Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11538 del 08/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11538 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– COJANA ROLANDO, n. 13/07/1949 a CAGLIARI

avverso la sentenza della Corte d’Appello di CAGLIARI in data 5/06/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Nicola Lettieri, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udite le conclusioni dell’Avv. Maria Beatrice Magro del Foro di Roma, che ha
concluso per l’accoglimento del ricorso;

Data Udienza: 08/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. CalANA ROLANDO ha proposto personalmente tempestivo ricorso avverso la
sentenza della Corte d’Appello di CAGLIARI in data 5/06/2013, depositata in data
19/06/2013, con cui veniva confermata la sentenza 11/01/2013 emessa dal

e mesi quattro di reclusione, condonata nella misura di anni due e mesi due di
reclusione, oltre le pene accessorie di legge, per i seguenti reati:
a) reato di cui all’art. 8, d. Igs. n. 74/00, per aver, al fine di consentire a terzi
l’evasione delle imposte sui redditi e sull’IVA, in qualità di legale rappresentante
della società EUR.IMP.CO . s.r.I., con sede in Sestu, emesso fatture per
operazioni inesistenti, come da cc.nn.rr. 8/10/08 e 12/11/09 della GDF, e
segnatamente

[“nell’anno di imposta 2004, dieci fatture per operazioni

inesistenti per un imponibile complessivo pari ad C 1.103.242,77 e relativa IVA
nei confronti della s.r.l. INIZIATIVE TURISTICHE e della ditta individuale MURGIA
SALVATORE e,”: si tratta di contestazione da cui l’imputato è stato prosciolto in
primo grado per intervenuta estinzione per prescrizione] nell’anno di imposta
2005, dieci fatture per operazioni inesistenti per complessivi C 720.764,98 e
relativa Iva al 20% di cui due fatture per C 127.773,65 e relativa IVA nei
confronti della società INIZIATIVE TURISTICHE s.r.l. con sede in Cagliari e otto
fatture per un imponibile complessivo di C 592.991,33 e relativa Iva del 20%,
nei confronti della ditta individuale MURGIA SALVATORE con sede in Cagliari;
accertato in Isili, il 20/10/09 (capo a);
b) reato di cui agli artt. 81 cpv c.p., 4 d. Igs. n. 74/00, per aver in tempi diversi
e con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in qualità di legale
rappresentante della società EUR.IMP.CO . s.r.I., con sede in Sestu, al fine di
evadere le imposte sui redditi e VIVA, indicato nelle dichiarazioni, relativamente
agli anni d’imposta 2004 e 2005, elementi passivi fittizi e segnatamente per,
avere congiuntamente, per l’anno 2004, evaso VIVA per C 112.742 (aliquota
20%) ed evaso l’IRES (aliquota 33%) per C 186.025, entrambe superiori al
limite di C 103.291,38 e sottratto all’imposizione elementi attivi, mediante
l’indicazione di elementi passivi fittizi, per un ammontare pari ad C 563.742
superiori al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in
dichiarazione pari ad C 552.090 e, per l’anno d’imposta 2005, evaso VIVA per C
144.094 (aliquota 20%) ed evaso l’IRES (aliquota 33%) per C 237.754,
entrambe superiori al limite di C 103.291,38 e sottratto all’imposizione elementi
attivi, mediante l’indicazione di elementi passivi fittizi per un ammontare pari ad
2

Tribunale di CAGLIARI, di condanna del medesimo imputato alla pena di anni due

C 720.468, superiori al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi
indicati in dichiarazione, pari ad C 720.765; in Cagliari, il 28/10/2005 ed il
31/10/2006 (capo b).

2. Ricorre avverso la predetta sentenza l’imputato personalmente, deducendo
cinque motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per

2.1.

Deduce, con un primo motivo, la violazione di legge per erronea

applicazione dell’art. 18, lett. c), c.p.p.

