Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11531 del 14/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 11531 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GUCCIARDO GIOVANNI N. IL 03/05/1954
avverso la sentenza n. 3265/2012 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 01/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott..
v mcenzo Geraci
che ha concluso per
l’annullamento con rinvio alla Corte di
Appello di Palermo
Udito il difensore Avv. Sonia Spallitta, che ha chiesto l’annullamento della
sentenza impugnata

dito, Tier-~iVirETrAvi
•fensor Avv

Data Udienza: 14/02/2014

RITENUTO IN FATTO
1. In data 1/02/2013 la Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma della
sentenza del Tribunale di Palermo del 7/02/2012, ha disposto la non menzione
della sentenza di condanna emessa nei confronti di Gucciardo Giovanni,
confermando nel resto la sentenza impugnata, che lo aveva condannato, previa
concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di euro 300,00 di
multa e al pagamento delle spese processuali nonché al risarcimento del danno
da liquidarsi in separata sede ed al pagamento di euro 7.000,00 a titolo di

comma 1,590 cod. pen. per avere cagionato il 24/10/2006 a Romano Pietra
lesioni personali giudicate guaribili in giorni 30 a causa di negligenza e imperizia
nonché per inosservanza di leggi e regolamenti e più in particolare perché, in
qualità di Direttore del Dipartimento manutenzione strade dell’AMIA S.p.A. di
Palermo aveva omesso – pur avendone l’obbligo giuridico ai sensi dell’art. 107 d.
Igs. 18 agosto 2000, n.267 – il dovuto intervento tecnico di manutenzione
dell’asfalto sul tratto di via Roma all’altezza dell’hotel Delle Palme, nonché per
avere omesso di segnalare l’avvallamento presente sul manto stradale, dove
incidentalmente era inciampata la Romano.
2. Ricorre per cassazione Giovanni Gucciardo censurando la sentenza
impugnata per i seguenti motivi:
a) carenza di motivazione ed illogicità manifesta per avere la Corte
territoriale individuato in capo all’imputato obblighi di garanzia sulla base di
affermazioni disancorate dalla realtà processuale e non coerenti con i dati
normativi di riferimento. Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe
soffermato la propria attenzione sui punti non contestati relativi al richiamo delle
fonti normative di riferimento primaria (d.lgs. n.267/2000) e secondaria
(Contratto di servizio del Dipartimento manutenzione strade stipulato tra il
Comune di Palermo e VAMIA s.p.a.) senza prestare attenzione ad alcuni punti
essenziali, affermando l’assenza di deleghe dei compiti delineati ed indicando
risultati testimoniali i cui contenuti sono stati travisati. In particolare, si assume,
la Corte avrebbe disatteso con motivazione carente, contraddittoria e
manifestamente illogica, stravolgendo i contenuti delle testimonianze, le
doglianze contenute nell’atto di appello, nelle quali si segnalava come le
dichiarazioni testimoniali avessero confermato che l’anomalia stradale non era
stata rilevata perché rientrante nella categoria ‘1’, per la quale era previsto che
fosse segnalata affinché rientrasse nel programma di manutenzione ordinaria;
all’epoca dei fatti, direttore del servizio di sorveglianza dello stato delle strade
cittadine era l’Ing. Ferraro, dalla cui dichiarazione era emerso che, in relazione
alle anomalie classificate di livello ‘3’, veniva effettuata una relazione inoltrata al
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provvisionale in favore della costituita parte civile per il delitto di cui agli artt.40,

capo dipartimento ing. Gucciardo per l’invio immediato di una squadra di pronto
intervento, precisando che l’ing. Gucciardo, quale responsabile del servizio
manutenzione, smistava ai vari settori le segnalazioni e decideva se intervenire o
meno, escludendo comunque che l’anomalia riguardante il tratto di strada
interessato dal sinistro fosse stato classificato nella categoria ‘3’. La Corte,
lamenta il ricorrente, non avrebbe svolto alcuna analisi in merito agli obblighi
gravanti sull’imputato in relazione al grado di ammaloramento delle strade
urbane della città di Palermo, limitandosi ad affermare in modo apodittico il suo

