello zio
al momento del suo decesso e risultanti detenute nelle precedenti denunce,
idonee a fornire una prova o una ricostruzione alternativa a quella posta a base
dei reati ascritti.
La motivazione della Corte di appello nel rigetto della richiesta è stata,
invece, carente, illogica e contraddittoria, non essendosi considerato che l’esame
delle denunce avrebbe consentito di acquisire la prova documentale certa, e non
esplorativa, che il suo dante causa annotava nelle denunce solo le armi
acquistate e non la loro cessione, rendendo impossibile di fatto il controllo pronto
e visivo dei passaggi e delle destinazioni delle innumerevoli armi da lui detenute
e poi cedute.

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applicazione della legge con riferimento all’art. 603 cod. proc. pen. e mancanza

3.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa
applicazione della legge con riferimento agli artt. 2 e 7 legge n. 895 del 1967, in
relazione all’art. 533 cod. proc. pen. e all’elemento psicologico del reato, e
mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
La Corte di appello, ad avviso del ricorrente, ha fondato l’iter motivazionale
su due ordini di giudizio, correlati a una valutazione errata e parziale delle
risultanze processuali.
L’affermazione della indubitabile esaustività della istruttoria dibattimentale

responsabilità penale, anche in relazione al principio della regola di giudizio
dell’oltre ogni ragionevole dubbio, e il rilievo che il quadro probatorio non è stato
messo in discussione dalla difesa è illogico in rapporto alle richieste di
rinnovazione della istruzione dibattimentale formulate con gli scritti difensivi.
La compatibilità sotto il profilo psicologico anche del reato di cui agli artt. 2 e
7 legge n. 895 del 1967 con la mera condotta colposa è dimostrativa, inoltre,
dell’errore di puro diritto commesso in tema di valutazione degli elementi
costitutivi del detto reato, accomunato superficialmente alle altre due ipotesi
contravvenzionali, senza apprezzare la differenza tra il rispettivo elemento
soggettivo, richiedendo il delitto di illegale detenzione di arma la coscienza e
volontà di avere materialmente a disposizione l’arma e di non averne fatto
denuncia.
È documentato in atti che il 20 dicembre 2009 egli e la moglie dello zio
Salvatore Stamerra si sono recati presso la Stazione dei Carabinieri di Matino e,
dopo che quest’ultima ha denunciato di avere ceduto le «sottoelencate armi
regolarmente denunciate», rispettando la volontà del defunto marito e ricopiando
l’ultima denuncia di detenzione dello stesso, egli ha denunciato la detenzione
delle armi copiando integralmente la denuncia della zia, con conseguente
configurazione al più a suo carico di una negligenza insufficiente a integrare il
dolo generico.
3.5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e
manifesta illogicità della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, per
essere sproporzionata la pena inflitta e ingiustificato il diniego delle attenuanti
generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. È fondato il primo motivo del ricorso, che attinge l’ordinanza del 26
novembre 2014 nella parte in cui la stessa ha congelato la sospensione del
termine prescrizionale per un tempo superiore ai sessanta giorni dalla data della

contrasta con l’assoluta mancanza di certezza della prova della sua

cessazione dell’impedimento, opposto dal difensore per concomitante impegno
professionale e ritenuto legittimo, e la sentenza impugnata nella parte relativa
alla omessa declaratoria di estinzione dei reati contravvenzionali di cui ai capi a)
e b) per intervenuta prescrizione.
1.1. Le Sezioni Unite (Sez. U, n. 4909 del 18/12/2014, dep. 2015, Torchio)
sono intervenute sulla questione di diritto, attinente alla operatività, in caso di
rinvio del processo per concomitante impegno professionale del difensore, del
limite temporale di sessanta giorni di cui all’art. 159, primo comma, n. 3 cod.

