Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11522 del 29/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 11522 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MORETTI PAOLO N. IL 16/12/1960
BEDINI MORENO N. IL 15/07/1954
BRUGNONI FAUSTO N. IL 25/01/1948
avverso la sentenza n. 26/2012 CORTE APPELLO di PERUGIA, del
13/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. &FRE ,» rette° vioLgi
che ha concluso per i’;‘44t WIA,ytAnft4.1 .11 CI

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Ikc .24 .444-4,433 do< ".Wc..4.40 t‘ E rn Fp 443 chi eon4 Ci.,oA teA Data Udienza: 29/01/2014 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 25/11/2010 il Tribunale di Perugia, sezione distaccata di Città di Castello, dichiarava gli odierni ricorrenti responsabili del reato di lesioni colpose gravissime ai danni di Brugnoni Massimo loro ascritto in cooperazione colposa per avere - Moretti quale direttore tecnico del cantiere, Bedini quale coordinatore per l'esecuzione dei lavori, Brugnoni quale legale rappresentante della Seas S.p.a. - cagionato al predetto lesioni personali gravissime per colpa lavoro, non avendo adottato nell'esercizio dell'impresa le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica dei prestatori di lavoro: sinistro verificatosi il 15/12/2004 allorquando Brugnoni Massimo, nel posizionare un telo (c.d. "tessuto e non tessuto") sul solaio di un tunnel, cadeva in una botola scoperta e non segnalata e quindi atterrava da un'altezza di circa 3,60 m. Gli imputati erano pertanto condannati alla pena di mesi otto di reclusione ciascuno (pena estinta per indulto, ai sensi della legge 31 luglio 2006, n. 241) oltre che, in solido tra loro, al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, subiti dalla costituita parte civile Alessio Brugnoni, in cui favore si liquidava una provvisionale immediatamente esecutiva di € 90.000. Interposto gravame, la Corte d'Appello di Perugia, con la sentenza in epigrafe, disattese le censure proposte in punto di affermazione della responsabilità penale, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, riduceva la pena inflitta rideterminandola in mesi tre di reclusione, confermando nel resto la sentenza impugnata. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso tutti e tre gli imputati. 2. Fausto Brugnoni e Paolo Moretti, con unico ricorso congiuntamente proposto per mezzo del loro difensore, deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla affermata loro responsabilità penale. Deducono che la decisione impugnata si basa su argomentazioni non condivisibili e su una ricostruzione parziale e inesatta dei fatti, per avere in particolare la corte territoriale omesso di considerare «la completa e indiscussa autonomia delle prestazioni in capo al Brugnoni Massimo durante il corso dei lavori». Rilevano infatti che questi operava nel cantiere dove avvenne l'infortunio quale imprenditore autonomo in forza di regolare contratto di subappalto, essendo stato peraltro reso edotto dei rischi specifici esistenti sul luogo in cui avrebbe operato: rischi che, nell'esercizio dell'autonomia tecnica organizzativa di cui era dotato, avrebbe potuto e dovuto prevenire. 2 consistita nella violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul Sostengono che erroneamente la Corte d'appello ha di contro attribuito rilevanza alla circostanza, emersa dall'istruttoria, che in occasione del sinistro il Brugnoni Massimo era aiutato nell'operazione di collocamento del materiale impermeabilizzante da dipendenti della Seas, ciò essendo avvenuto a titolo di cortesia e non potendo valere ad obliterare il dato che, come riconosciuto dalla stessa persona offesa, l'opera di impermeabilizzazione era di esclusiva sua competenza. Rilevano ancora che i giudici di merito hanno omesso di valorizzare un dato pure desumibile dalla istruttoria espletata e cioè che i lavori subappaltati all'impresa di Brugnoni Massimo erano stati eseguiti senza che vi fossero attività interferenti, e che pertanto nessun fondamento logico può riconoscersi al contrario assunto espresso in sentenza (pag. 13) secondo cui «il Brugnoni operava nello stesso cantiere Seas ... con un'attività che presupponeva e richiedeva la compresenza di personale Seas nonché unitarietà organizzativa». I ricorrenti chiedono comunque, in via gradata, dichiararsi l'estinzione del reato per maturata prescrizione. 