sui limiti e modalità di tale manutenzione e della relativa programmazione degli
interventi secondo le precise indicazioni contenute negli allegati al Contratto di
servizio e nell’ordine di servizio del 2003, dai quali emergeva che l’imputato
avrebbe potuto assolvere ai propri obblighi solo laddove fosse stato portato a
conoscenza del grado di anomalia e della conseguente necessità di intervenire
con la dovuta urgenza, onde eliminare una situazione di pericolo, esulando dagli
obblighi un intervento del Gucciardo laddove non informato preventivamente,
mentre per la manutenzione ordinaria si trattava di obbligo da assolvere secondo
cadenze ben precise e trovava ulteriore punto di riferimento nell’ordine di
servizio n.43726 del 16/10/2003, dal quale emergeva l’organizzazione del
controllo delle superfici stradali secondo determinate tempistiche, e nell’allegato
A al contratto di servizio, da cui emergeva l’organizzazione delle modalità di
espletamento dell’attività di manutenzione e la frequenza della stessa. La Corte,
si assume, non avrebbe congruamente valutato tale normativa secondaria, da
cui emergeva che il compito di monitorare lo stato di degrado delle
pavimentazioni stradali e delle superfici pedonali era stato affidato al Settore
sorveglianza e monitoraggio, cui era addetto l’ing. Ferraro, il quale aveva anche
uno specifico compito di intervento in via manutentiva diretta laddove la
situazione dei luoghi lo imponesse; l’ordine di servizio del 16 ottobre 2003,
diramato dallo stesso ing. Gucciardo all’intero personale dipendente, specificava
come gli interventi con squadre volanti su superfici viarie sarebbero stati eseguiti
in dipendenza delle segnalazioni pervenute dal Servizio di sorveglianza o da terzi
secondo un ordine di priorità stabilito dal Dirigente, regolamentando gli
interventi di emergenza strettamente connessi alla tutela della pubblica
incolumità per eliminare con immediatezza le situazioni di pericolo. Era stato,
dunque, provato che solo a fronte di segnalazioni di pericoli o di urgenza si
sarebbe imposto al Capo Dipartimento l’obbligo di intervenire immediatamente,
mentre per le anomalie o situazioni di degrado ordinarie era prevista l’attività di
manutenzione secondo scelte discrezionali tecniche di volta in volta concordate
tra il Capo Dipartimento e il Capo Settore con cadenza settimanale. Nessuna
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istituzionale dovere di attendere alla manutenzione, senza fermare l’attenzione

prova era stata raccolta circa l’opportunità di effettuare un intervento immediato
in relazione ad un’anomalia che non era di livello ‘3’, mentre l’ordine di servizio
affidava al Settore Sorveglianza l’obbligo di vigilare lo stato di degrado delle
pavimentazioni stradali e delle superfici pedonali nonché al Settore Pronto
Intervento l’obbligo di vigilare e impartire le opportune disposizioni affinché
l’attività del personale dipendente si svolgesse secondo le norme di buona
tecnica e nel rispetto della normativa inerente alla sicurezza del lavoro e alla
segnaletica sui cantieri stradali. La motivazione della sentenza impugnata

nei paragrafi 17 e 18 dell’allegato A del Contratto di servizio e nell’ordine di
servizio dell’ottobre 2003, tanto più che l’anomalia del manto stradale era
classificata con il codice ‘1’;
b) violazione di legge per travisamento della prova, per avere la sentenza
impugnata affermato che dall’escussione dei testi risultava che l’anomalia del
fondo stradale fosse stata classificata come appartenente alla categoria ‘3’,
mentre il teste Ferraro, indicato come fonte di prova di tale circostanza, mai
aveva fatto tale affermazione, così come tutti gli altri testi escussi;
c) inosservanza ed erronea applicazione dell’art.40 cod. pen., per avere la
Corte territoriale affermato la responsabilità dell’imputato senza aver accertato
quali regole cautelari specifiche avesse violato, non presentando la deformazione
dell’asfalto indici di pericolosità di alcun genere ed essendo facilmente visibile;
d) inosservanza ed erronea applicazione della legge processuale penale
dell’oltre ogni ragionevole dubbio, per aver omesso la Corte di individuare gli
elementi di conferma della ipotesi ricostruttiva in modo da far risaltare la non
razionalità dei dubbi derivanti dall’ipotesi alternativa non accolta, considerato che
sia le prove documentali che quelle dichiarative avrebbero dovuto indurre il
Tribunale a prestare la dovuta attenzione ad ipotesi alternative sia con
riferimento ai compiti riservati al Capo Dipartimento sia con riferimento alla
preventiva consapevolezza da parte dell’ing. Gucciardo dell’esistenza di una
situazione che imponeva determinati interventi, non essendo esigibile alcuna
delle condotte menzionate nel capo d’imputazione in ragione della totale
ignoranza della situazione dei luoghi, in quanto non segnalata da parte del
Settore Pronto Intervento nè da parte del dirigente preposto al Servizio
Sorveglianza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. E’ necessario premettere, in via generale, che costituisce orientamento
consolidato di questa Corte quello secondo il quale, in presenza di una doppia
conforme affermazione di responsabilità, va ritenuta l’ammissibilità della
motivazione della sentenza d’appello per relationem a quella della decisione
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sarebbe carente e illogica per non aver tenuto presenti punti decisivi compendiati

impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo grado
non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi,
in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione del controllo della fondatezza
degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare
questioni sommariamente riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle
quali si sia soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e
prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In tal caso,
infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si

occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della
motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure
con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti
riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della
decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito
costituiscano una sola entità (Sez.6, n.28411 del 13/11/2012, dep. 1/07/2013,
Santapaola, Rv. 256435; Sez. 3, n. 13926 del 10/12/2011, dep. 12/04/2012,
Valerio, Rv. 252615; Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 4/02/1994,
Albergamo ed altri, Rv. 197250).

2. Per altro verso, la regola di giudizio “dell’oltre ogni ragionevole dubbio”,
introdotta formalmente dall’art. 5 I. 6 febbraio 2006, n. 46, mediante la
sostituzione del comma 1 dell’art. 533 cod.proc.pen., è direttamente connessa al
vizio di motivazione della sentenza. Tale principio impone al giudice di procedere
ad un completo esame degli elementi di prova rilevanti e di argomentare
adeguatamente circa le opzioni valutative della prova, giustificando, con percorsi
razionali idonei, che non residuino dubbi in ordine alla responsabilità
dell’imputato. L’inosservanza della regola dell’al di là di ogni ragionevole dubbio,
lasciando spazio all’incertezza ed implicando una sentenza non pienamente e
razionalmente motivata in punto di colpevolezza, si traduce inevitabilmente in un
vizio di motivazione. La modifica legislativa introdotta con la novella anzidetta
non risulta, tuttavia, aver avuto un reale contenuto innovativo, non avendo
introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova,
essendosi invece limitata a codificare un principio già desumibile dal sistema, in
forza del quale il giudice può pronunciare sentenza di condanna solo quando non
ha ragionevoli dubbi sulla responsabilità dell’imputato. La novella, dunque, non
avrebbe inciso sulla funzione di controllo del giudice di legittimità, che
rimarrebbe limitata alla struttura del discorso giustificativo del provvedimento,
con l’impossibilità di procedere alla rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della sentenza e dunque di adottare autonomamente nuovi e diversi
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integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale

parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti. In tal senso si è espressa
questa Corte ( Sez. 5, n.10411 del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579) precisando
che tale regola di giudizio impone al giudice di giungere alla condanna solo se è
possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalità e plausibilità (cfr. sul
punto Sez. 1, n.41110 del 24/10/2011, Javad, Rv. 251507), ma negando che il
principio in esame abbia mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione
sulla motivazione della sentenza, volto ad un controllo sulla persistenza o meno
di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione necessariamente

potendo in ogni caso la sua valutazione sconfinare nell’ambito del giudizio di
merito. Nei medesimi termini, circa la portata del principio, si è affermato (Sez.
2, n.7035 del 9/11/2012, dep. 13/02/2013, De Bartolomei, Rv. 254025) che “la
previsione normativa della regola di giudizio dell’ “al di là di ogni ragionevole
dubbio”, che trova fondamento nel principio costituzionale della presunzione di
innocenza, non ha introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione
della prova, ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la
pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della
responsabilità dell’imputato” (conf. nn. 7036, 7037, 7038, 7039, 7040/2013).
Mette conto, inoltre, sottolineare come la codificazione di tale principio abbia
assunto, nella giurisprudenza della Corte, particolare rilievo nel giudizio di
legittimità circa la motivazione della sentenza di appello che abbia riformato la
sentenza di assoluzione in primo grado (Sez. 6,n.1266 del 10/10/2012, dep.
10/01/2013, Andrini, Rv. 254024; Sez. 2, n.11883 del 8/11/2012, dep.
14/03/2013, Berlingeri, Rv. 254725; Sez.6, n.8705 del 24/01/2013, Farre, Rv.
254113), anche in relazione ai principi affermati in materia dalla CEDU (Corte
EDU 5/07/2011, Dan c. Moldavia, parr. 32 e 33), risultando tanto meno
pertinente l’asserita violazione del principio qualora, come nel caso in esame, le
motivazioni delle sentenze di condanna di primo e secondo grado, integrandosi
tra loro, siano rispettose dei canoni di completezza, logicità e coerenza.

