Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11510 del 12/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 11510 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: ROMIS VINCENZO

SENTENZA

sql/ricors4 propost4 da:
PRI VITERA DOMENICO N. IL 25/03/1972
RUBICONDO LUCA N. IL 28/12/1977
GRILLO ANTONINO N. IL 27/12/1987
RIZZO GAETANO N. IL 04/05/1980
RUSSO ANTONINO N. IL 10/11/1981
ROMEO GIUSEPPE SALVATORE N. IL 13/10/1973
TROMBETTA FELICE N. IL 20/10/1980
TROMBETTA FABIO N. IL 18/09/1984
SCUDERI DOMENICO N. IL 30/09/1979
avverso la sentenza n. 3091/2011 CORTE APPELLO di CATANIA, del
28/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 4.441 -11-44/0
che ha concluso per jAk2A/tAucyì,\,,i.75,Ì

Data Udienza: 12/11/2013

Udito, per la parte civile, l’Avv

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RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Catania, con sentenza emessa in data 5 luglio 2011, nell’ambito di un
complesso procedimento a carico di numerosi imputati in ordine a reati concernenti la violazione della legge sugli stupefacenti, condannava, tra gli altri, Privitera Domenico, Rubicondo
Luca, Grillo Antonino, Rizzo Gaetano, Russo Antonino, Romeo Giuseppe Salvatore, Trombetta Felice, Trombetta Fabio e Scuderi Domenico alle rispettive pene ritenute di giustizia per

d.P.R. n. 309/90.

2. A seguito di rituale gravame proposto dagli imputati suddetti, la Corte d’Appello di Catania, per la parte che in questa sede rileva con riferimento agli imputati sopra indicati
nell’incipit (i quali hanno poi proposto ricorso per cassazione), confermava l’affermazione di
colpevolezza pronunciata dal primo giudice nei confronti di detti imputati – richiamandosi
esplicitamente a quanto già evidenziato nella sentenza di primo grado – e, previa esclusione
della contestata aggravante di cui all’art. 7 della legge n. 203/1991, riduceva la pena a favore degli appellanti.

3. Avverso detta sentenza ricorrono per Cassazione i predetti imputati con censure con le
quali denunciano profili di violazione di legge e di vizio motivazionale in cui sarebbe incorsa
la Corte di merito nel dar conto delle proprie statuizioni.
I motivi di ricorso possono sinteticamente riassumersi come segue:
3.1. RIZZO GAETANO, TROMBETTA FELICE, SCUDERI DOMENICO, TROMBETTA FABIO – con un unico atto di impugnazione, i ricorrenti deducono censure, in parte comuni ed
in parte riferibili a singole posizioni, che possono così riassumersi: a) vizio motivazionale e
violazione di legge in ordine alla ritenuta configurabilità del reato associativo a carico dei ricorrenti – con l’attribuzione al Rizzo di un ruolo di organizzatore – per la mancanza degli elementi costitutivi di tale figura delittuosa, in particolare il vincolo associativo: a tal proposito viene riportato lo stralcio di una conversazione tra il Russo ed il Rizzo; b) vizio di motivazione quanto alla valenza probatoria attribuita ai seguenti elementi: 1) all’atteggiamento sospetto manifestato dal Rizzo al momento dell’arresto del Romeo (comportamento spiegabile,
ad avviso del ricorrente, per il timore di poter essere coinvolto dal Romeo il quale era depositario della sostanza stupefacente e ben consapevole dell’attività di spaccio svolta dal Rizzo
stesso); 2) alle dichiarazioni accusatorie rilasciate dal Cavallaro, dal Musumeci e dal Fiorentino, nonché dal Romeo, in quanto prive di riscontri individualizzanti; 3) all’esito delle intercettazioni: i giudici del merito avrebbero dovuto fornire una motivazione ancor più esaustiva
in particolare per Trombetta Felice per il quale il Tribunale del Riesame di Catania aveva an-

violazione della legge sugli stupefacenti, ed in particolare per il delitto di cui all’art. 74 del