Sezione feriale, riscontrato un contrasto interpretativo nella giurisprudenza di
legittimità, ne aveva richiesto l’intervento regolatore (ordinanza n. 42800 del
21/08/2014), e, con decisione condivisa dal Collegio, hanno affermato, sì come
da massimazione ufficiale, innanzitutto, quale premessa, che «l’impegno
professionale del difensore in altro procedimento costituisce legittimo
impedimento che dà luogo ad assoluta impossibilità a comparire, ai sensi dell’art.
420 ter, comma quinto, cod. proc. pen., a condizione che il difensore: a)
prospetti l’impedimento non appena conosciuta la contemporaneità dei diversi
impegni; b) indichi specificamente le ragioni che rendono essenziale
l’espletamento della sua funzione nel diverso processo; c) rappresenti l’assenza
in detto procedimento di altro codifensore che possa validamente difendere
l’imputato; d) rappresenti l’impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi
dell’art. 102 cod. proc. pen. sia nel processo a cui intende partecipare sia in
quello di cui chiede il rinvio» (Rv. 262912), e quindi, hanno rimarcato che «il
rinvio dell’udienza per impedimento legittimo del difensore per contemporaneo
impegno professionale determina la sospensione del corso della prescrizione fino
ad un termine massimo di sessanta giorni a far capo dalla cessazione
dell’impedimento stesso, dovendosi applicare in tal caso la disposizione di cui
all’art. 159, comma primo, n. 3, cod. pen., nel testo introdotto dall’art. 6 della
legge 5 dicembre 2005, n. 251» (Rv. 262913).
1.2. Di tali, qui riaffermati, principi non si è fatta corretta e completa
applicazione.
La Corte, invero, dopo avere riconosciuto natura di legittimo impedimento a
comparire ai concomitante impegno professionale dell’avv. Quarta, unico
difensore dell’imputato, ponendolo a ragione del rinvio dell’udienza dal 26
novembre 2014 al 18 novembre 2015, ha disposto la sospensione del decorso
del termine prescrizionale per l’intero periodo del differimento, mentre doveva
trovare applicazione il ridetto limite di sessanta giorni.
1.3. Consegue a tale rilievo che, calcolando correttamente in sessanta giorni
il periodo di sospensione del corso della prescrizione in relazione all’indicato

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pen. ai fini della sospensione del corso della prescrizione, in ordine alla quale la

rinvio, i reati contravvenzionali, ascritti al capo a) e al capo f), contestati come
commessi rispettivamente il 5 gennaio 2010 e fino al 6 gennaio 2010, risultano
essersi prescritti in data ampiamente antecedente a quella (18 novembre 2015)
della sentenza impugnata, anche calcolando in aggiunta al periodo di sessanta
giorni quello (trenta giorni) fissato dal Giudice di primo grado per il deposito
della sentenza.
La sentenza impugnata, che, valorizzando il più lungo periodo di
sospensione, non ha rilevato il già avvenuto decorso del termine prescrizionale,

accoglimento del relativo motivo di impugnazione.
L’annullamento va disposto senza rinvio, a norma dell’art. 620 lett.

a) cod.

proc. pen., dovendo dichiararsi l’estinzione dei ridetti reati per intervenuta
prescrizione.

2. È privo di fondatezza il secondo motivo, che, in ordine al reato di cui al
capo e), riguarda, nella sua formale deduzione, la incorsa violazione di legge e il
difetto di motivazione per la mancata rinnovazione della istruttoria
dibattimentale e si riferisce, nella prospettazione dei vizi, alla omessa
valutazione della richiesta di perizia sulle due armi, oggetto dell’ascritta
detenzione illegale, per colmare la lacuna probatoria «in tema di certezza della
funzionalità delle armi e della certezza della loro esatta individuazione».
2.1. Costituisce, invero, ius receptum, nell’elaborazione giurisprudenziale di
questa Corte, il principio secondo cui la rinnovazione della istruttoria nel giudizio
di appello, attesa la presunzione di completezza di quella espletata in primo
grado, costituisce una evenienza eccezionale, subordinata a una valutazione
giudiziale di assoluta necessità conseguente alla insufficienza degli elementi
istruttori già acquisiti, che impone l’assunzione di ulteriori mezzi istruttori (tra le
altre, Sez. 2, n. 3458 del 01/12/2005, dep. 2006, Di Gloria, Rv. 233391; Sez. 2,
n. 41808 del 27/09/2013, Mongiardo, Rv. 256968; Sez. U, n. 12602 del
17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820).
Proprio in ragione del carattere eccezionale del detto istituto, il mancato
accoglimento della richiesta in tanto può essere censurato in sede di legittimità,
in quanto risulti dimostrata la oggettiva necessità dell’adempimento in questione
e, dunque, la erroneità di quanto esplicitamente o implicitamente ritenuto dal
«decidere allo stato degli atti», come

giudice di merito circa la possibilità di

previsto dall’art. 603, primo comma, cod. proc. pen. Discende che il ricorrente
deve dimostrare l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della
decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del
medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali

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deve essere, pertanto, annullata limitatamente alle contravvenzioni, in

sarebbero state presumibilmente evitate qualora si fosse provveduto, come
richiesto dalla parte interessata, all’assunzione ovvero alla riassunzione di
determinate prove in sede di appello (tra le altre, Sez. 1, n. 9151 del
28/06/1999, Capitani, Rv. 213923; Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013, dep.
2014, Cozzetto, Rv. 258236; Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014, dep. 2015, P.R.,
Rv. 261799).
2.2. Nel caso di specie, tale dimostrazione non risulta essere stata fornita,
mentre la Corte di appello ha specificamente argomentato, a fronte della

di cui al capo e) , circa la compiuta indicazione nel capo di imputazione di
ciascuna arma, implicitamente esprimendosi nel senso della insussistenza
dell’assoluta necessità della richiesta, cui ha sotteso un giudizio di manifesta
irrilevanza della reclamata rinnovazione istruttoria.
Tale percorso argomentativo, ragionevolmente esplicativo dell’opposto
diniego, resiste alle deduzioni del ricorrente, che, mentre infondatamente
contestano l’omessa risposta al problema posto, inammissibilmente introducono
la questione relativa alla funzionalità delle armi, non dedotta con i motivi di
appello e non oggetto della richiesta di rinnovazione dibattimentale, formulata
con i motivi nuovi con riguardo alla identificazione delle armi, e sono generiche
nella eccepita deduzione della decisività ai fini della decisione del tema
probatorio, oltre a essere estranee ai limiti del sindacato di legittimità nella
reclamata rilettura di assertive emergenze fattuali.

3. Non ha pregio il terzo motivo, relativo al censurato rigetto della richiesta
di acquisizione delle denunce di acquisto di armi a firma di Vincenzo Stamerra
nel periodo dal settembre 1995 al 3 dicembre 2009, che, priva di alcuna
rilevanza con riguardo alle fattispecie contravvenzionali dichiarate prescritte, è
stata correttamente ritenuta nella sentenza impugnata non solo, e in genere, di
carattere meramente esplorativo, attenendo alle modalità -indicate come
«frenetiche»- delle operazioni di compravendita delle armi da parte del defunto
Stamerra, ma apprezzata come ininfluente ai fini della decisione alla luce
dell’obbligo di denuncia delle armi detenute.

4. È, invece, fondato il quarto motivo, che attiene, sotto i concorrenti profili
della violazione di legge e del vizio motivazionale, alla contestata sussistenza
dell’elemento psicologico del reato di cui agli artt. 2 e 7 legge n. 895 del 1967.
Correttamente da parte del ricorrente si è evidenziato, posta la
configurabilità dell’elemento psicologico del delitto di detenzione illegale di arma
in termini di dolo generico, ribadita già da risalente giurisprudenza (tra le altre,

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contestata genericità della imputazione relativa alla detenzione illegale delle armi

Sez. 1, n. 4534 del 05/03/1981, Cobino, Rv. 148854), che la motivazione sul
punto, anche in relazione alla regola del giudizio dell’oltre ogni ragionevole
dubbio, non è pertinente alla indicata fattispecie di reato, essendosi risolta nel
rilievo della compatibilità anche con una condotta colposa delle ipotesi
contravvenzionali, senza considerare la non indifferenza per il delitto
dell’atteggiamento colposo o doloso del reo, in ordine al quale sono mancati un
logico apprezzamento e, in ogni caso, una coerente esplicitazione del discorso

5. Tali carenze impongono l’annullamento della sentenza impugnata
relativamente al predetto delitto, con rinvio a diversa sezione della Corte di
appello di Lecce, che, in coerenza con quanto rappresentato -che assorbe la
censura relativa al trattamento sanzionatorio, di cui al quinto motivo, senza
precluderla- dovrà, in piena libertà di giudizio ma con motivazione completa e
immune da vizi logici e giuridici, procedere a nuovo giudizio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza

impugnata senza rinvio limitatamente alle

contravvenzioni perché estinte per prescrizione.
Annulla la sentenza altresì relativamente al delitto e rinvia per nuovo
giudizio alla Corte di appello di Lecce, diversa sezione.
Così deciso il 07/02/2017

giustificativo della decisione.

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