3. Con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità, delineati dall’art. 606,
comma 1, lettera e), cod.proc.pen., come vigente a seguito delle modifiche
introdotte dalla I. 20 febbraio 2006, n.46, questa Corte ritiene che la predetta
novella non abbia comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di
effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della decisione finalizzata a
sovrapporre una propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito,
dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare l’adeguatezza delle
considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sottolineare il suo
convincimento. La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni
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unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non

processuali può, ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il
cosiddetto travisamento della prova, purché siano indicate in maniera specifica
ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di
volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da
rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della
Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame
parcellizzato.
3.1. Il vizio di travisamento della prova (consistente nell’utilizzazione di

accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il
carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a
critica) deve, inoltre, inficiare e compromettere, in modo decisivo, la tenuta
logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale
“incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento
impugnato.

4. La condotta contestata all’imputato, qui ricorrente, si sostanzia in una
condotta omissiva, la cui rilevanza penale è collegata alla cosiddetta posizione di
garanzia attribuita, nella specie, al Direttore del Dipartimento Manutenzione
Strada dell’AMIA s.p.a. di Palermo; di talché, sulla base dell’accertata
sussistenza di taluni obblighi di agire, specificamente indicati nel capo
d’imputazione, si è collegato l’evento dannoso alla condotta passiva del titolare
della posizione di garanzia. Nell’ipotesi in cui la condotta omissiva contestata si
concretizzi nella violazione di più disposizioni concernenti l’obbligo di agire (e
nelle fattispecie di reato cosiddette causalmente orientate la norma indica
l’evento ma non il meccanismo di produzione del medesimo), l’accertamento del
nesso di causalità tra le condotte contestate e l’evento verificatosi si atteggia
come ricostruzione ipotetica dell’efficacia di ciascun comportamento omesso. Ciò
comporta che, verificata a mezzo del cosiddetto giudizio controfattuale, l’efficacia
anche di uno solo dei comportamenti la cui omissione sia stata ascritta
all’imputato, e ritenuto dunque che l’osservanza di uno fra i vari obblighi che si
assumono violati avrebbe potuto evitare il prodursi dell’evento, non risulta
decisivo ai fini dell’accertamento del nesso di causalità fra condotta ed evento,
potendo eventualmente incidere sul giudizio di gravità della colpa, che il giudice
di merito abbia escluso o non abbia correttamente valutato la violazione di altro
obbligo.
4.1. Considerato che i giudici di merito hanno ritenuto accertata la condotta
omissiva in relazione agli obblighi manutentivi, risulta quindi non decisiva la

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un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova,

censura mossa dal ricorrente con riferimento all’altra omissione contestata
nell’imputazione.
4.2. Con specifico riferimento, poi, alla descrizione del comportamento
omissivo, quest’ultimo non deve essere inteso in senso assoluto, nel senso cioè
di ritenersi sussistente solo nel caso di assoluta mancanza di azione da parte del
soggetto, ma è comprensivo anche dei casi in cui il soggetto abbia posto in
essere un comportamento diverso da quello dovuto (Sez.4, n.3380 del
15/11/2005, Fedele), potendosi rimproverare, per quanto qui rileva, una

dell’art.107 d.lgs. n.267/2000, dunque abbia l’incarico della gestione
amministrativa, finanziaria e tecnica mediante autonomi poteri di spesa, di
organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo, anche nella
predisposizione di un programma d’intervento in concreto inidoneo a perseguire
l’obiettivo di tutela dell’incolumità pubblica.