(error in procedendo) stante l’omessa

separazione dei procedimenti e stralcio della posizione di Cojana Rolando per
sottoporlo a giudizio nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione sul punto ex art. 606, lett. e), c.p.p., vizio risultante dal testo del
provvedimento impugnato.
In sintesi, si duole il ricorrente per essere stata separata la sua posizione da
quelli degli altri imputati appellanti (Pala e Congiu) all’udienza davanti alla Corte
d’appello in data 5/06/2013, stante la nullità della citazione nei confronti di
questi ultimi, al fine di evitare il maturarsi del termine di prescrizione; l’avvenuta
separazione del processo nei suoi confronti rispetto a quella degli altri appellanti
avrebbe inficiato la sentenza impugnata in quanto gravemente illegittima,
essendo ciò ingiustamente punitivo per il ricorrente, non avendo tenuto conto la
Corte territoriale dell’opposizione di quest’ultimo, la cui motivazione sarebbe
contraddittoria in quanto non ispirata al principio del

favor rei ed, anzi,

contrastante con la necessaria salvaguardia dell’unicità del procedimento, idonea
a salvaguardare la miglior difesa del ricorrente, attesa l’unicità del fatto-reato ed
i rapporti tra gli imputati appellanti; conclusivamente, l’ordinanza della Corte
cagliaritana con cui è stata disposta d’ufficio la separazione, sarebbe illegittima
sotto il profilo dell’eccesso di potere e della violazione di legge, in quanto
motivata dal solo fine di evitare l’intervento della prescrizione (prospettando,
inoltre, anche la violazione dell’art. 3 Cost., per il potenziale contrasto di
giudicati, in quanto situazioni analoghe sono trattate in modo diseguale).

2.2. Deduce, con un secondo motivo, la violazione dell’art. 8, comma 1, d. Igs.
n. 74/00 nonché dell’art. 4, d. Igs. n. 74/00, anche in relazione all’art. 157 c.p.,
nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul punto (art.
606, lett. e), c.p.p.), vizio risultante dal testo del provvedimento impugnato
(error in iudicando).

3

la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

In sintesi, si duole il ricorrente per non essere stata dichiarata l’estinzione dei
reati per prescrizione, censurando la motivazione sul punto della decorrenza del
termine di prescrizione (concordandosi invece con la Corte territoriale sul calcolo
del termine medesimo in 7 anni, mesi 8 e gg. 22 complessivi), in quanto,
analogamente a quanto avviene per il reato continuato, la condotta criminosa
concretatasi in una pluralità di fatture per operazioni inesistenti, dovrebbe essere
scissa nelle sue componenti, in modo da apportare la riduzione proporzionale

della pena in relazione agli episodi criminosi contestati; di conseguenza, si
sostiene in ricorso, il giudice sarebbe incorso in violazione di legge nella parte in
cui, facendo decorrere la prescrizione del reato dall’ultima fattura emessa il
30/11/05, ha ritenuto sussistere un’unica violazione, non riducendo dunque
proporzionalmente la pena irrogata per il reato di cui all’art. 8, d. Igs. n. 74/00
(capo a), con riferimento agli episodi di fatturazione dal febbraio al marzo 2005,
che sarebbero estinti per prescrizione, residuando quindi solo tre fatture
dell’ottobre/novembre 2005 (nn. 12, 13 e 14) per le quali sarebbe possibile
l’irrogazione della sanzione penale, con correlativa riduzione proporzionale della
pena.

2.3. Deduce, con un terzo motivo, la violazione di legge ex art. 606, lett. c),
c.p.p., per erronea applicazione dell’art. 63 c.p.p., 191 c.p.p. e 514 c.p.p.
nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul punto ex art.
606, lett. e), c.p.p., vizio risultante dal testo del provvedimento impugnato
(error in procedendo).
In sintesi, si duole il ricorrente per aver la Corte territoriale dichiarato utilizzabili
le dichiarazioni rese dai testi di PG nonostante gli stessi si fossero limitati a
confermare gli accertamenti svolti in seguito all’esame dibattimentale svoltosi nel
contraddittorio delle parti nonché, ancora, per aver qualificato come prova
documentale il verbale di constatazione della GDF, che invece avrebbe dovuto
essere considerato come una

notitia criminis,

donde l’inutilizzabilità del

medesimo; infine, sempre in sede di terzo motivo, si censura la motivazione
della sentenza perché illogica quanto alla valutazione delle dichiarazioni
autoaccusanti in quanto la Corte, pur avendo accolto l’eccezione difensiva di
dichiarare inutilizzabili le dichiarazioni rese dal ricorrente davanti alla PG in
assenza del difensore, ne avrebbe tuttavia tenuto conto quantomeno nella
formazione del proprio convincimento, come si rileverebbe dalla lettura della pg.
10 della motivazione.

