Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11507 del 14/05/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 11507 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Lande Gianfranco, nato a Roma il 05/02/1962

avverso l’ordinanza emessa il 28/01/2013 dal Tribunale di Roma

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Edoardo Scardaccione, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avv. Cataldo Domenico Intrieri, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso, e l’annullamento dell’ordinanza impugnata

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Roma, su atto di appello presentato nell’interesse di
Gianfranco Lande avverso un’ordinanza ex art. 299 cod. proc. pen. dello stesso

Data Udienza: 14/05/2013

Tribunale emessa il 17/10/2012, rigettava il gravame con provvedimento
adottato all’udienza del 28/01/2013.
Il collegio dava atto che i difensori del prevenuto, già condannato in primo
grado il 28/06/2012 alla pena di anni 9 di reclusione per reati di cui agli artt. 416
cod. pen., 166 d.lgs. n. 58 del 1998 e 2638 cod. civ., avevano instato per la
revoca o la sostituzione della custodia in carcere ancora gravante sul loro
assistito segnalando il lungo periodo di restrizione già sofferto (dal marzo 2011),
l’insussistenza di qualunque pericolo di inquinamento probatorio, vista la fase

fuga, visto che il Lande era rimasto sempre reperibile anche dopo il clamore
avuto dai primi atti di indagine nei suoi confronti; la difesa aveva anche
rappresentato che altri coimputati erano stati da tempo sottoposti ad un più
favorevole regime de libertate, e che la ricordata notorietà dei fatti addebitati al
prevenuto imponeva di escludere un qualunque rischio di recidiva.
Il giudice procedente aveva invece rigettato la richiesta sul presupposto
dell’attualità del pericolo di inquinamento delle prove, essendo in atto varie
rogatorie internazionali volte al recupero dei proventi dell’attività delittuosa,
nonché del pericolo di fuga, in ragione delle gravi condanne riportate dal Lande.
A fronte dell’atto di appello, fondato sulle stesse doglianze proposte
nell’istanza originariamente disattesa, nonché delle deduzioni difensive svolte in
udienza sul rilievo che il documentato sovraffollamento della struttura carceraria
ospitante il Lande (la Casa circondariale di Civitavecchia) dovesse intendersi
incompatibile con il prolungarsi della detenzione, anche alla luce di recenti
pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il Tribunale richiamava la
precedente ordinanza emessa in sede di riesame, divenuta irrevocabile, per
ribadire l’attualità del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, nonché
di una concreta prospettiva di pregiudizio agli accertamenti ancora in atto a
mezzo di rogatorie internazionali. Da un lato, il collegio sottolineava il ruolo
primario svolto dal Lande nell’ambito del ritenuto sodalizio criminoso, essendosi
egli occupato proprio di investirne i proventi all’estero, e dall’altro reputava che
l’imputato fosse in grado di «condizionare negativamente l’esito delle rogatorie in
atto, attraverso l’uso di strumenti telematici che sfuggono a qualsiasi preventivo
controllo».
Escluso poi che il prolungarsi della restrizione potesse costituire ex se fattore
valutabile in punto di attenuazione od elisione delle esigenze cautelari, come
affermato da giurisprudenza di legittimità espressamente menzionata, il
Tribunale di Roma segnalava che il tema del sovraffollamento carcerario non era
stato dedotto né con l’iniziale istanza di revoca o sostituzione della misura, né
con l’atto di appello: in ogni caso, rilevava che gli interventi del giudice

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processuale, e l’impossibilità di ritenere configurabile un concreto pericolo di

sovranazionale venivano soltanto a risolversi «in una sollecitazione al governo
italiano di adeguare le strutture carcerarie agli

standard europei, ovvero a

compiere scelte di politica criminale rivolte, in generale, ad incentivare l’uso di
misure alternative al carcere».

