Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1146 del 04/06/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 1146 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Belmonte Carmine, nato a Foggia il 23/11/1978

avverso la sentenza del Tribunale di Foggia emessa il 10/05/2011
all’esito del processo celebrato nei confronti di
Parente Bartolomeo, nato a Foggia il 01/04/1939

visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Carmine Stabile, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso;
udito per la parte civile ricorrente l’Avv. Emanuela Spinelli, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata;
udito per l’imputato l’Avv. Isabella Angelini, che ha concluso riportandosi alla
memoria in atti

Data Udienza: 04/06/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Il 10/05/2011, il Tribunale di Foggia riformava la sentenza di condanna
emessa dal Giudice di pace della stessa città 1’11/05/2010 nei confronti di
Bartolomeo Parente, ritenuto responsabile in primo grado del delitto di
diffamazione in danno di Carmine Belmonte, costituitosi parte civile.
Il giudice di appello riteneva di dover escludere la valenza offensiva delle
espressioni utilizzate dall’imputato in due scritti che aveva indirizzato a vari

“abusivo” in quanto privo dei requisiti necessari per venire assunto (come invece
accaduto) presso la suddetta azienda: ciò, in particolare, non avendo il
Belmonte, laureato in Economia e Commercio, il titolo di dottore commercialista.
Secondo il Tribunale, corrispondendo al vero che la parte civile non possedeva
quel titolo, e dovendosi inquadrare la vicenda nell’ambito di un prolungato
contenzioso fra dirigenti della ASL, non poteva dirsi ravvisabile nella fattispecie
concreta l’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.

2.

Avverso la sentenza del Tribunale propone ricorso il difensore /

procuratore speciale della parte civile Carmine Belmonte, deducendo due motivi.
2.1 Innanzi tutto il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, in quanto – al di
là delle specifiche parole o frasi analizzate dal giudice di appello – «ben possono
rivelarsi offensive anche le espressioni, apparentemente non diffamatorie, le
quali abbiano in realtà un contenuto allusivo, percepibile dal lettore medio, che le
rende tali». Perciò, la portata diffamatoria degli scritti richiamati in rubrica non
avrebbe dovuto essere valutata solo con riguardo all’aggettivo “abusivo”
ricordato in precedenza, bensì estesa all’intero contesto, dove il Belmonte, fra
l’altro, era descritto come artefice di una situazione paradossale e irregolare: a
riguardo, il ricorrente deduce che nell’incarico di consulenza esterna che egli
aveva ricevuto dalla ASL non vi era alcunché di irregolare, atteso che per un
consulente dell’ufficio controllo di gestione non era affatto richiesto il titolo di
dottore commercialista (mentre era senz’altro qualificante il master post-laurea
che la parte civile aveva conseguito con il massimo dei voti proprio in tema di
controlli di gestione)
2.2 Con il secondo motivo si deduce erronea applicazione della legge penale,
dal momento che per ritenere integrato il delitto ex art. 595 cod. pen. sarebbe
stato sufficiente far emergere la volontà del soggetto attivo di arrecare discredito
alla reputazione della persona offesa, anche con riguardo alla sua immagine
professionale. Ad avviso del ricorrente, le affermazioni con cui si addebita a

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dirigenti della ASL foggiana n. 3, scritti nei quali aveva definito il Belmonte un

taluno di essere “privo dei requisiti”, “abusivo”, un “altro comandante”, “laureato
da appena due anni” o soggetto che aveva “creato questa situazione paradossale
e irregolare” avrebbero dovuto intendersi indicative del proposito del Parente di
metterlo in cattiva luce «specificamente sotto l’aspetto della sua correttezza
professionale, anche e soprattutto alla luce del fatto che le missive oggetto di
contestazione venivano indirizzate all’interno dell’ambiente lavorativo del Dott.
Belmonte, affinché ne prendessero conoscenza i colleghi e i dirigenti».

In data 22/11/2011 risulta depositata una memoria difensiva

nell’interesse dell’imputato, con la quale si sollecita la declaratoria di
inammissibilità del ricorso della parte civile in quanto:
– l’impugnazione, investendo gli aspetti penali della pronuncia, deve intendersi
proposta ai sensi dell’art. 577 cod. proc. pen., norma tuttavia abrogata per
effetto della legge n. 46 del 2006;
– il gravame non può ritenersi avanzato in virtù del combinato disposto degli
artt. 21, 36 e 38 del d.lgs. n. 274 del 2000, mancando il presupposto iniziale
della citazione diretta ad opera della persona offesa;
– vengono trattati profili che investono il merito delle valutazioni operate dal
giudice di appello, e non invece i possibili vizi della motivazione in punto di
carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità;
– le questioni relative alla presunta, erronea applicazione dell’art. 595 cod. pen.
in relazione all’elemento soggettivo del reato appaiono fuorvianti rispetto alla
pronuncia assolutoria, intervenuta con la formula della insussistenza del fatto;
– non vengono formulate istanze di sorta in punto di effetti di natura risarcitoria
o spese processuali, con conseguente inammissibilità dell’impugnazione anche ai
fini civilistici.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso merita accoglimento.

