Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11544 del 05/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11544 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SECLI’ GIOVANNI N. IL 19/09/1956
avverso la sentenza n. 1612/2010 CORTE APPELLO di LECCE, del
23/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott a O,O ‘A n (I v-Dsche ha concluso per 1.,k s e..__ZR

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

C_A

)(v Esss,

Data Udienza: 05/02/2014

26124/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 23 gennaio 2013 la Corte d’appello di Lecce, a seguito di appello
proposto dalla parte civile società SNAI agli effetti civili avverso sentenza dell’8 febbraio 2010
con cui il Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Maglie, aveva assolto Seclì Giovanni dal
reato di cui all’articolo 4, commi 1, 4 bis e 4 ter,I. 401/1989 (contestatogli per avere
abusivamente svolta attività organizzata per l’accettazione e la raccolta per via telematica di
scommesse in violazione dell’articolo 88 T.U.L.P.S.) perché il fatto non costituisce reato, ha

alla parte civile il danno, da liquidare in separata sede.
2. Ha presentato ricorso il difensore del Seclì, adducendo due motivi. Il primo motivo rileva
che l’appellante non era comparsa all’udienza del 23 gennaio 2013 e non aveva depositato
nota spese. Ciò costituirebbe revoca tacita dell’appello (la corte territoriale si è limitata al
riguardo a richiamare l’immanenza della costituzione di parte civile); e comunque non avrebbe
dovuto essere pronunciata condanna alle spese a carico dell’imputato. Il secondo motivo,
partendo dal presupposto che l’imputato agisce per la società Stanley, un c.d. bookmaker
inglese, svolge un’ampia sintesi della giurisprudenza e della normativa attinente all’attività di
tale società in Italia e dei suoi operatori, richiamando anche giurisprudenza comunitaria, oltre
che di questa Suprema Corte, e concludendo che per gli operatori Stanley deve essere
disapplicato l’articolo 88 T.U.L.P.S.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
3.1 II primo motivo adduce che, non comparendo all’udienza del 23 gennaio 2013 dinanzi
alla Corte d’appello, la parte civile appellante avrebbe tacitamente, ovvero

per facta

concludentia, rinunciato all’impugnazione. Non pertinente sarebbe il principio, invocato al
riguardo – a fronte della relativa eccezione – dalla corte territoriale, della immanenza della
parte civile, una volta costituitasi nel processo. Effettivamente la corte afferma che non

dichiarato l’imputato responsabile civilmente del fatto ascrittogli e lo ha condannato a risarcire

sussiste revoca tacita “per il principio dell’immanenza della costituzione” della parte civile
“nonostante la mancata partecipazione di quest’ultima al giudizio di appello”.
La costituzione di parte civile è di per sé, nelle sue conseguenze, disciplinata dal principio
della immanenza, nel senso che, una volta intervenuta in primo grado ritualmente in virtù di
procura speciale ex articolo 100 c.p.p., produce permanenti effetti in ogni stato e grado del
processo, senza necessità di altro mandato (cfr. p.es . Cass. sez. I, 20 dicembre 2007-23
gennaio 2008 n. 3601 e, da ultimo, Cass. sez. V, 4 giugno 2013 n. 39471). Ne consegue, tra
l’altro, che “la mancata partecipazione al giudizio di appello della parte civile, per il principio
dell’immanenza della costituzione, non può essere interpretata come revoca tacita o presunta
di questa. La disposizione di cui all’art. 82 comma secondo c.p.p. vale, infatti, solo per il .,….)

processo di primo grado ove, in mancanza delle conclusioni non si forma il “petitum” sul quale
il giudice possa pronunziarsi, mentre invece le conclusioni rassegnate in primo grado restano
valide in ogni stato e grado del processo” (Cass. sez. II, 20 maggio 2008 n. 24063; cfr. altresì
Cass. sez. IV, 2 dicembre 1994-24 aprile 1995 n. 4380, che ha disatteso la tesi dell’imputato e
l’assenza della parte civile nel processo d’appello avrebbe integrato revoca tacita della
costituzione affermando invece che “poiché l’art. 82, comma secondo, c.p.p. ha limitato i casi

di revoca presunta o tacita della costituzione di parte civile alle sole ipotesi di omessa

primo grado e di promovimento dell’azione di danno in sede civile, non può attribuirsi alcuna
rilevanza ai detti fini all’omessa comparizione della parte civile all’udienza o dal suo
allontanamento”;cfr. altresì S.U. 13 dicembre 1995-29 gennaio 1996 n. 930, per cui l’assenza
della parte civile nel secondo grado non costituisce revoca tacita, non essendo applicabile
l’articolo 82, secondo comma, c.p.p.; conformi Cass. sez. I, 11 febbraio 1997 n. 3157 e, da
ultimo, sull’applicabilità solo al primo grado dell’articolo 82, secondo comma, Cass. sez. VI, 23
maggio 2013 n. 25012). Peraltro, va rilevato che il principio di immanenza attiene alla
costituzione di parte civile, la cui revoca è appunto disciplinata da una norma specifica quale
l’articolo 82 c.p.p. La costituzione della parte offesa quale parte civile nel processo penale è il
mezzo per l’esercizio dell’azione civile restitutoria e risarcitoria entro tale processo (cfr. articoli
76, comma primo, e 74 c.p.p.); e tale introduzione della pretesa civile nell’ambito del processo
penale “produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo” (articolo 76, comma secondo)
salvo, appunto, ne sia disposta la revoca nelle modalità di cui all’articolo 82 c.p.p. e salve
altresì le ipotesi di esclusione su richiesta di parte o d’ufficio ex articoli 80 e 81 c.p.p.
Purtuttavia, occorre distinguere tra l’inserimento nel processo penale dell’azione civile e
l’impulso affinché il processo penale prosegua tramite l’impugnazione della sentenza che ha
concluso il grado di giudizio: la differenza evidente tra i due concetti (presenza originaria
permanente a fronte di impulso per prosecuzione ad altro grado) rende non pertinente il
principio di immanenza. Poiché, peraltro, l’introduzione dell’azione civile nel processo penale
impone a chi ha scelto tale modalità per fare valere il proprio diritto risarcitorio o restitutorio