2. I difensori di Gianfranco Lande propongono ricorso per cassazione,
articolato in un motivo unico.
Vengono dedotti in particolare: carenza di motivazione, violazione degli artt.

cautelari, nonché degli artt. 275, 299, 303 e 304 dello stesso codice in ordine al
criterio di proporzionalità nell’adozione e nel mantenimento di misure restrittive
della libertà personale, alla luce dei principi di cui agli artt. 27 Cost. e 3 CEDU.
Quanto al tema del sovraffollamento carcerario, documentato dalla difesa
essendo emerso che la Casa circondariale di Civitavecchia ospiterebbe il doppio
dei detenuti di cui alla capienza prevista, si argomenta che qualsiasi misura
cautelare deve comunque rispondere a requisiti di umanità e rispetto, per cui il
protrarsi di condizioni di detenzione incompatibili con diritti costituzionalmente
garantiti avrebbe dovuto imporre al Tribunale una esplicita valutazione dei
configgenti interessi evocati dai difensori, e non consentire invece – come si
ritiene accaduto – il ricorso a presunzioni o motivazioni standardizzate, ad
esempio circa l’automatica ravvisabilità del pericolo di fuga per chi sia stato
condannato a pena afflittiva, malgrado abbia garantito una concreta presenza
per tutta la durata del processo. La difesa censura la motivazione dell’ordinanza
impugnata anche per avere omesso di considerare che la pena irrogata al Lande
dovrà essere parzialmente dichiarata estinta ai sensi della legge n. 241 del 2006,
risalendo i fatti ad epoca anteriore; espone infine che la sentenza
dell’08/01/2013 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso Torregiani
(non richiamata in precedenza perché non ancora depositata) avrebbe dovuto
intendersi non già espressiva di una mera sollecitazione al governo italiano per
l’adozione di nuove scelte di politica legislativa, assurgendo invece a “sentenza
pilota” ai sensi dell’art. 46 della Convenzione, «per cui discende l’obbligo a carico
dello Stato soccombente […] di mettere in opera, sotto il controllo del Comitato
dei Ministri del Consiglio d’Europa, le misure individuali (relative alla posizione
del singolo ricorrente) e le misure generali (relative alla generalità di coloro che
si trovino in situazioni analoghe) necessarie ad ovviare alla violazione, sia
assicurando un adeguato ristoro per le violazioni già subite, sia – soprattutto ponendo fine alle violazioni ancora in essere».

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273 e 274 del codice di rito in ordine alla ritenuta persistenza delle esigenze

3. Con atto depositato il 26/04/2013 dall’Avv. Cataldo Intrieri, nell’interesse
del Lande sono stati altresì sviluppati motivi nuovi di doglianza.
Riprendendo ancora il tema del sovraffollamento carcerario e delle
determinazioni adottate in sede sovranazionale, la difesa reputa un grave errore
giuridico quello in cui il Tribunale sarebbe incorso, nell’affermare che le decisioni
della Corte Europea si risolverebbero in mere sollecitazioni rivolte agli Stati
membri, derivandone invece un obbligo di immediata applicazione dei principi ivi
affermati e soprattutto di eventuale disapplicazione di norme interne che si

pronunce della CEDU ad un più ampio ricorso alle misure alternative alla
detenzione, da intendersi rivolto sia al legislatore che agli organi giurisdizionali,
non potrebbe comunque ritenersi soddisfacente la motivazione adottata dal
Tribunale di Roma in punto di presunta, perdurante indispensabilità della
custodia in carcere: la stessa giurisprudenza di legittimità è ormai pacificamente
orientata, anche sulla via del tendenziale superamento di presunzioni di
adeguatezza delle misure cautelari di maggior rigore, nel senso di imporre al
giudice procedente «di considerare l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi
specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari
possano essere soddisfatte con altre misure». Nel caso di specie, al contrario, si
è inteso fondare una valutazione di ancora attuale pericolo di inquinamento
probatorio su rogatorie all’estero in corso di svolgimento, comunque afferenti
procedimenti diversi da quello in relazione al quale il Lande risulta sottoposto a
limitazioni della libertà personale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
La motivazione adottata dal Tribunale di Roma appare infatti immune dalle
censure mosse nell’interesse del ricorrente, atteso che si pongono in evidenza
fattori certamente rilevanti in punto di valutazione dell’attualità e della
consistenza delle esigenze cautelari già ravvisate nei confronti del Lande: fra
questi, l’avere l’imputato realizzato all’estero parte delle condotte a lui
addebitate, operando in altri paesi al fine di reinvestire i proventi delle attività
criminose e dunque essendo più che ragionevolmente in grado di incidere
sull’esito delle indagini in corso per individuare i luoghi di occultamento di quelle
risorse. Del resto, stante l’incompletezza di una indagine ricostruttiva delle varie
operazioni finanziarie riferibili alla ipotizzata consorteria criminale (in cui
l’odierno ricorrente assumeva innegabilmente posizione apicale), incompletezza