nullato l’ordinanza cautelare per ritenuta insufficienza della piattaforma indiziaria; c) le
stesse dichiarazioni accusatorie del Romeo non avrebbero fornito elementi a sostegno dell’ipotizzata associazione;
3.2. PRIVITEFtA DOMENICO

a) anche il Privitera denuncia “in primis” violazione di legge

e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta configurabilità del reato associativo, assumendo
in particolare che il Romeo non avrebbe riferito nulla nei confronti di esso Privitera: questi
era stato sottoposto ad attività di intercettazione, unitamente al Rubicondo, ed i fatti conte-

del Rubicondo, né la prosecuzione delle intercettazioni aveva consentito di acquisire ulteriori
prove a carico, pur essendo stata la contestazione poi estesa fino all’aprile del 2010; l’ipotizzata condotta delittuosa del Privitera avrebbe avuto inizio e fine nel volgere di soli quattro
giorni; b) anche le dichiarazioni dei collaboranti, se correttamente interpretate, avrebbero
dovuto indurre ad escludere la partecipazione del Privitera alla ipotizzata associazione;
c) altra sentenza, pronunciata per fatti avvenuti nel medesimo arco temporale, aveva condannato il Privitera per il solo reato di favoreggiamento personale assolvendolo dall’addebito
di violazione dell’art. 73 del d.P.R. n. 309/90 così escludendo qualsiasi sua partecipazione
ad illecite attività concernenti traffici di stupefacenti; d) vizio di motivazione, per le medesime ragioni, in ordine all’attribuzione al Privitera di un ruolo di coordinatore nell’ambito dell’ipotizzata associazione malavitosa; e) ancora vizio di motivazione, infine, quanto alla dosimetria della pena ed al diniego delle attenuanti generiche;
3.3. GRILLO ANTONINO

a) non sarebbero ravvisabili gli elementi costitutivi del reato

associativo, ed in particolare: la costituzione e la creazione di una struttura permanente dell’associazione, la coscienza e volontà di far parte di essa, l’utilizzo costante di mezzi messi a
disposizione dell’associazione stessa; dall’acquisito compendio probatorio sarebbe emersa al
più la figura del Grillo quale consumatore di stupefacenti, con singoli episodi di spaccio, non
potendo attribuirsi il significato probatorio di appartenenza ad una struttura associativa, nè
all’arresto del Grillo con il Rubicondo, nell’appartamento di via Barcellona mentre erano intenti alla preparazione di sostanza stupefacente, né alla conversazione tra il Grillo e la moglie nel corso della quale si accennava ad un tale Simone che avrebbe consegnato la somma
di 1.000,00 euro al Grillo come sostegno economico; b) vizio di motivazione in ordine alla
dosimetria della pena ed al diniego delle attenuanti generiche;
3.4. ROMEO GIUSEPPE SALVATORE

a) non risulterebbero adeguatamente motivate le

statuizioni concernenti la posizione del Romeo con il mero richiamo alla sentenza di primo
grado senza il supporto di autonome argomentazioni in risposta alle doglianze dedotte con i
motivi di appello, non potendo ritenersi sufficiente un generico richiamo ai soggetti coinvolti
nel procedimento penale e non essendo state acquisite a carico del Romeo emergenze probatorie riconducibili ad intercettazioni e/o a dichiarazioni dei collaboratori di giustizia; b) vizio di motivazione in ordine al mancato giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti
generiche;

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stati riguardavano un brevissimo lasso di tempo circoscritto a quattro giorni fino all’arresto

3.5. RUBICONDO LUCA – a) il Rubicondo denuncia innanzi tutto violazione di legge e vizio
di motivazione in ordine alla ritenuta configurabilità del reato associativo, svolgendo argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle sviluppate dagli altri ricorrenti a sostegno
dell’asserita insussistenza degli elementi costitutivi dell’associazione finalizzata a reati di
spaccio di droga: si sarebbe trattato al più di concorso nel reato ex art. 110 c.p.; b) vizio di
motivazione sul trattamento sanzionatorio e sul diniego delle attenuanti generiche in ordine
al quale la Corte territoriale si è limitata “ad affermare l’insussistenza di elementi di valuta-

