Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1148 del 04/06/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 1148 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Biagi Loreno, nato a Lucca il 17/02/1959
Biagi Leonardo, nato a Lucca il 01/08/1967

avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze del 02/02/2012

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Carmine Stabile, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avv. Egidio Morullo, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata

RITENUTO IN FATTO

1. Il 02/02/2012 la Corte di Appello di Firenze confermava la sentenza di
condanna emessa dal Tribunale di Lucca il 26/02/2010, nei confronti dei germani

Data Udienza: 04/06/2013

Loreno e Leonardo Biagi, dichiarati colpevoli in primo grado di bancarotta
fraudolenta per distrazione (entrambi) e documentale (il solo Loreno Biagi), in
relazione al fallimento della s.r.l. “Costruzioni Meccaniche M.E.R.I.”, dichiarato
nell’aprile 2005.
Nel disattendere i motivi di gravame presentati nell’interesse degli imputati,
la Corte territoriale osservava che – a dispetto della tesi difensiva secondo cui i
beni risultanti quali rimanenze di magazzino al 31/12/2004, poi non rinvenuti,
erano stati avviati a rottamazione o comunque distrutti per concreta

finiti, semilavorati e materie prime erano stati trasferiti nella disponibilità di una
nuova società (Meri s.r.I.) facente capo agli stessi fratelli e che aveva preso ad
esercitare la medesima attività, anche utilizzando i macchinari già in dotazione
alla società dichiarata fallita ed avvalendosi degli stessi dipendenti. Aggiungeva
che nulla risultava concretamente allegato a sostegno della pretesa rottamazione
di quelle rimanenze, trattandosi peraltro di beni che nelle scritture contabili
erano state valutati 785.000,00 euro, e che non potevano confondersi con
«alcuni rottami mandati a discarica, tipici di ogni attività meccanica e di
officina»: richiamava quindi la costante giurisprudenza di legittimità sull’obbligo
giuridico gravante sull’imprenditore in punto di prova della destinazione di beni
acquisiti al patrimonio aziendale e dei quali risulti il mancato reperimento.
La Corte di appello di Firenze riteneva altresì di condividere le
argomentazioni adottate dai giudici di prime cure in ordine alla qualifica di
amministratore di fatto da riconoscere a Leonardo Biagi, sottolineandone la
condotta attiva sia nella gestione della società (risultava fra l’altro che egli, quale
componente del consiglio di amministrazione, aveva concorso nel liquidare a se
stesso compensi indebiti) e nelle stesse condotte distrattive.
La Corte territoriale confutava poi la censura difensiva concernente la
riferibilità di alcuni dei macchinari utilizzati dalla società fallita, in ipotesi oggetto
di distrazione, a soggetto giuridico diverso: vero era che detti beni
appartenevano alla società Officine Meccaniche Spadoni, poi insinuatasi nel
fallimento, ma si trattava comunque di una modesta parte di quanto sottratto,
fermo restando che in ogni caso vi era possibilità di valutazione nel patrimonio
della fallita anche di beni in uso a qualsiasi titolo, determinandosi per effetto
della relativa sottrazione una diminuzione delle risorse aziendali.

2. Propongono ricorso per Cassazione, con atto personalmente sottoscritto, i
due imputati.
I ricorrenti lamentano illogicità e contraddittorietà della motivazione della
sentenza impugnata, per essere stato riconosciuto credito alle dichiarazioni dei

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inutilizzabilità – plurime fonti testimoniali avevano indicato come vari prodotti

testimoni che avevano riferito del trasporto di beni asseritamente sottratti verso
determinati luoghi, malgrado le successive perquisizioni ivi disposte avessero
avuto esito negativo, o di altri che si erano limitati a riferire dell’asporto senza
nulla aggiungere in punto di concreta destinazione. Al contrario, non era stato
dato credito alla circostanza che gli imputati avevano documentato di aver
rappresentato alla curatela che alcuni beni erano stati trasferiti in un altro
immobile della società, senza che poi gli organi della procedura si fossero peritati
di apporvi i sigilli.