4

Pr

2.4. Deduce, con un quarto motivo, la violazione di legge ex art. 606, lett. b),
c.p.p. per erronea applicazione degli artt. 4 ed 8, d. Igs. n. 74/00, nonché
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul punto (art. 606, lett.
e), c.p.p.), vizio risultante dal testo del provvedimento impugnato, con
riferimento alla ritenuta inesistenza oggettiva delle Orestazioni fatturate (error in
iudicando).
In sintesi, si duole il ricorrente per aver la Corte territoriale ritenuto accertato,

anzitutto, i rapporti tra questi e Murgia Salvatore, deceduto, sulla base delle
risultanze del verbale di constatazione, ma soprattutto, senza tener conto che i
benefici fiscali di cui il ricorrente avrebbe usufruito, quali i rimborsi IVA per
operazioni inesistenti, consentirebbero di qualificare i fatti come elusione fiscale
ex art. 37-bis, d.P.R. n. 600/73, essendo fondata l’affermazione dei giudici di
merito circa l’inesistenza delle operazioni esclusivamente su un giudizio di
irragionevolezza economica delle stesse, non essendo stato svolto alcun
accertamento sulle attività effettivamente svolte dalla società del ricorrente, sui
poteri gestori, sull’attività e sui costi dell’azienda del Murgia; in altri termini,
quindi, se il ricorrente, a seguito delle fatturazioni emesse e degli elementi
passivi indicati nelle dichiarazioni, ha ottenuto rimborso IVA o un risparmio degli
oneri fiscali che la società avrebbe dovuto sostenere, i fatti dovrebbero essere
ricondotti nella fattispecie dell’elusione fiscale.

2.5. Deduce, infine, con un quinto motivo, la violazione di legge ex art. 606, lett.
b), c.p.p. per erronea applicazione dell’art. 133 c.p., nonché contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione sul punto (art. 606, lett. e), c.p.p.), vizio
risultante dal testo del provvedimento impugnato.
Si duole, in sintesi, il ricorrente per non avere la Corte territoriale risposto al
motivo di appello afferente la determinazione della pena, ai sensi dell’art. 133
c.p.; la Corte si sarebbe limitata a richiamare i precedenti penali del ricorrente,
ormai depenalizzati, qualificando quest’ultimo come “faccendiere”, sicchè la
conferma della pena in misura superiore al minimo edittale apparirebbe punitiva,
attesa anche la risalenza nel tempo dei fatti contestati, considerato che due mesi
sono coperti dall’indulto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.

5

it,

4.

Deve, preliminarmente osservarsi, come tutti i motivi di ricorso, evocano,

sotto diversi angoli prospettici, il medesimo vizio motivazionale ex art. 606, lett.
e), cod. proc. pen. ed, inoltre, pur evocando asseriti vizi di violazione di legge,
riconducono in realtà la rilevanza del vizio al procedimento logico — giuridico con
cui la Corte territoriale ha operato la valutazione degli elementi probatori in vista
della pronuncia di condanna, sicchè la deduzione di tale vizio, come si vedrà

espresso nella motivazione della sentenza, in realtà tradisce il dissenso del
ricorrente sulla valutazione degli elementi probatori da parte dei giudici di
merito, in quanto tale sottratto al sindacato di questa Corte.

5. Con riferimento a tutte le censure mosse con i motivi di ricorso, in cui si
deduce il vizio motivazionale sub art. 606, lett. e), cod. proc. pen., sfugge al
ricorrente che il giudizio di legittimità invece rimane stretto essenzialmente negli
angusti limiti del vizio di motivazione essendo deducibile, ex art. 606 c.p.p.,
comma 1, lett. e), solo la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato
ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame.
A questa Corte non è rimesso affatto un giudizio sul dissenso, pur motivato, del
ricorrente in ordine al risultato del procedimento valutativo operato dal giudice di
merito. Oggetto della censura deve essere invece