2. Innanzi tutto, va ricordato che le Sezioni Unite di questa Corte hanno
recentemente risolto un contrasto giurisprudenziale concernente uno degli
aspetti segnalati nella memoria depositata nell’interesse del Parente, ma in
senso diverso rispetto alle tesi sostenute dalla difesa dell’imputato: si è infatti
affermato che «l’impugnazione della parte civile avverso la sentenza di
proscioglimento che non abbia accolto le sue conclusioni è ammissibile anche

3

3.

quando non contenga l’espressa indicazione che l’atto è proposto ai soli effetti
civili» (Cass., Sez. U, n. 6509 del 20/12/2012, Colucci, Rv 254130).
Nella motivazione di quest’ultima pronuncia si è rilevato che «la parte civile,
nonostante la modifica dell’art. 576 cod. proc. pen. ad opera della legge n. 46
del 2006, conserva il potere di impugnare le sentenze di proscioglimento, ed il
giudice dell’impugnazione ha, nei limiti del devoluto ed agli effetti della
devoluzione, il potere di affermare la responsabilità dell’imputato agli effetti civili
e di condannarlo al risarcimento o alle restituzioni […]. Ne consegue che la

può proporre impugnazione contro le sentenze di proscioglimento pronunziate
nel giudizio, ai soli effetti della responsabilità civile, deve essere intesa nel senso
che la parte civile può impugnare al fine di ottenere che il giudice effettui, in via
incidentale e ai soli fini civilistici, il giudizio di responsabilità. Ovviamente […] la
pronuncia su tali domande non può che restare legata (e subordinata)
all’accertamento (incidentale) della responsabilità penale. Tale effetto
devolutivo, tuttavia, non dipende dalle richieste della parte civile contenute
nell’atto di impugnazione, ma dalle richiamate disposizioni di cui agli artt. 538 e
576 cod. proc. pen.; la non necessità della formale enunciazione della
finalizzazione dell’atto di gravame agli effetti civili si fonda perciò sulla
superfluità di un tale elemento, dal momento che è lo stesso art. 576 cod. proc.
pen. a circoscrivere in tal modo l’impugnazione svolta dalla parte civile. Se,
infatti, la finalità del gravame in oggetto non può, per precisa volontà normativa,
fuoriuscire da tale ambito, il richiedere all’impugnante una tale specificazione si
risolverebbe, in definitiva, nel pretendere un adempimento non necessario».
Perciò, vero è che l’odierno ricorso non contiene alcuna specifica doglianza di
carattere civilistico, ma – stante l’attuale quadro di riferimento normativo, che
non consentirebbe comunque alla parte civile un’impugnazione agli effetti penali
– ciò non comporta l’irritualità del gravame, da intendersi giocoforza presentato
agli (unici) effetti consentiti dall’ordinamento.

3. Al di là della formula assolutoria adottata, la motivazione del giudice di
appello si rivela in effetti carente, essendo incentrata soltanto sull’epiteto di
“abusivo” che il Parente avrebbe riservato al Belmonte e rilevando che quella
espressione – alla luce della comprovata circostanza del non essere la parte
civile un dottore commercialista –

non poteva intendersi offensiva della

reputazione del soggetto passivo.

Non sembra tuttavia affrontato il tema

(opportunamente evidenziato nel ricorso, e risolto in termini negativi secondo
una ricostruzione certamente plausibile) di quali fossero i requisiti richiesti per il

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disposizione di cui all’art. 576 cod. proc. pen., secondo la quale la parte civile

conferimento dell’incarico di consulente esterno de quo, e se tra questi vi fosse
in effetti il possesso di quel titolo.
Inoltre, e soprattutto, il capo d’imputazione riporta una serie di affermazioni
contenute negli scritti del Parente, tali da far intendere che la portata
denigratoria delle lettere in questione andasse ben oltre la dedotta “abusività”
del Dott. Belmonte, del quale si voleva evidentemente contestare
l’atteggiamento da “altro comandante” che aveva manifestato nell’approcciarsi
all’ufficio: la parte civile era ivi descritta come un soggetto laureato da appena

vedersi revocato l’incarico avendo creato una situazione “paradossale ed
irregolare”, con espresso invito ai dirigenti in indirizzo di “mandarlo a casa, a
studiare ed a passare le nottate sui libri in modo da conseguire il titolo di dottore
commercialista ed in modo di non essere più considerato un abusivo a tutti gli
effetti di legge”.
In ordine a tutte le residue espressioni il Tribunale di Foggia non ha
formulato valutazioni di sorta, e dovranno pertanto essere oggetto di specifica
disamina (oltre al profilo di pertinenza della parola “abusivo” con riguardo ai titoli
richiesti per il richiamato incarico) in sede di giudizio di rinvio, da celebrarsi
dinanzi al competente giudice civile.

4. Il governo delle spese fra le parti private, anche in relazione alla notula
oggi depositata dalla parte civile, dovrà essere parimenti rimesso al giudice del
rinvio.

P. Q. M.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente agli effetti civili, con rinvio per
nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Spese al definitivo.

Così deciso il 04/06/2013.

due anni (e non è dato sapere se la circostanza fosse veritiera), che meritava di

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