3. Bedini Moreno propone a sua volta ricorso, per ministero del proprio difensore, articolando due motivi. 3.1. Con il primo deduce violazione di legge penale sostanziale, e segnatamente della normativa antinfortunistica, in cui sarebbero incorsi i giudici di merito nel postulare che l'attività di Brugnoni Massimo era inserita in quella ad oggetto dell'appalto generale conferito alla Seas data l'unicità del cantiere, con ciò omettendo di considerare sia il contratto di subappalto, sia che egli non era stato messo al corrente della presenza e delle lavorazioni eseguite da una ditta terza nel cantiere, e che si versava pertanto in fattispecie nella quale non trovano applicazione le norme speciali antinfortunistiche, né quella di cui all'art. 2087 cod. civ.. Rileva inoltre che, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, dai compiti a lui attribuiti quale coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, indicati nel punto 4.6 della norma UNI 10942, derivava a suo carico solo una funzione di vigilanza "alta", non confondibile con quella operativa demandata al datore di lavoro, e che pertanto solo qualora l'infortunio fosse riconducibile a carenze organizzative generali poteva essere configurata una responsabilità a suo carico: situazione non riscontrabile nella fattispecie dal momento che le stesse circostanze riferite dal danneggiato escludono l'esistenza di un'insidia nel luogo ove egli si trovava a lavorare, ma evidenziano piuttosto la distrazione e l'imprudenza del medesimo che, consapevole dello stato dei luoghi e custode ,. degli stessi in prima persona (come tale anche obbligato a predisporre un piano operativo di sicurezza, invece omesso) era inciampato per fatto proprio nell'apertura del lucernaio, camminando all'indietro. Rimarca in proposito che fra gli obblighi del coordinatore per l'esecuzione non è compreso il controllo e la manutenzione degli impianti e dei dispositivi di sicurezza, compiti questi ultimi di competenza delle imprese esecutrici, ed ancora che il coordinatore non ha un obbligo di frequenza continua nel cantiere, specie in occasione delle fasi di lavoro che non presentano particolari criticità per la Segnala inoltre che dalle fotografie dei luoghi acquisite al processo, si ricava che fino al giorno prima del sinistro i lucernai erano completamente protetti dal rischio di accidentali cadute all'interno, dovendosene desumere che ad origine dell'incidente vi era stata l'eliminazione della protezione imprudentemente operata da parte dello stesso Massimo Brugnoni per eseguire l'operazione di stesura dei teli di impermeabilizzazione: condotta questa idonea a integrare caso fortuito interruttivo del nesso causale tra il danno e l'ipotizzata condotta omissiva dell'imputato. 3.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce vizio di insufficienza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per non aver adeguatamente risposto ai rilievi formulati con l'atto d'appello circa i limitati compiti del coordinatore per la sicurezza e le omissioni e l'imprudenza piuttosto ascrivibile allo stesso danneggiato ovvero ad altre figure titolari di autonome posizioni di garanzia. In tal senso rileva in particolare che contraddittoriamente la Corte giunge all'affermazione della sua responsabilità penale, pur avendo nella stessa sentenza affermato che era il Moretti, quale direttore tecnico del cantiere, che avrebbe dovuto rendersi conto della situazione di pericolo in cui l'attività di posa in opera del telo impermeabilizzante si stava realizzando e avrebbe dovuto impartire le necessarie direttive idonee ad evitare l'infortunio, impedendo in particolare che fosse tolta la protezione dell'apertura del lucernaio (che così dunque si riconosce essere presente in precedenza ed essere altresì idonea a prevenire il sinistro). 4. La parte civile ha depositato memoria deducendo l'inammissibilità e comunque l'infondatezza dei ricorsi proposti, sotto tutti i profili dedotti, anche perché riproducenti censure già svolte in grado d'appello e adeguatamente esaminate dalla corte territoriale. 