in punto di rilevanza, ai fini di un addebito di bancarotta fraudolenta
patrimoniale, della sottrazione di beni detenuti in comodato: secondo gli
imputati, in quel caso, potrebbe essere al più configurabile un reato di
appropriazione indebita in danno del proprietario dei beni medesimi, mentre il
mancato rinvenimento degli stessi non comporterebbe comunque un
depauperamento dell’attivo fallimentare (si segnala altresì che i testimoni ritenuti
rilevanti ai fini dell’accusa, alcuni dei quali riferirono peraltro su voci correnti
presso l’azienda e non su fatti appresi per scienza diretta, resero dichiarazioni
inerenti la presunta distrazione di beni appartenenti ad altre ditte). Circa
l’entità concreta dei materiali mandati a discarica, i ricorrenti evidenziano che contrariamente agli assunti dei giudici di merito – si trattò di oltre 50 tonnellate
di ferro, e non già di pochi rottami.
I due fratelli Biagi lamentano poi contraddittorietà della motivazione della
sentenza impugnata laddove si afferma la inattendibilità delle scritture contabili,
anche in punto di impossibile ricostruzione del movimento degli affari
dell’impresa e di conseguente bancarotta documentale, ma al contempo si
prende spunto dalle scritture medesime per ricavarne la prova della pregressa
esistenza di beni (valutati 780.000,00 euro) non rinvenuti e da presumere
oggetto di distrazione.
Con specifico riguardo alla posizione di Leonardo Biagi, il ricorso censura la
ricostruzione dei giudici di appello secondo cui egli avrebbe concorso nel reato
proprio del fratello, fondata sulle dichiarazioni di soggetti che lo videro ordinare
l’asporto di alcuni beni dalla società fallita a quella di nuova costituzione, e
impartire disposizioni ai dipendenti: in proposito, la realtà è che uno dei testi
escussi si limitò a riferire che nel periodo pre-fallimentare Leonardo Biagi faceva
l’operaio, mentre altri parlarono di beni asportati ma con riferimento a merci e
arredi (in particolare, scrivanie) che come ricordato vennero concentrati in altro
immobile, sempre di proprietà della “Costruzioni Meccaniche M.E.R.I.”. Né
risulta in alcun modo che l’imputato assunse ruoli formali o di fatto nella società
successivamente costituita.

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Nel ricorso si contesta altresì l’interpretazione offerta dalla Corte di appello

3. In data 14/05/2013, gli imputati hanno depositato presso la Cancelleria di
questa Corte una memoria difensiva, al fine di documentare l’intervenuto
dissequestro – disposto dalla Corte di appello di Firenze in data successiva alla
sentenza impugnata – di una saldatrice, una sega a nastro, una fresatrice ed
altro. Detto dissequestro risulta disposto in favore della società proprietaria dei
beni in questione (la “Officine Meccaniche Spadoni e Biagi” s.a.s., in
liquidazione), e ciò confermerebbe la tesi sostenuta in ricorso, circa

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
1.1 In ordine alla valutazione delle testimonianze e delle ulteriori risultanze
istruttorie, è evidente che gli argomenti utilizzati dai ricorrenti tendono a
sottoporre al giudizio di legittimità aspetti che riguardano la ricostruzione del
fatto e l’apprezzamento del materiale probatorio, da riservare alla esclusiva
competenza del giudice di merito e già adeguatamente valutati sia in primo che
in secondo grado.
Sino alla novella introdotta con la legge n. 46 del 2006, la giurisprudenza di
questa Corte affermava pacificamente che al giudice di legittimità deve ritenersi
preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione
impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore
capacità esplicativa, dovendo soltanto controllare se la motivazione della
sentenza di merito fosse intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e
spiegare l’iter logico seguito. Quindi, non potevano avere rilevanza le censure
che si limitavano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, e la
verifica della correttezza e completezza della motivazione non poteva essere
confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite: la Corte, infatti,
«non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione
dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se
questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una
plausibile opinabilità di apprezzamento» (v., ex plurimis, Cass., Sez. IV, n. 4842
del 02/12/2003, Elia).
I parametri di valutazione possono dirsi solo parzialmente mutati per effetto
delle modifiche apportate agli artt. 533 e 606 cod. proc. pen. con la ricordata
novella: in linea di principio, questa Corte potrebbe infatti ravvisare un vizio

