Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1145 del 30/05/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 1145 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Tricorni Domenico, nato a Messina il 27/10/1969

avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Brescia l’11/04/2012

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Carmine Stabile, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di Domenico Tricomi ricorre avverso la pronuncia indicata in
epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa dal Tribunale di Brescia il
04/04/2011, nei confronti del suddetto. I fatti si riferiscono alla presunta falsità
di una dichiarazione resa dall’imputato all’ufficio anagrafe del comune di

Data Udienza: 30/05/2013

Palazzolo sull’Oglio, con la quale egli aveva rappresentato di avere
inavvertitamente distrutto la propria carta d’identità (della quale, invece,
avrebbe poi fatto uso, modificata nelle indicazioni del cognome e della data di
nascita).
Con il ricorso oggi in esame, il difensore lamenta:
1. inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 483 cod. pen.
Secondo la difesa dell’imputato, il reato de quo può dirsi configurabile non
già quando la dichiarazione asseritamente falsa intervenga in occasione di

potrebbe dirsi verificata nel caso di specie, atteso che una dichiarazione
sostitutiva ex artt. 46 e 47 del d.P.R. n. 445 del 2000 – come quella
sottoscritta dal Tricorni – risulta pur sempre un atto del privato, di cui il
soggetto pubblico è semplice destinatario. Va peraltro considerato che la
fattispecie concreta riguarda in realtà il lamentato deterioramento della
carta d’identità, che – a differenza di quanto previsto in caso di
smarrimento o furto – non prevede una formale denuncia a pubblico
ufficiale per il rilascio di un duplicato;
2. violazione dell’art. 603 cod. proc. pen., nonché mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza
impugnata
La difesa censura la decisione della Corte territoriale

– comunque

adottata senza esporne i motivi – di non dare corso alla rinnovazione
dibattimentale al fine di escutere la teste Germana Tonoli, che aveva
curato presso il comune di Palazzolo sull’Oglio la pratica concernente il
presunto rilascio del duplicato del documento del Tricorni: pratica
incardinatasi su richiesta di un soggetto che nessuno, a parte la suddetta,
sarebbe stato in grado di riconoscere nella persona dell’imputato.

Ergo,

vista la testimonianza di un sottufficiale dei Carabinieri limitatosi a
segnalare di avere effettuato un mero raffronto tra le fotografie apposte
sulle due carte d’identità, non vi sarebbe alcun elemento di certezza per
affermare che fu davvero l’odierno ricorrente a richiedere il duplicato de
quo;
3. inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 133 e 163 cod. pen.
Ad avviso del difensore del Tricorni, la negazione della sospensione
condizionale nei confronti dell’imputato sarebbe ingiustificata, avendo la
Corte di appello richiamato la sussistenza di precedenti ostativi che
avrebbero comunque consentito di concedere il beneficio: una delle
condanne pregresse riguardava infatti una semplice invasione di edifici,
mentre l’altra si riferiva ad un episodio successivo ai fatti qui contestati.

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un atto pubblico, ma nel corpo di un atto pubblico: situazione che non

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
1.1 Secondo le Sezioni Unite di questa Corte, «il delitto di falsità ideologica
commessa da privato in atto pubblico (art. 483 cod. pen.) è configurabile solo
nei casi in cui una specifica norma giuridica attribuisca all’atto la funzione di
provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale, così collegando l’efficacia

probatoria dell’atto medesimo al dovere del dichiarante di affermare il vero»
(Cass., Sez. U, n. 28 del 15/12/1999, Gabrielli, Rv 215413). Nel caso in
esame, la sanzione normativa appare immediatamente prevista dagli artt. 46 e
47 del d.P.R. n. 445 del 2000, in tema di dichiarazioni sostitutive di atto di
notorietà: e il valore pubblicistico dell’atto risultante dalla presentazione di una
dichiarazione di tal fatta deriva dalla natura del soggetto ricevente (pubblico
ufficiale, quale è senz’altro il funzionario preposto all’ufficio anagrafe di un
comune), in uno con il rilievo che alla dichiarazione de qua conseguono effetti
giuridici di portata immediata, vale a dire la possibilità del rilascio del duplicato
del documento.
Quella era, del resto, la finalità perseguita dal prevenuto, né potevano
esservene di differenti od ulteriori già sul piano logico, realizzandosi perciò pure in una vicenda dove si assumeva il semplice deterioramento del
documento, come sottolineato dal ricorrente – una situazione concreta del tutto
assimilabile a quella dell’avvenuto smarrimento. La stessa giurisprudenza di
legittimità ha avuto modo di affermare, dopo alcuni contrasti interpretativi, che
«integra il reato di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico (art.
483 cod. pen.) la falsa denuncia di smarrimento della patente di guida
presentata ai Carabinieri considerato che la stessa attestazione di ricezione della
denuncia è dichiarativa di attività svolta dal pubblico ufficiale e riveste efficacia
probatoria, costituendo presupposto necessario per attivare il procedimento
amministrativo di rilascio del duplicato della patente» (Cass., Sez. V, n. 7022 del
02/12/2010, Oliva, Rv 249832).
Nella motivazione di quest’ultima sentenza si ricordava peraltro che quella
conclusione doveva imporsi anche tenendo presenti le indicazioni della suddetta
pronuncia delle Sezioni Unite, giunte ad affermare il principio opposto con
riguardo ad un caso di falsa denuncia di smarrimento di assegni: veniva infatti
precisato che «la questione dalla falsa denuncia di smarrimento di un assegno
bancario […] pone delle problematiche in parte differenti. Infatti le Sezioni Unite
hanno sottolineato che la denuncia di smarrimento degli assegni non costituiva