4 sicurezza dei lavoratori. :. Considerato in diritto 5. I motivi dedotti a fondamento del ricorso proposto da Paolo Moretti e Fausto Brugnoni ripropongono censure già svolte in appello, specificamente esaminate dalla corte territoriale e disattese in ragione del contrario convincimento secondo cui la persona offesa operava al momento del sinistro nello stesso cantiere Seas, «con un'attività che presupponeva e richiedeva la compresenza di personale Seas nonché unitarietà organizzativa»: convincimento particolare delle dichiarazioni della stessa parte offesa chiare e univoche nell'evidenziare che l'opera di impermeabilizzazione cui egli era impegnato, era in realtà di competenza della Seas e oggetto di subappalto nei confronti del Brugnoni solo con riferimento alla manodopera (c.d. subappalto di manodopera). Le contestazioni mosse dai ricorrenti si appalesano dunque inammissibili atteso che, fungi dal segnalare aspetti di evidente incoerenza logica nel ragionamento valutativo della corte territoriale, in realtà si limitano a riproporre una mera diversa lettura della vicenda e in particolare del ruolo del subappaltatore e del rapporto tra l'opera appaltata e la complessiva organizzazione del cantiere, sulla base peraltro essenzialmente di elementi, quali le relazioni del consulente tecnico della difesa, che sul punto esprimono mere soggettive valutazioni (quella secondo cui nessuna interferenza sussisteva tra l'attività della Seas e quella invece affidata al lavoratore autonomo), come tali inidonee a evidenziare lacune o contraddizioni nel ragionamento probatorio posto a fondamento del diverso convincimento del giudice del merito. 5.1. È noto invero che in tema di sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito, ma solo quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, dandone una corretta e logica interpretazione, con esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti; se abbiano, quindi, correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995 - dep. 29/01/1996, Clarke, Rv. 203428; Sez. U, n. 12 del 31/5/2000, Jakani, Rv. 216260). E poiché il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato, o - a seguito della modifica apportata all'art. 606 comma 1, lett. e) cod. proc. pen., dall'art. 8 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 - da «altri atti del giustificato con motivazione esaustiva e coerente sul piano logico, sulla scorta in procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame», tanto comporta, quanto al vizio di manifesta illogicità, per un verso, che il ricorrente deve dimostrare in tale sede che l'iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e, per altro verso, che questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un'altra interpretazione o di un altro iter, quand'anche in tesi egualmente corretti sul piano logico; ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti munite di eguale crisma di logicità (cfr. Sez. U, n. 30 del 27/9/1995; Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; in termini sostanzialmente identici, ancorché con riferimento alla materia cautelare, Sez. U, n. 16 del 19/6/1996, Di Francesco, Rv. 205621; e non dissimilmente, Sez. U, n. 30 del 27/9/1995, Mannino, Rv. 202903; Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, De Lorenzo, Rv. 199391; e, con riguardo al giudizio, Sez. U, n. 930/96 del 13/12/1995, cit.; Sez. U, n. 12 del 31/5/2000, cit). Inoltre, l'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.., è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocull, proprio perché l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi - come s'è detto - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possi ...;; ve, ;2,1 delld rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/91 9 003: PetrMl. Rv. 2 9 6074: S ez. 1, n . 5854 30/11/ 9 000 - don. 12/02/2001, Andretta, Rv. 218119; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, cit.). Ebbene una siffatta evidente illogicità non è certamente predicabiie rispello alla decisione qui impugnata, tanto più se si tiene conto del quadro normativo np! -..p!p "t= -7I-ne. "rrs^"sta !R , ArPnriR vA (a!!!pI dalla difesa si rivela fondata su argomenti palesemente inconducenti. 