Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11546 del 05/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11546 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

Data Udienza: 05/02/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE VITA ANTONIO N. IL 12/04/1953
avverso la sentenza n. 339/2012 TRIB.SEZ.DIST. di AMALFI, del
26/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. °
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42953/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 26 novembre 2012 il Tribunale di Salerno, sezione distaccata di Amalfi,
ha condannato De Vita Antonio alla pena di C 140 di ammenda per il reato di cui agli articoli 54
e 1161 cod.nav. per aver occupato demanio marittimo con ombrelli e lettini da mare.
2. Ha presentato appello – che è stato poi convertito in ricorso – il difensore adducendo tre
motivi. Il primo motivo chiede assoluzione perché il fatto non sussiste e/o non è stato
commesso dall’imputato. Il secondo chiede assoluzione ex articolo 530, secondo comma,
c.p.p., essendo le prove insufficienti. Quale terzo motivo viene richiesta l’applicazione del
minimo della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
Il primo e il secondo motivo possono essere accorpati nel vaglio, avendo in comune una
natura evidentemente fattuale: il ricorrente ricostruisce i fatti in versione alternativa a quella
adottata nell’impugnata sentenza, traendone come conclusione l’assoluzione piena, e in via
gradata l’assoluzione ex articolo 530, secondo comma,c.p.p., argomentando l’assenza di prova
anche sulla natura (solo pecuniaria) della pena irrogata, che lascerebbe intendere “lo scarso
convincimento del Giudicante in ordine alla responsabilità”. Tali motivi, idonei in un grado
d’appello, sono palesemente inammissibili dinanzi al giudice di legittimità.
Il terzo motivo, chiedendo l’irrogazione del minimo della pena, esige un vaglio discrezionale
dosimetrico che a sua volta è precluso al giudice di legittimità.
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile
con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese
del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale
emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il
ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di
Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di €1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 5 febbraio 2014

Il Consigl re Estensore

Il Presidente

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