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l’impossibilità di ravvisare una bancarotta per distrazione nel caso in esame.

rilevante in termini di inosservanza di legge processuale, e per converso in
termini di manifesta illogicità della motivazione, laddove si rappresenti che le
risultanze processuali avrebbero in effetti consentito una ricostruzione dei fatti
alternativa rispetto a quella fatta propria dai giudici di merito, purché tale
diversa ricostruzione abbia appunto maggior spessore sul piano logico
(realizzando così il presupposto del “ragionevole dubbio” ostativo ad una
pronuncia di condanna).
Si è peraltro più volte ribadito che anche all’esito della suddetta riforma «gli

significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono
rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso
giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e […], pertanto, restano
inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a
sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio» (Cass., Sez. V, n.
8094 dell’11/01/2007, Ienco, Rv 236540). E, proprio con riguardo al principio
dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”, si è da ultimo precisato che esso non ha
comunque inciso sulla natura del sindacato della Corte di Cassazione in punto di
motivazione della sentenza e non può, quindi, «essere utilizzato per valorizzare e
rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto,
eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che
tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice
dell’appello» (Cass., Sez. V, n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv 254579).
Nella fattispecie oggi in esame, al contrario, gli imputati punteroprio a far
rivalutare a questa Corte la piattaforma probatoria attraverso un giudizio di mero
fatto, a dispetto della dedotta sussistenza di vizi ex art. 606 cod. proc. pen. Si
deve osservare, peraltro, che appaiono del tutto ragionevoli le considerazioni
della Corte territoriale sulla convergenza delle plurime dichiarazioni testimoniali
acquisite, con tanto di riferimenti espressi a coloro che non si erano limitati a
rappresentare di aver visto merci portate via dalla sede della società fallita, ma
anche di avere poi notato gli stessi beni presso la Meri s.r.l. costituita ad hoc
(non già in altro immobile di proprietà della fallita), e della quale era stato
proposto a taluno dei dipendenti di diventare socio. Quei beni, nella descrizione
offerta ed analiticamente riprodotta nella sentenza impugnata, non coincidevano
affatto con quelli recentemente restituiti alla società “Officine Meccaniche
Spadoni e Biagi”.
1.2 Circa la configurabilità del delitto di bancarotta per distrazione in
relazione a beni che si assumano detenuti in forza di un diritto personale di
godimento, va innanzi tutto chiarito – per le ragioni appena ricordate – che la
censura mossa dagli imputati riguarderebbe in ogni caso una ben modesta parte

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aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del

di quanto risulta non rinvenuto nella disponibilità del fallimento, laddove si
ritenga che i beni in questione rientrassero fra quelli trasportati presso la nuova
società: in quel caso, peraltro, la giurisprudenza di questa Corte ha già superato
il problema giuridico sollevato dai ricorrenti e concernente l’esatto
inquadramento della condotta di distrazione, atteso che «non sussiste il concorso
formale dei reati di bancarotta fraudolenta ed appropriazione indebita […],
quando oltre ad esservi perfetta identità della cosa su cui si sono concentrate le
rispettive attività criminose e simultaneità delle attività stesse, unica risulti la

quanto la condotta dell’apprensione di beni di cui il fallito abbia la disponibilità,
pur essendo astrattamente riconducibile alle due distinte ipotesi delittuose in
questione, ricade sotto la previsione dell’art. 84 cod. pen., con la conseguenza
che il reato meno grave di appropriazione indebita è assorbito da quello di
bancarotta fraudolenta» (Cass., Sez. V, n. 37298 del 09/07/2010, Lombardo, Rv
248640: il principio risulta affermato in una fattispecie concreta che riguardava
beni ricevuti in locazione finanziaria, ma è senz’altro valido anche per differenti
diritti personali di godimento).
Va del resto evidenziato che, come si legge nell’ordinanza allegata alla
memoria difensiva da ultimo depositata, quei beni esulavano del tutto dalla
portata della rubrica: infatti, a dispetto della ricostruzione difensiva, non
risultavano distratti o portati altrove, ma anzi «segnalati versare in stato di
abbandono all’esterno del capannone». Circostanza, questa, che esclude una
qualunque distrazione e che rendeva del tutto legittima la restituzione di quei
beni alla società che li aveva a suo tempo ricevuti in leasing (per poi girarli “in
visione” all’impresa fallita): al contempo, conferma che affatto diversi erano i
beni – «ricavi, materie prime, prodotti finiti e semilavorati, macchinari,
automezzi, materiali da ufficio, beni strumentali» – oggetto della contestazione
sub B).