5.2. In proposito giova rammentare che la vicenda de qua si iscrive nell'ambito di lavori di realizzazione di un complesso opificio, che la committente fi IDP aveva appaltato alla Seas. Quest'ultima aveva subappaitatn van artigiani, tra cui Massimo Bruqnoni, per quest'ultimo con riferimento alla imperrrieabiiizzazione deiia parte esterna superiore di ern-ieto che Si SEirebbe deVtit0 inft=.rrz, r.2 A estinetc3 Lui Il icg LI 11U111.0 coMegere die punti dell'opificio in costruzione. In ipotesi siffatta, nella ricostruzione del quadro giuridico cui fare riferimento, in particolare quanto alla definizione degli obblighi di sicurezza 6 si presterebbero ad una diversa lettura o interpretazione, ancorché, in tesi, ricadenti, a norma dell'art. 7 d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494, in capo ai soggetti responsabili dell'impresa affidataria di lavori che sì sia fatta a sua volta (sub)appaltante dei lavori commissionati, la giurisprudenza di legittimità non ha mai dubitato del fatto che anche il subappaltante rientri tra i titolari degli obblighi di sicurezza individuati dai complessi normativi sopra evidenziati, in definitiva sulla scorta del principio secondo il quale il coinvolgimento nella complessiva attività impone a ciascun soggetto, titolare di poteri organizzativi, correlativi obblighi di protezione della sicurezza dei lavoratori (cfr., sia pure sulla base di Sez. 3, n. 15927 del 12/1/2006, Sassi, rv. 234311). Come dimostra anche la specifica considerazione che l'art. 89 del d.lgs. n. 81 del 2008 dedica oggi alla figura dell'impresa affidataria, cioè all'impresa titolare del contratto di appalto con il committente che, nell'esecuzione dell'opera appaltata, può avvalersi di imprese subappaltatrici o di lavoratori autonomi, distinguendola dall'impresa esecutrice, la posizione della ditta subappaltante presenta aspetti peculiari. Essa si interpone tra il datore di lavoro che ha la disponibilità dei luoghi ovvero poteri di governo del processo produttivo e l'impresa esecutrice, realizzando un ulteriore fattore di rischio per la sicurezza del lavoro, in ragione dell'allungamento della catena di comando, della frammentazione delle sequenze operative, della ulteriore articolazione dell'organizzazione. Il suo ruolo non può quindi essere scisso dall'obbligo di concorrere nell'apprestamento delle misure necessarie a fronteggiare i rischi derivanti dall'esistenza del subappalto, a meno che non se ne spogli totalmente, lasciando al subappaltatore ogni autonomia organizzativa. Quando però egli contribuisca in qualche misura alla organizzazione delle attività da eseguirsi in ragione del subappalto, sarà tenuto sia a far fronte agli obblighi che l'art. 7, comma 1 (e oggi il d.lgs. n. 81 del 2008, art. 26) pone in capo al datore di lavoro-appaltante, sia a quelli che l'art. 7, comma 2, pone in capo a tutti i datori di lavoro coinvolti nell'appalto. Risulta quindi decisivo, per l'esclusione della responsabilità del subappaltante, la sua non ingerenza: «in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il subappaltante è esonerato dagli obblighi di protezione solo nel caso in cui i lavori subappaltati rivestano una completa autonomia, sicchè non possa verificarsi alcuna sua ingerenza rispetto ai compiti del subappaltatore» (Cass. Sez. 4, n. 1490 del 20/11/2009, Fumagalli e altri, rv. 246302). Appare tuttavia evidente che, ai fini di una tale valutazione, non può assumere alcun rilievo la semplice circostanza, valorizzata dal consulente tecnico della difesa a supporto della riferita sua opposta valutazione, secondo cui vi era sempre uno scarto spaziale e temporale tra le attività affidate in subappalto al diversi percorsi argomentati, Sez. 4,n. 43111 del 9/10/2008, Cupidi, rv. 241369; Brugnoni e quelle invece di pertinenza della Seas subappaltante. Al di là del rilievo già svolto secondo cui tale ricostruzione in punto di fatto contrasta con quella invece accolta dal giudice a quo, sulla base però di una mera inammissibile diversa lettura delle emergenze istruttorie, è dirimente la considerazione che comunque una tale modalità operativa presuppone pur sempre un'organizzazione del lavoro convergente al medesimo fine e facente capo inevitabilmente anche alla ditta subappaltante, ed è cosa pertanto ben diversa dalla integrale autonomia richiesta dal summenzionato principio, possa più esservi alcuna ingerenza da parte dello stesso nei confronti del subappaltatore (v., in tal senso, in un caso peraltro assai simile a quello in esame, Sez. 4, n. 27965 del 05/06/2008, Riva e a., Rv. 240314). Un'esclusione della responsabilità dell'appaltatore è configurabile solo qualora al subappaltatore sia affidato lo svolgimento di lavori, ancorchè