l’iter motivazionale e la

connessione logica delle argomentazioni della sentenza impugnata. Ciò implica
l’individuazione di un “passaggio motivazionale” – id est la concatenazione di due
o più affermazioni – secondo un connettivo di vario genere (d’inferenza, di
conseguenzialità, di analogia, di continenza) che il ricorrente censura perché – a
suo avviso – illogico o contraddittorio utilizzando a tal fine anche “atti del
processo specificamente indicati nei motivi di gravame”. Come anche
l’isolamento di un’affermazione della sentenza impugnata che, in quanto
meramente assertiva, risulti non porsi in connessione logica nel tessuto
argomentativo della motivazione da adito ad una censura di mancanza di
motivazione.
In tutti i profili di doglianza mossi dal ricorrente, però, la censura di vizio di
motivazione è tutta focalizzata sul testo della sentenza impugnata e sull’analisi
critica della rete di connessioni logiche che legano le affermazioni di cui la
motivazione si compone.
In proposito, si è reiteratamente affermato che il controllo della Cassazione, in
presenza di un eccepito vizio motivazionale, ha un orizzonte circoscritto e va
confinato alla verifica della esistenza di un apparato argomentativo non
6

manifestamente infondato, riverberandosi sul percorso logico — argomentativo

contraddittorio ne’ manifestamente illogico del provvedimento impugnato (v.,
per tutte: Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997 – dep. 02/07/1997, Dessimone e altri,
Rv. 207944).
La novazione legislativa, introdotta con la L. n. 46 del 2006, permette alla
Cassazione di valutare la razionalità e coerenza della motivazione avendo come
referente anche gli atti processuali segnalati dal ricorrente; la possibilità di una

La modifica ha attribuito solo alla Corte di legittimità la facoltà di verificare la
tenuta logica del provvedimento impugnato, oltre i limiti dello stesso, avendo
riguardo agli atti processuali che il ricorrente ritiene arbitrariamente non
considerati o male interpretati.
Rimane fermo il divieto per la Cassazione – in presenza di una motivazione non
manifestamente illogica o contraddittoria – di una diversa valutazione delle
prove, anche se plausibile. Di conseguenza, non è sufficiente, per invocare il
nuovo vizio motivazionale, che alcuni atti del procedimento siano astrattamente
idonei a fornire una ricostruzione diversa e più persuasiva di quella operata nel
provvedimento impugnato; occorre che le prove, che il ricorrente segnala a
sostegno del suo assunto, siano decisive e dotate di una forza esplicativa tale da
vanificare l’intero ragionamento svolto dal giudice sì da rendere illogica o
contraddittoria la motivazione.
Ciò rende, pertanto, infondati tutti i profili di doglianza dedotti con i motivi di
ricorso basati sulla violazione della lett. e) dell’art. 606 cod. proc. pen., non
essendo ravvisabili i denunciati vizi motivazionali della decisione impugnata.

6. Tanto premesso, può essere affrontato il primo motivo di ricorso, con cui il
ricorrente denuncia l’erronea applicazione dell’art. 18, lett. c), c.p.p.

(error in

procedendo) stante l’omessa separazione dei procedimenti e stralcio della sua
posizione per sottoporlo a giudizio. E’ sufficiente osservare, in questa sede, per
rilevarne la manifesta infondatezza, come la separazione è stata disposta ai sensi
dell’art. 18, lett. c), cod. proc. pen. e, sul punto, vi è puntuale motivazione della
Corte (v. pag. 14 dell’impugnata sentenza), non avendo quest’ultima ritenuto la
riunione assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti: motivazione che,
seppure nella sinteticità del suo apparato, appare scevra dal denunciato vizio
motivazionale.
A ciò, poi, va aggiunto, come già più volte affermato da questa Corte, che il
provvedimento con il quale il giudice di cognizione ordina la separazione dei
procedimenti, mediante stralcio o delle posizioni di taluno degli imputati o del
procedimento relativo ad alcune delle vittime del reato, ha natura ordinatoria e,
7

indagine extra testuale non ha però alterato la funzione tipica della Cassazione.

per il principio di tassatività delle impugnazione, è inoppugnabile (Sez. 4, n.
20157 del 03/04/2013 – dep. 09/05/2013, P.O. in proc. Angeloni, Rv. 256392),
essendo invece impugnabile quello che dispone la riunione nel caso in cui dallo
stesso ne sia derivata una violazione delle norme concernenti gli effetti della
connessione sulla competenza (Sez. 5, n. 26064 del 09/06/2005 – dep.