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pongano in contrasto rispetto a questi. Peraltro, stante l’esplicito invito delle

dovuta alle caratteristiche intrinseche dell’associazione e non certo all’inerzia
degli inquirenti, è da un lato inevitabile che gli accertamenti proseguano anche al
di fuori degli specifici limiti del procedimento inizialmente iscritto, ed è dall’altro
ineccepibile rilevare che un pur parziale recupero della libertà di comunicazione
– in ragione delle difficoltà di garantire un controllo effettivo sugli strumenti che
la moderna tecnologia consente – sia di concreto pregiudizio alle prospettive di
scoperta e recupero di somme costituenti il profitto dei reati ipotizzati.
Parimenti corretto il riferimento, operato nel corpo del provvedimento

rassegnare le proprie conclusioni, alla nuova condanna riportata medio tempore
dal Lande, che risulta intervenuta in ordine a reati ex artt. 216, 219 e 223 legge
fall. e che certamente aggrava il quadro complessivo valutabile a carico del
prevenuto.
Quanto alle implicazioni delle pronunce della Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo in tema di condizioni della popolazione carceraria, vero è che il giudice
sovranazionale ha inteso ricorrere alla procedura della “sentenza pilota”, ai sensi
dell’art. 46 della Convenzione, nel richiamato caso Torregiani di cui alla sentenza
dell’08/02/2013: l’effetto giuridicamente rilevante che ne consegue, tuttavia,
può ricavarsi dal par. 99 della decisione medesima, laddove si precisa che «le
autorità nazionali devono creare senza indugio un ricorso o una combinazione di
ricorsi che abbiano effetti preventivi e compensativi e garantiscano realmente
una riparazione effettiva delle violazioni della Convenzione risultanti dal
sovraffollamento carcerario in Italia. Tale o tali ricorsi dovranno essere conformi
ai principi della Convenzione […], ed essere posti in essere nel termine di un
anno dalla data in cui questa sarà divenuta definitiva». Ciò in quanto, come
espressamente precisato nella stessa decisione, le sentenze della Corte Europea
«hanno carattere essenzialmente declaratorio e […], in linea di principio, spetta
allo Stato convenuto scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, i mezzi
per assolvere il suo obbligo giuridico riguardo all’articolo 46 della Convenzione»
(par. 91).
Non può dunque convenirsi con la difesa del ricorrente circa il lamentato
errore in diritto, compiuto dal Tribunale di Roma, nel ravvisare valenza di
“sollecitazione” al dictum della Corte Europea: a riprova, basti rilevare che se è
vero che può sussistere un obbligo di disapplicazione di norme interne
confliggenti con previsioni sovranazionali (come già accaduto nelle ipotesi di
leggi penali statuenti sanzioni detentive a carico di stranieri non ottemperanti a
provvedimenti di espulsione, a fronte dell’espresso divieto sancito in direttive
europee suscettibili di immediata esecuzione), nella fattispecie non è dato

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impugnato e ribadito dal Procuratore generale presso questa Corte nel

rinvenire alcuna norma italiana che si ponga

ex se in contrasto con le

disposizioni della Convenzione Europea o con i principi affermati dalla Corte.

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del Lande al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità.
Dal momento che alla presente decisione non consegue la rimessione in
libertà del ricorrente, dovranno essere curati dalla Cancelleria gli adempimenti di

P. Q. M.

Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.
att. cod. proc. pen.

Così deciso il 14/05/2013.

cui al dispositivo.

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