3.6. RUSSO ANTONINO – a) deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta configurabilità del reato associativo, con argomentazioni sostanzialmente simili a
quelle formulate dagli altri ricorrenti a sostegno dell’asserita insussistenza degli elementi costitutivi dell’associazione finalizzata a reati di spaccio di droga, assumendo che non sarebbe
sufficiente a legittimare la condanna per tale reato la sola circostanza del rinvenimento nella
disponibilità del Russo della somma di 18.435,00 euro: si sarebbe trattato al più del reato di
favoreggiamento, non consentendo neanche le dichiarazioni dei collaboranti e l’esito delle
intercettazioni di ritenere acquisita la prova dell’esistenza di una struttura associativa né
quella dell’appartenenza del Russo alla ipotizzata associazione; b) vizio di motivazione sul
trattamento sanzionatorio, con particolare riferimento al diniego delle attenuanti generiche
la cui concessione non sarebbe incompatibile neanche con una condanna per fatti-reato di
elevata gravità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Tutti i ricorsi devono essere rigettati, per le ragioni di seguito indicate.
1.1. Le considerazioni svolte della Corte distrettuale, a sostegno del proprio convincimento,
possono così sintetizzarsi: a) l’acquisito compendio probatorio – costituito dal contenuto delle conversazioni intercettate, nonchè dall’esito di operazioni investigative (diretta osservazione, pedinamento, sequestro di droga) e dalle dichiarazioni dei collaboranti Musumeci e
Cavallaro e del coimputato Romeo Giuseppe Salvatore – consentiva di ritenere provata la
colpevolezza degli appellanti in ordine ai reati per i quali vi era stata condanna in primo grado; b) così come evidenziato dal primo giudice – le cui argomentazioni dovevano intendersi
richiamate perché esaustive e del tutto condivisibili – risultavano pienamente sussistenti tutti i presupposti per la configurabilità del contestato reato associativo, alla luce dei princìpi
enunciati nella giurisprudenza di legittimità in materia, essendo stata accertata, attraverso
l’attività investigativa, l’esistenza di una organizzazione tra più persone strutturata ed articolata con suddivisione di compiti, finalizzata alla consumazione di reati di spaccio di stupefacenti, caratterizzata dalla piena consapevolezza di ciascuno del proprio contributo fornito
al sodalizio – all’interno del quale il Privitera ricopriva il ruolo apicale, coadiuvato per gli aspetti organizzativi in particolare dal Rubicondo e dal Grillo – basato su un rapporto stabile
tra gli associati (caratterizzato anche dagli aiuti in denaro a favore dei familiari degli associati tratti in arresto, come era avvenuto ad opera del Privitera a favore del Rubicondo e del

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i

zione positiva” (così testualmente a pag. 7 del ricorso);

Grillo a seguito dell’arresto di questi ultimi); c) a nulla rilevava che l’attività di osservazione
da parte degli investigatori fosse stata espletata per un breve periodo, né la configurabilità
del reato associativo poteva essere posta in dubbio dal limitato ambito territoriale entro il
quale l’illecita attività di spaccio di cocaina veniva svolta (zona di via Villascabrosa);
d) quanto al trattamento sanzionatorio, eccezion fatta per il Romeo, per nessuno degli altri
appellanti risultavano acquisiti elementi oggettivi o soggettivi tali da legittimare il riconoscimento delle attenuanti generiche; e) per quel che riguarda il Romeo, la Corte, nella parte