7. Quanto al secondo motivo, con cui il ricorrente sostiene che la condotta
criminosa concretatasi in una pluralità di fatture per operazioni inesistenti,
dovrebbe essere scissa nelle sue componenti, in modo da apportare la riduzione
proporzionale della pena in relazione agli episodi criminosi contestati, la
manifesta infondatezza del medesimo discende dal pacifico orientamento
giurisprudenziale — di cui la Corte territoriale ha mostrato di far assoluto buon
governo – il termine di prescrizione del delitto di emissione di fatture per
operazioni inesistenti inizia a decorrere, per l’unità del reato previsto dall’art. 8,
comma secondo, del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non dalla data di
commissione di ciascun episodio ma dall’ultimo di essi, anche nel caso di rilascio
di una pluralità di fatture nel medesimo periodo di imposta (v., da ultimo: Sez.
3, n. 10558 del 06/02/2013 – dep. 07/03/2013, D’Ippoliti e altro, Rv. 254759).
Correttamente, dunque, il giudice di merito ha fatto decorrere la prescrizione del
reato dall’ultima fattura emessa il 30/11/05, con conseguente maturazione del
termine di prescrizione del reato sub a) solo in data 15/05/2013, che, tenuto
conto dei periodi di sospensione risultanti in atti (dal 15 marzo 2012 al 7 giugno
2012 per adesione dei difensori all’astensione dalle attività di udienza), pari a
mesi due e giorni ventidue, si estende sino al 6 agosto 2013.
Poiché, però, la sentenza d’appello è intervenuta il 5/06/2013, l’inammissibilità
del ricorso per cassazione, dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, non
consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto,

14/07/2005, Colonna, Rv. 231915).

la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art.
129 cod. proc. pen. (per tutte: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 – dep. 21/12/2000,
De Luca, Rv. 217266).

7.1. Per completezza, rileva il Collegio come, in relazione all’imputazione sub b),
riguardante l’art. 4, d. Igs. n. 74/2000, non è stato proposto alcun motivo di
impugnazione, sicché, atteso il carattere di impugnazione a critica vincolata
proprio del ricorso per cassazione, su tale imputazione si è formato il giudicato,
tenuto altresì conto che, in ogni caso, per quanto già esposto nel precedente
paragrafo, l’inammissibilità del ricorso per cassazione, dovuta alla manifesta
8

i,

infondatezza dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause
di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (per tutte: Sez. U, n. 32
del 22/11/2000 – dep. 21/12/2000, De Luca, Rv. 217266).
Sul punto è sufficiente rilevare, infatti, che, in relazione ai fatti sub b), il termine
di prescrizione del reato matura, rispettivamente, in data 28 aprile 2013 e 31

marzo 2012 al 7 giugno 2012 per adesione dei difensori all’astensione dalle
attività di udienza), pari a mesi due e giorni ventidue, si estende,
rispettivamente, sino al 20 luglio 2013 e sino al 22 luglio 2014.
La sentenza d’appello, come detto, è intervenuta il 5/06/2013 (v., amplius, a
pag. 16 dell’impugnata sentenza), sicché l’inammissibilità del ricorso per
cassazione osta alla possibilità di rilevare la prescrizione già maturata.

8. Quanto al terzo motivo, con cui il ricorrente sostiene che vi sarebbe stata
l’erronea applicazione dell’art. 63 c.p.p., 191 c.p.p. e 514 c.p.p., anche in questo
caso è sufficiente, per rilevarne la manifesta infondatezza, come i verbali di
constatazione della Guardia di Finanza sono stati acquisiti sul consenso delle
parti e, in ogni caso, gli stessi rientrano nella categoria dei documenti
extraprocessuali ricognitivi di natura amministrativa, pacificamente qualificati
come documenti ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen. e costituiscono, comunque,
atti irripetibili legittimamente inseribili nel fascicolo per il dibattimento e utilizzati
in giudizio (Sez. 3, n. 106 del 16/01/1996 – dep. 24/02/1996, Gigli, Rv. 204340;
Sez. 3, n. 6218 del 17/04/1997 – dep. 26/06/1997, Cetrangolo, Rv. 208633;
Sez. 3, n. 36399 del 18/05/2011 – dep. 07/10/2011, Aportone, Rv. 251235).
Quanto, poi, all’asserita violazione dell’art. 514 cod. proc. pen., deve qui
ricordarsi che è il comma secondo del predetto articolo a stabilire che “L’ufficiale
o l’agente di polizia giudiziaria esaminato come testimone può servirsi di tali atti
a norma dell’articolo 499 comma 5”; la Corte territoriale ha dunque fatto buon
governo del principio, già affermato da questa Corte, secondo il quale il verbale
di constatazione redatto da un gruppo di sottufficiali e ufficiali della Guardia di
finanza, in sede di verifica fiscale, è un atto riferibile all’intera “equipe”, e quindi,
a maggior ragione, a chi la dirige e coordina, che lo sottoscrive, assumendosene
così l’integrale paternità e responsabilità. Ne consegue che è legittima
l’autorizzazione, all’ufficiale che lo firmò, a consultarne il contenuto, in aiuto della
memoria (Sez. 3, n. 1028 del 05/12/1997 – dep. 27/01/1998, Ciriello, Rv.
209504).

