Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11586 del 18/12/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 11586 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DORDEVIC DOMENICA N. IL 25/11/1985
SAVIC RUZA N. IL 08/10/1988
avverso la sentenza n. 4056/2010 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 27/04/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;

Data Udienza: 18/12/2013

Osserva
Ricorre per cassazione, con un unico atto, il comune difensore di fiducia di Dordevic
Domenica e Savic Ruza avverso la sentenza emessa in data 27.4.2011 dalla Corte di
Appello di Palermo che confermava quella in data 8.7.2009 del Tribunale di Palermo in
composizione monocratica, con la quale, le predette erano stattriconosciute colpevoli dei
due reati di furto aggravato in abitazione in concorso e condannate alla pena di anni tre,
mesi sei di reclusione ed C 400,00 di multa ciascuno.
Entrambe si dolgono del vizio motivazionale, con particolare riferimento alla mancato

tenuità.
Il ricorso è inammissibile essendo le censure mosse aspecifiche e manifestamente
infondate.
E’ palese la sostanziale aspecificità delle censure mosse che hanno riproposto in questa
sede pedissequamente le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale
e da quel giudice disattese con motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed
assolutamente plausibile, fondando il diniego delle attenuanti generiche e di quella di cui
all’art. 62 n. 4 c.p. sulla pericolosa personalità delle imputate ed il valore non trascurabile
della refurtiva.
Ed è stato affermato che “è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che
ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame,
dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo,
invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma
anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione
impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare
le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a
mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità” (Cass. pen. Sez. IV, 29.3.2000,
n. 5191 Rv. 216473 e successive conformi, quale: Sez. II, 15.5.2008 n. 19951, Rv.
240109).
Peraltro, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto, pressocchè
costantemente, che “l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606,
comma 1, lett. e) c.p.p., è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile
ictu ocu/i, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un

orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi,
per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato
argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle
acquisizioni processuali” (Cass. 24.9.2003 n. 18; conformi, sempre a sezioni unite Cass.
n. 12/2000; n. 24/1999; n. 6402/1997).

Più specificamente “esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva,
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riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e di quella del danno di particolare

riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità, la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze
processuali” (Cass. sezioni unite 30.4.1997, Dessimone).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la
condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma, che si
ritiene equo liquidare per ciascuna in C 1.000,00, in favore della cassa delle ammende,
non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di
inammissibilità.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna le ricorrenti singolarmente al pagamento
delle spese processuali e ciascuna a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della
Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 18.12.2013

P.Q.M.

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