cando conseguentemente la relativa diminuzione sulla pena base, diminuendo infine la pena
definitiva ad anni cinque mesi undici e giorni dieci di reclusione in conseguenza della eliminazione dell’aggravante ex art. 7 della legge n. 203/1991: con provvedimento di correzione
di errore materiale del 20 luglio 2012, depositato il 10 agosto 2012, la Corte stessa riportava nel dispositivo della sentenza le statuizioni concernenti la posizione del Romeo; f) conclusivamente, l’impugnata sentenza andava riformata esclusivamente in ordine al trattamento
sanzionatorio, in conseguenza dell’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 7 della legge n.
203/1991 per tutti gli imputati, e tenuto conto della concessione delle attenuanti generiche
al Romeo.
I giudici di seconda istanza – la cui motivazione, sopra sinteticamente richiamata, si integra
con quella di primo grado, formando un corpo motivazionale unico per le parti in relazione
alle quali si registra una “doppia conforme” – hanno dunque innanzi tutto ritenuto pienamente sussistenti tutti i presupposti per la configurabilità del contestato reato associativo: e
tale convincimento hanno ancorato al materiale probatorio acquisito, non mancando di evocare i princìpi enunciati in materia nella giurisprudenza di legittimità, ai quali si sono poi attenuti per verificare nel caso di specie la sussistenza del reato. Ed invero è risultata accertata in
punto di fatto – attraverso l’attività investigativa, con particolare riferimento all’esito delle
intercettazioni, ed in base alle dichiarazioni di collaboranti e del coimputato Romeo Giuseppe
Salvatore – l’esistenza di una organizzazione tra più persone strutturata ed articolata con
suddivisione di compiti, finalizzata alla consumazione di reati di spaccio di stupefacenti di diversa natura, caratterizzata dalla piena consapevolezza di ciascuno del proprio contributo
fornito all’organizzazione, all’interno della quale il Privitera ricopriva il ruolo di vertice, basata su un rapporto stabile tra i sodali. E, come già accennato, non sono mancati plurimi e
puntuali richiami ai princìpi ormai consolidati nella giurisprudenza della Suprema Corte per
quel che riguarda gli elementi sufficienti per la configurazione dell’associazione ex art 74 del
d.P.R. n. 309/90. Giova in questa sede ribadire in particolare, in diritto, tenuto anche conto dei
motivi di gravame dei ricorrenti, che ai fini della configurabilità dell’associazione finalizzata al
traffico illecito di sostanze stupefacenti ex art. 74 cit. non è richiesto un patto espresso fra gli
associati, ben potendosi desumere la prova del vincolo dalle modalità esecutive dei reati-fine,
dalla loro ripetizione ovvero dai rapporti tra gli autori, dalla ripartizione dei ruoli fra i vari soggetti in vista del raggiungimento di un comune obiettivo (compravendita degli stupefacenti) e

concernente la determinazione della pena, teneva conto delle attenuanti generiche, appli-

dall’esistenza di una pur minima struttura organizzativa, indicativa della continuità temporale del
vincolo criminale. Pertanto, ciò che rileva non è un accordo consacrato in atti di costituzione o
altre manifestazioni di formale adesione, e neppure una “cassa comune”, ma l’esistenza, di fatto, di una struttura, anche non complessa, in cui si innesta il contributo apportato dal singolo
nella prospettiva del perseguimento dello scopo comune. L’associazione de qua si configura, è
stato altresì statuito, anche nel caso di condotte parallele, di persone accomunate dall’identico
interesse di realizzazione del profitto societario, mediante il commercio di droga, nonché