1.3 Ancora una volta inerente il fatto appare la censura che riguarda la
quantità complessiva dei materiali rottamati: quantità che, in ogni caso, non
avrebbe mai potuto raggiungere un controvalore pari a 800.000,00 euro o poco
meno, come attestato nelle scritture contabili alla fine dell’esercizio 2004. A
riguardo, appare fuorviante la tesi difensiva secondo cui quelle scritture, se
utilizzate ai fini dell’accusa per ricavarne il valore dei beni distratti, dovrebbero
allora considerarsi attendibili, venendo meno l’addebito di bancarotta
documentale: in concreto, i libri contabili di una impresa ben possono consentire
– fino a una certa data – di ricostruirne il movimento degli affari e il patrimonio
per poi non meritare più fede, segnatamente all’insorgere di uno stato di
dissesto. Inoltre, un conto è avere la possibilità di accertare che al 31/12/2004

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destinazione data dal soggetto attivo ai beni da lui appresi indebitamente, in

la società fallita presentava rimanenze di una certa entità, tutt’altro è prendere
atto (come si rileva dalla rubrica) che sul libro giornale risultavano pagamenti
fatti e ricevuti con assegni circolari, senza che ne fossero state conservate le
matrici, ovvero che il libro dei beni ammortizzabili presentava annotazioni a
matita tra il 2001 e il 2003, per poi non essere stato in alcun modo aggiornato
fino alla dichiarazione di fallimento.
1.4 Quanto infine al ruolo di Leonardo Biagi, le doglianze formulate nel
ricorso non tengono conto della puntuale disamina della fattispecie concreta

A riguardo, va innanzi tutto ricordato che «sulla base dei principi che
regolano il concorso di persona nel reato (e dunque anche nel reato proprio),
non è dubbio che in materia di reati fallimentari, nell’ipotesi di fatti di bancarotta
fraudolenta per distrazione, e con riferimento alla partecipazione dell’extraneus
in reato proprio dell’amministratore di società, deve ritenersi che il soggetto
esterno alla struttura sociale può concorrere nel reato proprio, mediante
condotta agevolativa di quella delltintraneus, nella consapevolezza della funzione
di supporto alla distrazione, intesa quest’ultima come sottrazione dal patrimonio
sociale e suo depauperamento ai danni della classe creditoria, in caso di
fallimento. Nel caso in cui, la distrazione venga realizzata mediante l’azione
“combinata” di più soggetti, la consapevolezza del partecipe extraneus deve
abbracciare le varie condotte ed i reciproci loro nessi, protesi al raggiungimento
dell’evento conclusivo» (Cass., Sez. V, n. 10742 del 15/02/2008, Cattoli).
Non sembra allora revocabile in dubbio, alla luce degli elementi segnalati dai
giudici di merito, la partecipazione di Leonardo Biagi alle condotte distrattive,
come ricostruita sulla base delle testimonianze indicate (anche) nella sentenza
oggetto dell’odierno ricorso: il particolare che l’imputato avrebbe, secondo un
dipendente, svolto semplici funzioni di operaio (peraltro solo nell’ultimo periodo)
non può escludere ex se il concorso del medesimo nelle condotte poste in essere
dal fratello, né può avere rilievo l’incertezza sulla veste assunta dallo stesso
Leonardo Biagi nella nuova Meri s.r.I., giacché – come spiegato in termini
ineccepibili dalla Corte territoriale – «non si censura tanto l’avere iniziato una
nuova attività, quanto l’avere occultato risorse disponibili di quella vecchia,
abbandonata a se stessa, sottraendo garanzie patrimoniali ai creditori».

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna di ciascun ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

P. Q. M.

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operata nella sentenza impugnata.

Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 04/06/2013.

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