Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11498 del 21/10/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 11498 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso proposto da RAIMONDI Mariano, nato a Napoli il 07/03/1954,
avverso l’ordinanza emessa ex art. 310 c.p.p. in data 01/03/2013 del Tribunale di Napoli;
esaminati il ricorso e l’ordinanza impugnata;
udita in camera di consiglio la relazione del consigliere dott. Giacomo Paoloni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto Procuratore Generale dott.
Roberto Aniello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione
1. Nell’ambito di complessa inchiesta penale nei confronti di 42 indagati il g.i.p.
del Tribunale di Napoli, con ordinanza del 10.1.2013, ha applicato a Mariano Raimondi
la misura cautelare della custodia in carcere in ordine al reato di associazione per
delinquere in qualità di promotore e organizzatore del sodalizio e ad una serie di reati
fine compiuti dal Raimondi con abuso delle sue funzioni di cancelliere in servizio presso
la Corte di Appello di Napoli. Plurimi fatti criminosi inseriti in un sistematico indebito
intervento corruttivo e falsificatorio attivato, a partire dal maggio 2011, dal Raimondi, da
altri funzionari degli uffici giudiziari partenopei e da terzi “procacciatori” di “clienti”
(oltre che da questi ultimi in veste di corruttori) e diretto ad “intervenire illecitamente,
dietro corrispettivo in denaro o altra utilità, su fascicoli processuali, occultandone in tutto o in
parte il carteggio e così condizionandone gravemente il normale iter giudiziario”.
In particolare e come da imputazione ex art. 416 c.p. al Raimondi è ai coindagati si
è contestato di avere: rallentato la definizione dei processi, sottraendo i relativi fascicoli
e/ o le notificazioni, al fine di provocare la decorrenza dei termini di custodia cautelare o
di prescrizione dei reati; ritardato la trasmissione di fascicoli processuali in Cassazione;
sottratto dai fascicoli atti sfavorevoli ad istanze avanzate dagli interessati; manipolato il

Data Udienza: 21/10/2013

2. Decidendo ai sensi dell’art. 310 c.p.p. sull’appello del pubblico ministero contro
l’ordinanza del g.i.p. sostitutiva della custodia carceraria, il Tribunale distrettuale di
Napoli ha ritenuto l’immutata persistenza delle esigenze cautelari ex art. 274, lett. a) e
lett. c), c.p.p. legittimanti l’adozione della custodia in carcere quale unico mezzo per
fronteggiare con efficacia la pericolosità dell’indagato. Per l’effetto, accolto l’appello del
p.m., ha nuovamente applicato al Raimondi la misura cautelare carceraria.
Il Tribunale, davanti al quale il Raimondi ha ribadito le ammissioni dei fatti
attribuitigli (già anticipata nell’interrogatorio di garanzia) e il proposito di volersi
dimettere dal pubblico impiego ricoperto, ha condiviso le considerazioni dell’appellante
p.m. sulla contraddittorietà del provvedimento del g.i.p. (arresti domiciliari) rispetto alla
ordinanza cautelare genetica in punto di esigenze cautelari e di loro tratti di invarianza.
Con riferimento al rischio di pregiudizi per le indagini il Tribunale ha rilevato che
il g.i.p. non ha tenuto conto dei nuovi episodi criminosi accertati dalla G.d.F. e
riguardanti anche il Raimondi, né dell’evenienza -quanto al pericolo di possibile
manipolazione delle risultanze delle indagini- che l’indagato, grazie alla sua lunga
permanenza negli uffici giudiziari napoletani, si è avvalso di una fitta rete di conoscenze
con colleghi, avvocati, parti e soggetti attivi nell’ambiente giudiziario e tuttora in grado
di interferire sugli ulteriori accertamenti in corso. E della estensione della “operatività”
dell’illecita condotta del Raimondi costituisce significativo esempio la vicenda corruttiva
(e i reati di cui ai capi “nuovi” A, B, e C della rubrica) afferente alla fuga di notizie sulla
avvenuta iscrizione di tre indagati nel registro delle notizie di reato attuata dal Raimondi
mediante abusivo accesso al sistema informatico della Procura della Repubblica
effettuato perpetrato dalla coindagata consorte Pesacane (in servizio presso la Procura).
Con riguardo al pericolo di commissione di ulteriori reati della stessa specie di
quelli già contestatigli, il Tribunale ha giudicato non dirimente l’avvenuta sospensione
amministrativa dal servizio dell’indagato valorizzata dal g.i.p. Fatto che non elide,
secondo i giudici dell’appello cautelare, la pervasiva capacità criminale mostrata dal