che, in via continuativa, la ricevono per immetterla al consumo. La diversità di scopo personale infatti – ha ripetuto la Corte di legittimità – non è per nulla ostativa alla realizzazione del
fine comune, che è quello di sviluppare il commercio degli stupefacenti per conseguire sempre maggiori profitti. Nè l’associazione criminosa può essere impedita dalla diversità dell’utile
che i singoli partecipi si propongono di ricavare, oppure da un contrasto degli interessi economici di essi, posto che nè l’una, nè l’altro, sono di ostacolo alla costituzione ed alla persistenza
del vincolo associativo (in tali termini, ex plurimis, anche la recente Sez. 6, n. 3509 del
10/1/2012; conforme Sez. 5, n. 1291 del 17/03/1997 Cc. – dep. 05/07/1997 – Rv. 208231,
secondo cui “l’associazione per delinquere, finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, è
realizzata sia dalla unione di più persone che operano, anche in via soltanto parallela, per la
realizzazione di profitti con lo spaccio della droga, sia dal vincolo che lega, anche oggettivamente, l’importatore-acquirente, che si adopera per rifornire il mercato, in via continuativa, con la rete di piccoli spacciatori, purché tutti i soggetti abbiano la consapevolezza di agire nell’ambito di una organizzazione, nella quale le attività dei singoli si integrano strumentalmente per la finalità perseguita e purché l’acquirente-rivenditore sia stabilmente disponibile, inoltre, a ricevere le sostanze stupefacenti con tale continuità da proiettare il singolo
atto negoziale oltre la sfera individuale, come elemento della complessiva ed articolata
struttura organizzativa”).
1.2. La Corte d’Appello, richiamando a fini integrativi, come detto, le considerazioni svolte
dal primo giudice, ha altresì motivato, in modo argomentato, il giudizio di responsabilità dei
singoli imputati per la loro partecipazione al reato associativo (cfr. pag. 10 e segg.), ancora
una volta evocando specifiche e significative acquisizioni, quali ad esempio: quanto al Privitera, esito di servizi di osservazione, con specifico riferimento ai movimenti del Privitera ed
agli incontri ed alle conversazioni (intercettate) di costui con altri soggetti (in particolare, la
conversazione del 12/2/2010 – ore 17.26.01 – nel corso della quale il Privitera esprimeva le
sue preoccupazioni per la presenza delle “guardie” che controllavano la zona, mentre colui il
quale lo accompagnava avvertiva lo spacciatore invitandolo a non operare lo spaccio); per il
Rubicondo: a conferma e riscontro delle dichiarazioni rese dal Romeo vi erano numerose
conversazioni di significativo contenuto, come quella delle ore 17.10.52 del 12 febbraio
2010 nel corso della quale il Rubicondo rivendicava il suo ruolo nella piazza dello spaccio dicendo al suo interlocutore “perché non viene lui a parlare con me? Non lo sa di chi è la piaz-

nell’ipotesi di un vincolo che accomuna, in maniera durevole, il fornitore di droga agli acquirenti

za”; per il Grillo: l’arresto insieme al Rubicondo in un appartamento dopo che i due avevano
sicuramente fatto scomparire droga nel water e dove erano stati rinvenuti tre grammi di cocaina ed un bilancino di precisione, nonchè il tenore di conversazioni intercettate; quanto al
Rizzo: le dichiarazioni accusatorie del Romeo, pienamente riscontrate nelle parole dello
stesso Rizzo nei colloqui captati nella Questura di Catania – dove era stato portato insieme
ad altri soggetti dopo l’arresto del Romeo – nel corso dei quali il Rizzo esternava il proprio
timore che il Romeo potesse parlare e fare anche il suo nome, affermando altresì che gli A-

ed i rapporti tra il Rizzo, il Russo, il Romeo ed il Privitera con gli altri imputati risultavano
dimostrati dalla loro stabile presenza nella piazza nella quale operavano in esclusiva succedendosi gli uni agli altri in caso di necessità; per Trombetta Felice: precise e dettagliate dichiarazioni accusatorie del Romeo, riscontrate dalle dichiarazioni dei collaboranti Musumeci,
Cavallaro e Fiorentino; per Trombetta Fabio: esito delle intercettazioni di conversazioni ambientali nel corso delle quali si parlava di persone e circostanze riferibili all’illecita attività
dell’associazione; per Scuderi: contenuto di conversazioni intercettate, ed analiticamente richiamate in sentenza (pag. 20), con accenno ai brani ritenuti maggiormente significativi, e
dichiarazioni del collaborante Musumeci; per Russo: conversazioni intercettate nella Questura di Catania – dopo l’arresto del Russo stesso, di cui si è prima detto esaminando la posizione del Rizzo – e rinvenimento in suo possesso della rilevante somma di ben 18.435,00
euro, proveniente per sua stessa ammissione dallo spaccio di droga, e di un manoscritto nel
quale erano annotati conteggi riguardanti le cessioni di droga; per Romeo: la sua ampia e
dettagliata confessione circa il suo ruolo nello svolgimento dell’illecita attività ed i suoi rapporti con gli altri coimputati, nonché il rinvenimento in suo possesso di oltre mezzo chilo di
cocaina (pag. 22 della sentenza).
Orbene, la proposizione di interpretazioni alternative della piattaforma probatoria acquisita,
quali prospettate nei ricorsi, si traduce nella surrettizia richiesta a questa Corte di svolgere
apprezzamenti di fatto difformi da quelli espressi dal competente giudice del merito, che esulano dal sindacato di legittimità. Né è dato cogliere connotazioni di illogicità e/o contraddittorietà nel percorso seguito dalla Corte distrettuale relativamente alle valutazioni probatorie. L’esito delle intercettazioni è stato esaminato accuratamente, anche con riferimento al
significato da attribuire al tenore delle conversazioni captate, ed è stato altresì vagliato richiamando esplicitamente plurime conversazioni singolarmente indicate. Solo formalmente i
ricorrenti hanno dedotto, come motivi delle loro impugnazioni, il vizio di manifesta illogicità
della motivazione della decisione gravata; essi non hanno prospettato alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilità delle premesse dell’argomentazione, irrazionalità
delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le
conclusioni. Nè è stata lamentata una incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dall’incarto
processuale. I ricorrenti, invero, si sono limitati a criticare il significato che la Corte di appel,