determinati e circoscritti, che svolga in piena ed assoluta autonomia organizzativa e dirigenziale rispetto all'appaltatore, e non nel caso in cui la stessa interdipendenza dei lavori svolti dai due soggetti escluda ogni estromissione dell'appaltatore dall'organizzazione del cantiere. Nella ricorrenza delle anzidette condizioni, trattandosi di norme di diritto pubblico che non possono essere derogate da determinazioni pattizie, non potrebbero avere rilevanza operativa, per escludere la responsabilità dell'appaltatore, neppure eventuali clausole di trasferimento del rischio e della responsabilità intercorse tra questi ed il subappaltatore. È peraltro evidente che, per la natura e le caratteristiche dell'attività commissionata, questa non si poteva svolgere in una zona o in un settore separato, coinvolgente solo il subappaltatore, derivandone dunque che il committente (cui è equiparabile anche il subappaltante), il quale è ex lege il coordinatore della cooperazione, deve essere in grado di rendersi conto dell'insufficiente contributo tecnico dell'appaltatore medesimo e cooperare perché, di fatto, le condizioni di lavoro siano sicure con la conseguenza che, verificatosi un sinistro, l'eventualmente inadeguato apprestamento delle misure precauzionali non può non essere ascritto ad entrambi perchè garanti, destinatari dell'obbligo di predisporre sicure condizioni di lavoro (v. in tal senso ancora Sez. 4 n. 27965 del 2008, cit.). 6. Anche il ricorso proposto da Bedini Moreno si appalesa manifestamente infondato. 6.1. Con riferimento alla sua posizione, la decisione impugnata si conforma presupponendo questa che si tratti di lavori subappaltati per intero, cosicché non pienamente al principio consolidato nella giurisprudenza di questa Suprema Corte secondo cui il coordinatore per l'esecuzione dei lavori non ha esclusivamente il compito di organizzare il lavoro tra le diverse imprese operanti nello stesso cantiere, bensì anche quello di vigilare sulla corretta osservanza da parte delle stesse delle prescrizioni del piano di sicurezza e sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori, ed è, pertanto, titolare di un'autonoma posizione di garanzia che, nei limiti degli obblighi specificamente individuati dalla legge, si affianca a quelle degli altri l'istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte e la necessità di adottare tutte le opportune misure di sicurezza, ma anche la loro effettiva predisposizione, nonché il controllo continuo ed effettivo sulla concreta osservanza delle misure predisposte al fine di evitare che esse siano trascurate o disapplicate, nonché, infine, il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione, sicché, in particolare, è tenuto a verificare, attraverso un'attenta e costante opera di vigilanza, l'eventuale sussistenza di obiettive situazioni di pericolo nel cantiere, e tanto, in relazione a ciascuna fase dello sviluppo dei lavori in corso di esecuzione (v. ex multis Sez. 4, n. 19382 del 28/3/2013, Politi, non mass.). Con motivazione coerente con tali premesse e congruamente argomentata sulla base delle concrete emergenze processuali, la corte territoriale ha quindi rilevato che gli obblighi di garanzia, come sopra delineati, posti a carico del coordinatore per la sicurezza dell'esecuzione dei lavori ai sensi dell'art. 5 d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494, non possono considerarsi adempiuti, in particolare evidenziando l'inadeguatezza della protezione rappresentata dal foglio di rete elettro-saldata all'apertura del lucernaio (resa palese dal fatto che la stessa veniva agevolmente tolta dagli operai che lavoravano nel sottostante tunnel per passare da sotto a sopra e viceversa) e, con essa, anche l'omissione dei doverosi e costanti controlli da parte del predetto. Le censure al riguardo mosse dal ricorrente non valgono a evidenziare lacune o incoerenze interne ad un siffatto impianto argomentativo, ma si limitano anch'esse alla mera prospettazione di una diversa valutazione degli elementi di prova acquisiti che come tale non può trovare ingresso nella presente sede. 6.2. Anche il rilievo secondo cui nella specie il sinistro sarebbe addebitabile a imprudenza o negligenza della stessa persona offesa, tale da integrare caso fortuito, risulta specificamente esaminato dalla Corte d'appello e respinto sulla base del