Registro Generale (Re.Ge.) Affari Penali; ritardato il passaggio degli atti alla fase della
esecuzione.
Il g.i.p. ha ritenuto sussistere a carico dell’indagato gravi indizi di colpevolezza
per i fatti associativi e individuali ascrittigli desumibili dagli esiti delle disposte
intercettazioni telefoniche e video-ambientali e dei connessi accertamenti di p.g. Quanto
alle esigenze cautelari, ha ravvisato l’esistenza di pericolo di inquinamento delle fonti di
prova (essendo in corso indagini dirette ad identificare tutte le persone coinvolte nelle
varie vicende processuali oggetto dei reati fine del gruppo criminoso) e di pericolo di
reiterazione dei fatti criminosi (in ragione della pluralità dei reati commessi e dei legami
personali emersi tra gli indagati e altri soggetti).
Con successiva ordinanza del 28.1.2013 lo stesso g.i.p., accogliendo specifica
istanza dell’imputato, ha sostituito la misura cautelare carceraria applicata al Raimondi
con quella degli arresti domiciliari presso l’abitazione della sorella senza possibilità di
contatti con la moglie (Maria Pesacane, cancelliere in servizio presso la Procura della
Repubblica, coindagata nello stesso procedimento per reati di cui all’art. 326 c.p.).
Decisione determinata dal ritenuto affievolimento delle esigenze cautelari, alla luce degli
ormai “cristallizzati esiti investigativi” (avendo, per altro, il compendio probatorio
prevalente natura cartolare) e della sopravvenuta sospensione a tempo indeterminato
dell’indagato (già in parte confesso) dal suo servizio presso gli uffici giudiziari di Napoli.

3. L’ordinanza del Tribunale è stata impugnata per cassazione dal difensore del
Raimondi con riguardo alle esigenze cautelari ritenute tutelabili con la massima misura
cautelare carceraria. Il ricorso denuncia il vizio di erronea applicazione degli artt. 275 e
299 c.p.p. e di illogicità e insufficienza della motivazione come di seguito articolato.
Il Tribunale è incorso in un rilevante errore di fondo nella misura in cui l’appello
del p.m. -più che alla sussistenza delle esigenze cautelari, di certo non disconosciuta dal
g.i.p. che ha considerato misura idonea quella della custodia domiciliare- investiva i
criteri di adeguatezza della misura cautelare applicabile al prevenuto. Sotto questo
aspetto non vi è alcuna contraddizione tra l’apprezzamento delle esigenze cautelari
svolto dal g.i.p. con l’ordinanza genetica e il successivo vaglio con cui ha ritenuto
adeguata all’illecita condotta del Raimondi la meno gravosa misura degli arresti
domiciliari. E’ agevole rilevare, infatti, che nel provvedimento custodiale originario il
g.i.p. valutava come necessaria la custodia in carcere soltanto in una fase iniziale (“in
prima battuta”), che ha reputato modificata, in termini di pericolosità connotante le
esigenze di cautela processuale, alla luce dei dati (anch’essi nuovi) prospettati dalla
difesa, tra cui il decisivo contegno confessorio del Raimondi in uno alla cessazione dal
servizio per la sua intervenuta sospensione amministrativa.
Soltanto a conclusione del pur lungo provvedimento emesso nei confronti del
Raimondi (e del coindagato Giancarlo Vivolo) il Tribunale si è posto il tema della
adeguatezza della misura applicabile al ricorrente, affrontandolo tuttavia con una chiave
di lettura astratta (e, per ciò stesso, generica) e facendo ricorso a mere formule di stile. In
questa prospettiva il Tribunale non si è curato di spiegare le ragioni per cui la misura
degli arresti domiciliari, ritenuta adeguata dal g.i.p., non sia idonea a garantire le
esigenze cautelari in rapporto ai non trascurabili dati di novità rappresentati dalla difesa
dell’indagato (ammissione degli addebiti; sospensione dalle funzioni; recisione dei
contatti con la coindagata consorte). Dati che il Tribunale ha ignorato o minimizzato.
4. Il ricorso di Mariano Raimondi è fondato.
4.1. Effettivamente il Tribunale ha posto l’accento, per gran parte dell’estesa