genti operanti erano a conoscenza dell’attività di spaccio e del suo coinvolgimento; il legame

lo di Catania ha dato al contenuto delle emergenze probatorie acquisite nel corso delle indagini, ed utilizzate quindi nel precedente grado di giudizio, e, in specie, al tenore delle conversazioni intercettate. E mette conto sottolineare che i ricorrenti, lungi dal proporre un
“travisamento delle prove”, vale a dire una incompatibilità tra l’apparato motivazionale del
provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento – tale da disarticolare
la coerenza logica dell’intera motivazione – hanno in realtà prospettato un’ipotesi di “travisamento dei fatti”, sollecitando un’inammissibile rivalutazione dell’intero materiale d’indagi-

ta dalla Corte territoriale nell’ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed
esauriente.
Di tal che, non vi è motivo di discostarsi dal consolidato indirizzo interpretativo secondo il
quale, a seguito delle modifiche dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), ad opera
della L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di “travisamento della prova”, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito
abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto permesso
dedurre il vizio del “travisamento del fatto”, essendo preclusa al giudice di legittimità la possibilità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta
nei precedenti gradi di merito: ed invero, in tal caso, si richiederebbe alla Cassazione una
inammissibile reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini
della decisione (così, tra le tante: Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623;
Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215). Il che si verifica, a maggior ragione, allorquando con l’impugnazione venga prospettato un mero problema di interpretazione
delle frasi e del linguaggio usato dai soggetti interessati alle conversazioni intercettate, trattandosi di questione di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae
al giudizio di legittimità se – come nella fattispecie è accaduto – la valutazione risulta logica
in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (così, ex plurimis, Sez. 6, n. 17619 del
08/01/2008, Gionta, Rv. 239724). La motivazione contenuta nella sentenza impugnata possiede, dunque, una stringente e completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di illogicità, avendo la Corte etnea analiticamente e convincentemente spiegato le
ragioni per le quali le conversazioni captate dagli inquirenti dovessero ritenersi idonee a
provare la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie criminosa ipotizzata, ed il
coinvolgimento degli imputati nelle vicende delittuose loro rispettivamente ascritte; ed avendo altresì sottolineato come i colloqui captati dagli inquirenti avessero permesso di lumeggiare le figure ed i ruoli degli associati (le cui posizioni sono state singolarmente esaminate dalla Corte territoriale, con l’indicazione degli elementi probatori riferibili a ciascuno dei
ricorrenti) ed individuare l’oggetto delle conversazioni ravvisabile nelle illecite attività concernenti gli stupefacenti (come sopra ricordato, le questioni relative alla configurabilità del