rilievo secondo cui, posto che per pacifico insegnamento di questa S.C. 9 soggetti destinatari delle norme antinfortunistiche, comprendendo, non solo il datore di lavoro destinatario delle norme antinfortunistiche è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento dell'infortunato sia abnorme e posto in essere al di fuori di ogni prevedibilità (v. e pluribus Sez. 4, n. 37986 del 27/06/2012, Battafarano, Rv. 254365), non può sostenersi che la condotta del Brugnoni sia qualificabile in tali termini, essendo l'infortunio occorso nello svolgimento di attività pienamente compresa e funzionale all'esecuzione delle opere appaltate. In proposito, nessun argomento critico specificamente mirato a tale considerare l'assunto secondo il quale, nella specie, può ipotizzarsi che sia stato lo stesso Brugnoni Massimo a eliminare imprudentemente la protezione sopra descritta per provvedere alla stesura dei teli di impermeabilizzazione, sia perché in punto di fatto trattasi di mera congettura non suffragata da alcuna evidenza, tanto meno emergente dal contenuto della sentenza impugnata, sia e comunque perché, a tutto concedere, si tratterebbe pur sempre di condotta bensì negligente o imprudente ma non abnorme e imprevedibile, tanto più alla stregua di quanto sopra rilevato circa l'inadeguatezza della protezione e la sua agevole amovibilità. Sul punto vale rammentare che, a corollario del principio testè ricordato, è stato più volte precisato nella giurisprudenza di questa Corte che le norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, avendo lo scopo di impedire l'insorgere di pericoli anche se del tutto eventuali e remoti in qualsiasi fase del lavoro, sono dirette a tutelare il lavoratore anche contro gli incidenti derivanti da un suo comportamento colposo e dei quali, conseguentemente, l'imprenditore è chiamato a rispondere per il semplice fatto del mancato apprestamento delle idonee misure protettive, pure in presenza di condotta imprevidente e negligente del lavoratore (v. ex multis Sez. 4, n. 25502 del 19/04/2007, Scanu, Rv. 237007). 6.3. Nessuna contraddizione può poi ravvisarsi con la pure affermata responsabilità del direttore tecnico del cantiere. La normativa dettata in materia di sicurezza sul lavoro attribuisce, infatti, come detto, al coordinatore per la fase di esecuzione dei lavori una specifica posizione di garanzia, che non si sovrappone, bensì si aggiunge a quella assegnata ad altri soggetti destinatari delle norme antinfortunistiche, e ne individua gli obblighi nei termini sopra delineati, trattandosi peraltro di posizione di garanzia diretta, essendo per essa prevista una diretta responsabilità penale per il caso di inosservanza dei relativi obblighi (art. 21, comma 2, d.lgs. n. 494 del 1996, e art. 158 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81). 10 valutazione è ravvisabile nel ricorso in esame, tale in particolare non potendosi 7. Ai sensi dell'art. 606, comma 3, cod. proc. pen. entrambi i ricorsi vanno pertanto dichiarato inammissibili. Un tale esito impedisce di rilevare la prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata. La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte chiarito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione «non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, rv. 217266: nella specie, l'inammissibilità del ricorso era dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, e la prescrizione del reato era maturata successivamente alla data della sentenza impugnata con il ricorso; conf. Sez. U, n. 19601 del 28/02/2008, Niccoli, rv. 239400). 8. Ne discende, inoltre, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché - apparendo evidente che essi hanno proposto i ricorsi determinando la causa di inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa - della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria. I ricorrenti vanno inoltre condannati alla rifusione in favore della parte civile delle spese sostenute per il presente giudizio, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti ciascuno al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per questo giudizio di cassazione, liquidate in € 2.500,00 oltre accessori come per legge. Così deciso il 29/01/2014 dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen.» (Sez.

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