5. La condotta contestata a Gucciardo Giovanni si sostanzia nell’aver
omesso il dovuto intervento tecnico di manutenzione dell’asfalto e nell’aver
omesso di segnalare l’avvallamento che ha provocato la caduta della persona
offesa; la fonte dell’obbligo di garanzia è stata individuata nella normativa che
disciplina l’ordinamento degli enti locali, il cui art.107 individua i compiti di coloro
che svolgono funzioni dirigenziali, mentre la colpa specifica è stata correlata al
Contratto di servizio stipulato il 30/11/2001 tra il Comune di Palermo e l’AMIA
S.p.A., il cui art.3 lett.b) descrive i compiti affidati dall’ente locale alla società, in
cui l’imputato rivestiva posizione apicale, al fine di contemperare, da un lato
l’autonomia gestionale della società, dall’altro il perseguimento degli obiettivi
dell’amministrazione comunale nell’interesse della cittadinanza. In particolare,
l’art.3 b), sotto la voce “Servizio di manutenzione strade” demandava all’AMIA
S.p.A. il servizio di sorveglianza e monitoraggio della rete stradale, la
manutenzione ordinaria e il mantenimento in efficienza di strade e marciapiedi,
la manutenzione cosiddetta volante per il ripristino di inefficienze strutturali o
usura su qualsiasi tipo di pavimentazione nei casi di pericolo potenziale per la
pubblica incolumità, il servizio di emergenza per l’eliminazione di pericoli
esistenti sulla sede stradale e sui marciapiedi, specificando il contratto che i
servizi sarebbero stati gradualmente espletati nel corso dell’anno con adeguata
programmazione e con le modalità precisate nell’allegato A. Date tali premesse,
il Tribunale di Palermo ha ritenuto configurabile la responsabilità penale
dell’imputato sui seguenti presupposti, ampiamente argomentati (pag.2) e
logicamente coerenti con le conclusioni: la prova dichiarativa e la prova
documentale avevano dimostrato che, al momento del sinistro, l’asfalto
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condotta omissiva, a carico colui che svolga funzioni dirigenziali ai sensi

presentava un profondo avvallamento; la prova dichiarativa aveva dimostrato
che fosse compito dell’imputato chiedere l’intervento di manutenzione per
categorie di buche diverse da quelle più gravi, classificate con il numero ‘3’,
essendo tenuto il responsabile della sorveglianza, Ferraro Ignazio, a fare una
relazione al Capo Dipartimento con riguardo alle anomalie di grado inferiore ed
essendo compito di quest’ultimo decidere se e come intervenire per la
manutenzione. Il giudice di primo grado ha da tali premesse desunto la posizione
di garanzia e l’obbligo gravante sull’imputato di segnalare o quantomeno di

cui l’anomalia dell’asfalto fosse classificabile.
5.1. Sull’appello proposto dall’imputato, la Corte di Appello di Palermo
ripercorreva l’iter logico seguito dal giudice di primo grado e, in particolare: a)
indicava la fonte normativa della posizione di garanzia, specificando la natura
discrezionale dei compiti spettanti ai dirigenti; b) individuava come fonte
concorrente dell’obbligo di garanzia il Contratto di servizio del Dipartimento
Manutenzione Strade stipulato il 30/11/2001 tra il Comune di Palermo e l’AMIA
s.p.a., da cui desumeva l’obbligo dell’imputato di attuare tale modulo
organizzativo; c) affermava la mancanza di prove dell’esistenza di deleghe dei
compiti delineati dalle fonti di normazione primaria e secondaria; d) riteneva
accertato, in base alla prova dichiarativa, che l’anomalia stradale fosse stata
classificata come appartenente alla categoria ‘3’, in quanto tale ascrivibile alle
attribuzioni dell’imputato; e) riteneva accertato, in base alla prova dichiarativa,
che l’esistenza dell’insidia fosse stata segnalata da tempo e ripetutamente,
affermando che una tempestiva ed efficace restaurazione del fondo stradale
sarebbe valsa ad evitare l’evento, ritenendo trattarsi di condotta esigibile.