presentazione delle conclusioni nel corso della discussione finale in fase di dibattimento di

l’adeguamento alle norme del rito penale nell’esercitarlo, non si può in tal caso introdurre una
sorta di contaminati° con le norme del rito civile (come tenta di prospettare il ricorrente, a ben
guardare), e in particolare con l’articolo 348, secondo comma, c.p.c. che fa conseguire alla
mancata comparizione dell’appellante alla prima udienza ed alla successiva l’improcedibilità
dell’appello. Poiché l’azione civile nel processo penale non è un ibrido, bensì un’azione
assoggettata al rito penale (si potrebbe definire, sotto questo profilo, un’azione penale

lato

sensu), deve invece applicarsi la norma specifica – l’articolo 589 c.p.p. – che disciplina in
quest’ultimo rito la rinuncia all’impugnazione. E dato che l’articolo 589 c.p.p. esclude per le
parti private la rinuncia per facta concludentia, esigendo una dichiarazione (al terzo comma,
dichiarazione che può essere presentata anche per mezzo di procuratore speciale ai sensi del
secondo comma), si deve ritenere che la mancata comparizione della parte civile all’udienza.-.)

del 23 gennaio 2013 dinanzi al giudice d’appello non abbia avuto alcuna conseguenza sulla
procedibilità dell’impugnazione; e da ciò, logicamente, discende anche la legittimità della
condanna alle spese che la corte territoriale ha pronunciato a favore dell’impugnante, il cui
impulso procedurale è stato espresso in modo valido e non è venuto meno, implicando
logicamente, seppure in modo generico e tacito, la domanda di rifusione delle spese cui
l’assenza della nota non è ostativa, non essendo presidiato da sanzioni l’articolo 153
disp.att.c.p.p. (cfr.Cass. sez. II, 15 gennaio 2013 n. 18269 e Cass. sez. V, 4 giugno 2013 n.

3.2 II secondo motivo, presentato in modo assai esteso, in sintesi adduce che la normativa
italiana, quale quella di cui all’articolo 88 T.U.L.P.S., con le varie successive modifiche (anche
con riferimento alla I. 248/2006 e “agli aspetti civilistici”) deve disapplicarsi perché
confliggente con la libertà di stabilimento e la libertà di prestazione dei servizi come garantite
dalla normativa comunitaria, e perché discriminatoria in pregiudizio dell’operatore comunitario
Stanley, senza giustificazione di ordine pubblico o di pubblica sicurezza; inoltre non può
perseguire obiettivi fiscali, comprime la libertà dei cittadini e delle imprese dell’Unione Europea
e discrimina i cittadini italiani. L’ampio motivo, in realtà, si incentra sulla posizione della
Stanley e non considera adeguatamente l’effettivo contenuto della decisione impugnata.
Questa evidenzia essere pacifico che il Seclì ha sì operato in Italia in collegamento con il
gruppo Stanley, ma alla data di contestazione (l’unica rilevante) non aveva mai chiesto la
licenza di pubblica sicurezza di cui all’articolo 88 T.U.L.P.S.; da ciò desume logicamente
l’inapplicabilità all’imputato della situazione della Stanley e dei suoi operatori in Italia, quale
sorta dalla negazione da parte delle autorità di pubblica sicurezza dell’autorizzazione ex
articolo 88: negazione in base alla quale, visto il presidio della normativa comunitaria, la
giurisprudenza di legittimità ha ritenuto di disapplicare la normativa interna in riferimento
all’articolo 4 I. 1989/401. Invero Cass. sez. III, 10 luglio 2012 n. 28413 – correttamente
richiamata dalla corte territoriale – ha chiarito che “non integra il reato di cui all’art. 4 della I.
n. 401 del 1989 la raccolta di scommesse in assenza di licenza di pubblica sicurezza da parte di
soggetto che operi in Italia per conto di operatore straniero (nella specie la “Stanley

39471). In conclusione, il motivo è infondato.

International Betting Ltd”) cui la licenza sia stata negata per illegittima esclusione dai bandi di
gara e/o mancata partecipazione a causa della non conformità, nell’interpretazione della Corte
di giustizia CE, del regime concessorio interno agli artt. 43 e 49 del Trattato CE. (In
motivazione la Corte ha disapplicato la disciplina di cui all’art. 4 cit. a seguito della sentenza
della Corte di giustizia CE nelle cause riunite C – 72/10 e C – 77/10 Costa e Cifone)”

(sulla

necessità del rilascio della licenza ex articolo 88 T.U.L.P.S. o della negazione illegittima di
questa per escludere il reato in questione v. pure Cass. sez. III, 20 settembre 2012 n. 40865).
Anche questo motivo, pertanto, si appalesa infondato.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente ty
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 5 febbraio 2014

Il Presidente

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