E

ne, rispetto al quale è stata proposta una spiegazione alternativa rispetto a quella privilegia-

reato associativo e le singole posizioni degli imputati risultano analiticamente esaminate da
pag. 8 a pag. 22 della sentenza impugnata).
La Corte distrettuale nemmeno si è sottratta al vaglio di attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dai collaboranti e dal Romeo, laddove ha indicato i relativi riscontri esaminando le posizioni degli imputati.
1.3. Quanto alle ulteriori doglianze del Privitera – circa il suo ruolo di vertice all’interno
dell’organizzazione e l’arco temporale asseritamente breve di riferimento per quel che ri-

risposte alle tesi difensive prospettate con i motivi di appello (cfr. pag. 10 e segg. della sentenza), e la motivazione al riguardo non presenta alcuna connotazione di illogicità in quanto
rigorosamente ancorata all’acquisito compendio probatorio espressamente richiamato e descritto. Né può rilevare l’evocata sentenza con la quale il Privitera è stato condannato per
favoreggiamento ed assolto dalla violazione dell’art. 73 di d.P.R. n. 309/90, non vertendosi
all’evidenza in ipotesi di “bis in idem” (mancando i presupposti necessari a tal fine): per
consolidata giurisprudenza di questa Corte “la sentenza divenuta irrevocabile ed acquisita
come documento non ha efficacia vincolante, ma va liberamente apprezzata dal giudice unitamente agli altri elementi di prova” (in termini, “ex plurimis”,

Sez. 6, n. 47314 del

12/11/2009 Ud. – dep. 12/12/2009 – Rv. 245483).

2. Tutti gli imputati hanno infine dedotto doglianze in ordine al diniego delle attenuati generiche.
2.1. Orbene, la censura del Romeo è manifestamente infondata posto che già il primo giudice aveva concesso al medesimo (in considerazione del suo comportamento processuale) il
beneficio in argomento con applicazione della relativa diminuzione di pena (pag. 92 della
sentenza di primo grado), negandolo invece agli altri condannati: beneficio richiamato dalla
Corte d’Appello nella motivazione della sentenza (pag. 23), con applicazione della relativa
diminuzione sulla pena base determinata previa esclusione dell’aggravante di cui all’art. 7
della legge n. 203/1991 (di tal che risultava soddisfatta sostanzialmente in concreto – per
così dire “a monte”

la richiesta del Romeo di prevalenza delle attenuanti generiche su det-

ta aggravante), e riducendo la pena finale (rispetto a quella inflitta dal Tribunale) a quella
complessiva di anni cinque mesi undici e giorni dieci di reclusione, quale riportata in dispositivo mediante provvedimento di correzione di errore materiale (come sopra si è già avuto
modo di ricordare, sub 1.1.).
2.2. Infondate sono le doglianze degli altri ricorrenti sul punto. Ed invero la Corte territoriale
ha ritenuto gli imputati non meritevoli delle attenuanti generiche in mancanza di elementi
oggettivi o soggettivi tali da legittimare il riconoscimento di detto beneficio. Orbene, in primo luogo mette conto evidenziare che in proposito si registra una “doppia conforme” tra le
sentenze di primo e secondo grado, con conseguente integrazione delle stesse, ed il primo
giudice aveva evidenziato, quali elementi ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti

guarda l’addebito mossogli – si rinvengono nell’impugnata sentenza adeguate e specifiche

generiche agli imputati diversi dal Romeo, l’estrema gravità dei fatti, le modalità delle azioni, il contesto in cui i fatti erano stati perpetrati, la reiterazione dei fatti stessi; in secondo
luogo, giova richiamare il condivisibile principio enunciato in giurisprudenza secondo cui
“l’obbligo di motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica la decisione
circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta” (in
termini, “ex plurimis”,

Sez.

2, n.

38383 del 10/07/2009 Ud. – dep. 01/10/2009 –

3. Al rigetto dei ricorsi segue, per legge, la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti, ciascuno, al pagamento delle spese processuali.
Roma, 12 novembre 2013
Il Consigli re estensore

Il Presidente
(Gaetanino Zecca)

(Vin enzo Romis)

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CORTE SUPRE • CASSAZIONE
IV Sezione Penale

Rv. 245241; conf.: Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992 Ud. – dep. 25/11/1992 – Rv. 192381).

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