6. Esaminando partitamente i singoli motivi di ricorso, il primo motivo è
inammissibile.
6.1. La funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata
avverso il provvedimento al quale si riferisce. Tale critica argomentata si realizza
attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt.581 e
591 cod.proc.pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli
elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di
impugnazione è, pertanto, innanzitutto il confronto puntuale (cioè con specifica
indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il
dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta,
mediante l’individuazione dei capi e dei punti dell’atto impugnato che si
intendono sottoporre a censura con espressione di un vaglio critico in ordine a
ciascuno di essi analiticamente formulato, che consenta di dimostrare che il
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programmare un intervento manutentivo, a prescindere dal tipo di categoria in

ragionamento del giudice è errato (Sez.5, n.28011 del 15/02/2013, Sammarco,
Rv.255568; Sez. 6, n.22445 dell’8/09/2009, P.M. in proc. Candita, Rv. 244181).
6.2. Quando, poi, il ricorso contesta le ragioni che sorreggono la decisione
deve, altresì, contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio
denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i tre previsti
dall’art.606, comma 1, lett.e) cod. proc. pen., deducendo poi, altrettanto
specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito
dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, così da

6.3. Il ricorrente ha dedotto carenza ed illogicità manifesta della motivazione
riportando interi passi dell’atto di appello onde prospettare una diversa lettura
delle emergenze istruttorie rispetto a quella effettuata dai giudici di merito,
lamentando, in palese contrasto con il testo del provvedimento impugnato,
l’omessa analisi degli obblighi gravanti sull’imputato. Merita, inoltre, rilevare
come il ricorrente abbia argomentato la contraddittorietà della decisione
impugnata sulla base di un documento, l’ordine di servizio datato 16/10/2003,
che dalla sentenza impugnata risulta non acquisito al fascicolo del dibattimento
per avere ritenuto la Corte territoriale non necessaria la rinnovazione istruttoria
richiesta dall’appellante. Esaminando tale motivo di ricorso, va dunque ribadito
che esso appare formulato secondo argomentazioni che tendono ad una diversa
lettura delle emergenze istruttorie, oltretutto sulla base di un documento che
non ha avuto ingresso nel giudizio, non consentita in sede di legittimità a fronte
di una struttura argomentativa della sentenza che risulta logica, coerente e
rispettosa dei principi interpretativi della normativa in materia dettati da questa
Corte.
6.4. Il vizio di motivazione non è, infatti, ravvisabile allorquando l’iter
argomentativo che ha condotto alla decisione si dimostri completo, strettamente
correlato alle risultanze di causa, connotato da rigore, essendo sottratta al
giudizio di legittimità la deduzione che il giudice abbia valutato gli elementi
probatori in difformità dalla ricostruzione dei fatti proposta dalla parte, alla quale
non è consentito trasformare in maniera surrettizia il controllo di legittimità sul
provvedimento impugnato in un giudizio di merito.

7. Il secondo motivo è infondato.
7.1. Il ricorrente si duole del travisamento delle testimonianze poste a base
della pronuncia di condanna riportandone, nel ricorso, alcuni brani ed
allegandone la trascrizione. Va ricordato, in proposito, che il vizio di motivazione
deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa,
risultare dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo
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condurre a decisione differente.

specificamente indicati nei motivi di gravame, il che significa che il ricorrente
deve dimostrare in tale sede che l’iter argomentativo seguito dal giudice è
assolutamente carente sul piano logico ma anche che questa dimostrazione non
può avvenire con la prospettazione di un’altra interpretazione o di un altro iter,
ancorché in ipotesi egualmente corretti sul piano logico. A ciò deve aggiungersi
che l’illogicità o contraddittorietà della motivazione è quella evidente, cioè di
spessore tale da risultare percepibile ictu ocull, senza possibilità di verifica della
rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. In particolare, il

dichiarazione che l’anomalia del fondo stradale fosse stata classificata come
appartenente alla categoria ‘3’, allegando il testo della relativa deposizione da
cui, effettivamente, tale affermazione non risulta. Ma l’erronea indicazione del
numero di classificazione dell’anomalia stradale risulta priva di decisività, avendo
entrambi i giudici di merito desunto la responsabilità dell’imputato dall’obbligo di
garanzia di fonte normativa, dall’assenza di deleghe dei compiti stabiliti dalla
normazione di fonte primaria e secondaria, dalla circostanza che l’insidia gli fosse
stata segnalata da tempo e ripetutamente, nonchè dal fatto che quest’ultimo
avesse il potere di operare scelte discrezionali in relazione agli interventi
manutentivi correlati a quel genere di anomalia. La non decisività della
classificazione del tipo di anomalia è, peraltro, espressamente affermata a pag.5
della sentenza del Tribunale, oltre a risultare inidonea a scardinare l’iter logico
argomentativo della sentenza impugnata, come sopra riportato.
7.2. La previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre
che dal “testo” del provvedimento impugnato, anche da “altri atti del processo”,
purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato
il ruolo e i compiti del giudice di legittimità, il quale è tuttora giudice della
motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto. In
questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di Cassazione di
procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del
contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via
esclusiva al giudice del merito. Infatti, allorché si deduca il vizio di motivazione
risultante dagli “atti del processo”, non è sufficiente che detti atti siano
semplicemente “contrastanti” con particolari accertamenti e valutazioni del
giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle
responsabilità, ne’ che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più
persuasiva di quella fatta propria dal giudice. Occorre, invece, che gli “atti del
processo” su cui fa leva il ricorrente per sostenere la sussistenza di un vizio della
motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa
tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal
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ricorrente censura la sentenza impugnata per aver attribuito al teste Ferraro la

giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o
da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione. Pertanto,
il giudice di legittimità è chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o
meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica ed internamente
coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernente “atti del processo”.
Tale controllo è destinato a tradursi in una valutazione, di carattere
necessariamente unitario e globale, sulla reale “esistenza” della motivazione e
sulla permanenza della “resistenza” logica del ragionamento del giudice. Mentre

pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché
ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa:
operazioni, queste, che trasformerebbero la Corte di legittimità nell’ennesimo
giudice del fatto (Sez.4, n.28780 del 19/05/2011, Tessari; Sez.1, n.34974 del
10/07/2007, Brusca).

8. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono inammissibili.
8.1. Trattasi di censure che non superano il vaglio di ammissibilità posto
che, con esse, il ricorrente ancora una volta richiama le emergenze istruttorie,
genericamente indicate, proponendone una lettura alternativa, con particolare
riferimento alla pericolosità e alla visibilità della deformazione dell’asfalto ovvero
all’inesigibilità del comportamento alternativo corretto, senza indicare
specificamente quali punti della decisione si pongono in contrasto con le norme
asseritamente violate e tendendo, in sostanza, ad ottenere una nuova
valutazione in fatto.
8.2. Nonostante tali motivi vengano inquadrati nel vizio di violazione di
legge, si tratta in sostanza di censure alla motivazione. Ma non costituisce vizio
motivazionale l’omessa confutazione di ogni elemento difensivo, secondo il
canone della motivazione implicita, che trova confine solo negli elementi decisivi,
nel caso di specie dalla Corte territoriale non pretermessi. Insegna infatti la
giurisprudenza di questa Corte che il giudice di merito non è tenuto a esaminare
tutti i dati probatori e tutti gli argomenti difensivi nella sua motivazione, affinchè
questa sia completa e autosufficiente, implicitamente assorbendo quanto non è
stato espressamente menzionato, vale a dire quanto con essa è incompatibile
ma, per carenza di decisività, non è idoneo a infrangerne la struttura logicogiuridica (Sez.2, n.9242 del 8/02/2013, Reggio, Rv.254988; Sez.6, n.49970 del
19/10/2012, Muià, Rv.254107; Sez.4, n.26660 del 13/05/2011, Caruso, Rv.
250900).
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resta precluso al giudice di legittimità, in sede di controllo sulla motivazione, la

8.3. Tanto più ove si ponga mente al principio più volte affermato da questa
Corte, secondo il quale, nel caso in cui un incidente stradale sia stato causato
dalla insufficiente od omessa manutenzione della sede viaria da parte dell’ente a
ciò preposto, il soggetto incaricato del relativo servizio risponde penalmente
delle lesioni colpose conseguite al sinistro secondo gli ordinari criteri di
imputazione della colpa e non solo quando il pericolo determinato dal difetto di
manutenzione risulti occulto, configurandosi come insidia o trabocchetto,
potendosi escludere la responsabilità dell’addetto alla manutenzione solamente

e abnorme, non altrimenti prevedibile ne’ evitabile” (Sez.4, n.9175 del
8/11/2011, dep. 8/03/2012, Di Marco, n.m.; Sez. 4, n.21040 del 01/04/2008,
P.M. in proc. Cerri, Rv. 240218).

9. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Al rigetto consegue la
condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 cod.proc.pen., al pagamento delle
spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 14/02/2014

quando la condotta dell’utente della strada si configuri come evento eccezionale

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