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,

presupposto essenziale per la procedura di ammortamento, in quanto il r.d. 21
dicembre 1933, n. 1736, art. 69, contempla per tale procedura la denuncia al
trattario e, a seguito di ricorso all’Autorità giudiziaria, appositi accertamenti ad
opera della medesima relativi proprio alla verità dei fatti. Quindi le due
situazioni sono differenti perché certamente la denuncia di smarrimento della
patente di guida costituisce presupposto necessario per il rilascio del duplicato,
come si è già notato. E’ il caso di rilevare che, comunque, la soluzione adottata
dalla Sezioni Unite per il caso di smarrimento del blocchetto di assegni, non

patente di guida, non appare del tutto persuasiva non solo perché, come è stato
posto in evidenza in altre pronunce […] la denuncia di smarrimento costituisce
nei confronti della banca il dovere di non pagare gli assegni del blocchetto
smarrito, ma anche perché non sembra corretto affermare che la destinazione
dell’atto pubblico a provare la verità debba trovare la sua fonte necessariamente
in un atto normativo. Ciò, infatti, se si tiene conto della lettera della legge, non è
richiesto dal legislatore; appare, pertanto, sufficiente che la destinazione di cui si
è detto venga conferita all’atto proprio dalla libera scelta del cittadino, a
condizione che lo stesso riferisca fatti rilevanti e che tale attestazione sia
suscettibile di produrre effetti giuridici, tenuto conto del contesto normativo nel
quale si inserisce. Insomma il cittadino è libero di denunciare o meno lo
smarrimento della patente o del blocchetto di assegni, ma una volta che scelga
di presentare denuncia per precostituirsi una prova e cioè per garantirsi dalle
conseguenze, per lui negative, dello smarrimento, è tenuto a dichiarare la verità
proprio perché la denuncia di smarrimento produce effetti giuridici rilevanti».
Le argomentazioni ora riportate valgono senz’altro anche per la fattispecie
concreta oggi sub judice.

Non appare pertanto necessario disquisire sulla

possibilità che allo smarrimento od alla distruzione accidentale di una patente di
guida o di un assegno possano conseguire effetti giuridici diversi da quelli che si
verificano quando gli stessi accadimenti riguardino una carta d’identità, atteso
che fu la condotta effettivamente realizzata dal Tricomi a dimostrare che
attraverso la falsa dichiarazione a lui addebitata egli intendeva da un lato
ottenere il rilascio di un nuovo documento attestante la sua identità, e dall’altro
disporre liberamente di quello rimasto in suo possesso, per il raggiungimento di
altri obiettivi illeciti. Infatti, come emerge dalla motivazione della sentenza
impugnata, l’imputato intese avviare sotto falso nome attività imprenditoriali,
alterando le proprie generalità sulla “vecchia” carta d’identità, in realtà mai
andata distrutta o deteriorata.
1.2 II secondo motivo di ricorso risulta inammissibile, afferendo a profili di
merito in punto di ricostruzione dei fatti addebitati all’imputato, ed essendo

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trasferibile per le considerazioni svolte alla falsa denuncia di smarrimento della

manifestamente infondata la censura afferente la mancata rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale. La Corte di appello di Brescia ha infatti già
congruamente spiegato che non potevano esservi dubbi di sorta circa
l’identificazione del soggetto che si presentò presso il comune di Palazzolo
sull’Oglio richiedendo il duplicato della carta d’identità del Tricomi, in quanto:

l’imputato era comunque l’unico soggetto potenzialmente interessato a

presentare quella istanza;
– nessun elemento è stato addotto circa la eventuale possibilità che un terzo

– la persona che chiese il rilascio della nuova carta venne identificata a mezzo
della patente di guida (appunto, del Tricomi);
– la comparazione delle fotografie apposte sui due documenti porta a individuare
con certezza nelle persone ivi ritratte lo stesso individuo.
1.3 La mancata concessione della sospensione condizionale risulta
diffusamente motivata dalla Corte territoriale, anche a prescindere dalla rilevata
esistenza di precedenti penali: né risultano comunque condivisibili le doglianze
della difesa, atteso che – quand’anche uno dei reati già giudicati fosse o meno
da collocare in epoca posteriore a quello qui contestato – resterebbe
l’insuperabile dato ostativo che il Tricorni aveva già goduto più volte del beneficio
in parola.

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna dell’imputato al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 30/05/2013.

fosse entrato in possesso del documento che si assumeva deteriorato o distrutto;

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