9

aprile 2014, che, tenuto conto dei periodi di sospensione risultanti in atti (dal 15

Ad abundantiam, comunque, va poi sottolineato quanto affermato a pag. 21
dell’impugnata sentenza, in cui si evidenzia come le dichiarazioni autoaccustaorie
rese dal ricorrente davanti alla Guardia di Finanza senza la presenza del
difensore, sono state espunte dalla Corte d’appello dal materiale probatorio
utilizzabile attesa la loro irrilevanza.

In merito al quarto motivo, con cui il ricorrente sostiene che i giudici

avrebbero affermato la sua responsabilità penale, senza tener conto che i
benefici fiscali di cui egli avrebbe usufruito, quali i rimborsi IVA per operazioni
inesistenti, consentirebbero di qualificare i fatti come elusione fiscale ex art. 37bis, d.P.R. n. 600/73, al fine di rilevarne la manifesta infondatezza è sufficiente
qui evidenziare quanto puntualmente argomentato nell’impugnata sentenza (v.
pag. 24/25), in cui l’inesistenza delle operazioni sottese alla fatturazione e
dettagliatamente motivata e, quanto alla questione dell’elusione fiscale, oltre a
non essere stata prospettata quale motivo di appello (ciò che renderebbe, ex se,
il motivo di ricorso inammissibile ai sensi dell’art. 606, comma terzo, cod. proc.
pen.), la rilevanza penale delle condotte elusive ai fini fiscali che siano
strettamente riconducibili alle ipotesi di elusione espressamente previste dalla
legge, ovverossia quelle di cui agli artt. 37, comma terzo, e 37 bis del d. P.R. n.
600 del 1973, è stata più volte già affermata da questa Corte (v., in termini:
Sez. 2, n. 7739 del 22/11/2011 – dep. 28/02/2012, P.M. in proc. Gabbana e
altri, Rv. 252019; Sez. 3, n. 19100 del 06/03/2013 – dep. 03/05/2013, Pm in
proc. Bova, Rv. 254992; Sez. 3, n. 26723 del 18/03/2011 – dep. 07/07/2011,
Ledda, Rv. 250958).

10. In ordine, infine, al quinto motivo, con cui il ricorrente sostiene che i giudici
non avrebbero risposto al motivo di appello afferente la determinazione della
pena, ai sensi dell’art. 133 c.p., la manifesta infondatezza del medesimo emerge
dalla mera constatazione che la pena base è stata determinata in misura
prossima al minimo edittale e l’adeguatezza del trattamento sanzionatorio può
ritenersi motivata implicitamente, ricavandosi dalla motivazione espressa nella
sentenza del primo giudice che, trattandosi di doppia conforme, si lega alla
motivazione dei giudici d’appello formando un tutt’uno con essa.
In ogni caso, il semplice riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, alla
“gravità del reato” (v. pag. 27, dove si legge “si tratta di pena base prossima al
minimo edittale per fatti tutt’altro che lievi…”) soddisfa il requisito motivazionale
richiesto dalla legge, come del resto già chiarito in precedenza da questa Corte,
nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti di molto dai minimi
10

9.

edittali, il giudice ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125, comma
terzo, cod. proc. pen., adoperando espressioni come “pena congrua”, “pena
equa”, “congruo aumento”, ovvero si richiami alla gravità del reato

o alla

personalità del reo (Sez. 1, n. 1059 del 14/02/1997 – dep. 10/03/1997,
Gagliano, Rv. 207050).

dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della
Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima
equo fissare, in euro 1000,00 (mille/00).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, 1’8 gennaio 2014

Il Co sigli

est.

Il Presidente

11. Il ricorso dev’essere, dunque, dichiarato inammissibile. Segue, a norma

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