ordinanza impugnata, sull’analisi delle esigenze cautelari e sulla loro persistente
attualità, trascurando la problematica della adeguatezza e della proporzionalità della
misura cautelare da applicarsi al Raimondi, che era ed è -invece- il tema centrale sia del
provvedimento del g.i.p. impugnato dal p.m., sia dell’accolto appello del p.m. (oltre che,
come intuibile, dell’odierno ricorso). Sostituendo la custodia cautelare in carcere con la
misura domiciliare, il g.i.p. non ha affatto posto in dubbio la ravvisata iniziale
sussistenza delle esigenze cautelari socialpreventive e probatorie e tanto meno la loro
persistenza. Ma ne ha semplicemente ritenuto mutati i coefficienti di intensità, alla
stregua di una comparativa valutazione con i dati di novità venuti in luce in corso di
indagini. Né profili di incoerenza o illogicità con l’ordinanza custodiale genetica possono
in tale ottica ravvisarsi, atteso che (come esattamente si rimarca nel ricorso) l’ordinanza
del 10.1.2013 aveva sottolineato che la misura carceraria era adottata “allo stato degli atti”
e “almeno in prima battuta” nella dinamica evolutiva delle indagini.

Raimondi, artefice con i suoi sodali di una collaudata “interfaccia deviata del servizio
pubblico della giustizia” a Napoli, tanto più quando si rifletta che la sospensione dal
servizio disposta dall’amministrazione ha carattere provvisorio ed è sempre revocabile.

gA

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Premesso che i c.d. nuovi episodi criminosi, cui il Tribunale annette valore a
riprova del perdurante pericolo di inquinamento delle fonti di prova di cui sarebbe
portatore l’indagato, risalgono all’ottobre 2012 e precedono -quindi- l’esecuzione del
provvedimento coercitivo del 10.1.2013, con il quale gli stessi sono stati puntualmente
contestati al Raimondi, non può non rilevarsi l’aporia logica in cui incorre l’ordinanza
impugnata quando segnala come il pericolo di condizionamento delle fonti di prova non
si esaurisca con la semplice conclusione delle indagini. Assunto in sé fondato ma nel caso
di specie puramente assertivo, perché avulso dalla individuazione di definiti contegni
elusivi, reali o potenziali, dell’indagato che, pur a seguito del suo arresto e del suo coevo
atteggiamento confessorio, rendano concreto l’indicato pericolo ex art. 274, lett. a), c.p.p.
E lo stesso è a dirsi per le esigenze connesse al pericolo di recidiva criminosa specifica,
che il Tribunale si limita a coniugare alla gravità e ripetitività dei fatti reato ormai già
accertati e ad una non meglio precisata “vera mancata resipiscenza” dello stesso indagato.
4.2. Ora, se è vero che la necessità di tutelare la genuinità delle fonti di prova non

si esaurisce (come afferma la giurisprudenza di questa Corte regolatrice) con la chiusura
delle indagini, è altrettanto pacifico che la valutazione del pericolo di inquinamento
probatorio non può avvenire a futura memoria, ma deve possedere i caratteri della
concretezza e della attualità, avendo attinenza alla specifica fase procedimentale in corso
e allo stato delle acquisizioni conoscitive. E di tali caratteri di concretezza e attualità si
impone una congrua verifica, per vero non compiutamente svolta dai giudici
dell’appello cautelare nel caso di specie, in rapporto alla posizione dell’indagato posto in
stato coercitivo e non già -come afferma l’ordinanza impugnata- in rapporto alla
necessità (recte possibilità) di scoprire eventuali altri reati ed eventuali altri indagati (Sez.
6, 30.5.1995 n. 2179, Stilo, rv. 202820; Sez. 6, 29.1.2007 n. 10851, P.M. in proc. Tamponi, rv.
235973). Anche l’indirizzo giurisprudenziale per cui il pericolo di inquinamento
probatorio influente sull’applicazione di una misura cautelare personale può riferirsi non
solo all’indagato, ma anche alla posizione di eventuali concorrenti, richiede pur sempre
che tali condotte inquinanti investano il quadro probatorio emergente dalle indagini in
una proiezione valutativa necessariamente comune a tutti gli indagati (Sez. 3, 12.10.2007
n. 40535, Russo, rv. 237556). In altre parole non può giudicarsi congruo e coerente il
riferimento al pericolo di alterazione dei dati probatori sviluppato dal Tribunale con
riguardo esclusivo a condotte di coindagati del Raimondi, senza che si sia chiarita la loro
connessione con la peculiare posizione oggettiva e soggettiva dello stesso Raimondi.
4.3. Quanto alle esigenze cautelari afferenti al pericolo di recidiva criminosa, non

vi è dubbio che -come afferma questa S.C.- nei reati contro la pubblica amministrazione
al correlativo giudizio di sfavorevole prognosi comportamentale non ostano né la
eventuale dimissione dall’ufficio, né l’eventuale sospensione dal servizio, nell’esercizio
del quale l’indagato ha commesso i reati ascrittigli. La validità del principio nondimeno
va calibrata sul caso e sulla situazione concreti, dovendo il giudice della cautela fornire
lineare e logica motivazione sulle evenienze fattuali che rendano non solo astrattamente
possibile, ma concretamente probabile, che l’indagato, pur in una diversa condizione
soggettiva, possa proseguire nella realizzazione di fatti illeciti omologhi a quelli già
accertati e muniti degli stessi indici di offensività (ex plurimis: Sez. 1, 16.1.2013 n. 15667,
Capogrosso, rv. 255351; Sez. 6, 10.1.2013 n. 19052, De Pietro, rv. 256223; Sez. 6, 27.3.2013
n. 23625, Pastore rv. 256261). Nel caso in esame il Tribunale non ha chiarito attraverso
quali metodiche il Raimondi, se posto in stato di custodia domestica, nonostante la

il
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4.4. Conclusivamente nel caso in esame le descritte carenze di logicità e

completezza valutative della motivazione dell’ordinanza impugnata ne impongono
l’annullamento con rinvio degli atti al Tribunale di Napoli, perché proceda a nuovo
esame sui punti e profili critici segnalati, colmando -nella piena autonomia dei relativi
apprezzamenti di merito- le esposte lacune in coerente applicazione dei principi di
diritto dettati dalle richiamate decisioni di legittimità.
P. Q. M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Napoli.
Roma, 21 ottobre 2013

pubblicità e il clamore suscitati dall’iniziale applicazione della misura carceraria allo
stesso e ai molti coindagati, possa continuare a compromettere il regolare funzionamento
degli uffici giudiziari partenopei, pur versando in stato di sospensione dal servizio
deliberata per l’intera durata del regime cautelare.
Questa S.C. ha a più riprese evidenziato (S.U. 3.3.2011 n. 16085, Khalil, rv. 249324)
come la natura di extrema ratio assegnata alla custodia cautelare in carcere renda
indispensabile, nel fare ricorso a tale strumento di cautela processuale, il preventivo
vaglio del duplice canone della adeguatezza (idoneità della misura coercitiva massima
parametrata sulla specifica e non astratta capacità della misura a tutelare esigenze
cautelari determinate secondo criteri di gradualità afflittiva) e della proporzionalità (art.
275 co. 2 c.p.p.) rispetto alla reale entità del fatto e alla sanzione già irrogata o irroganda.

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