Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1144 del 14/05/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 1144 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Sculati Luca, nato a Luino il 13/01/1971

avverso la sentenza emessa il 16/04/2012 dalla Corte di appello di Milano

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Edpardo Scardaccione, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avv. Mauro Rufini, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso, e l’annullamento della sentenza impugnata

RITENUTO IN FATTO

1. Il 16/04/2012, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza
pronunciata dal Tribunale di Varese in data 28/05/2008 nei confronti di Luca
Sculati; l’imputato era stato condannato ad anni 3 e mesi 6 di reclusione per fatti

Data Udienza: 14/05/2013

di bancarotta per distrazione e documentali correlati alla gestione della
Acquarium s.a.s., dichiarata fallita nel 2000 e di cui lo Sculati era stato socio
accomandatario.
La Corte territoriale si conformava all’orientamento giurisprudenziale
secondo cui le modifiche della disciplina del fallimento introdotte con il d.lgs. n. 5
del 2006, in particolare sulla possibilità o meno di assoggettare a procedura
concorsuale un piccolo imprenditore, non potevano dirsi incidenti
sull’integrazione del precetto penale; inoltre, osservava che era stato lo stesso

semplice prestanome di altri, come invece dedotto nella tesi difensiva
prospettata. La sistematicità delle condotte distrattive, con ordinativi di merci
costantemente non pagate ed il continuo cambiamento di sedi operative, doveva
giocoforza aver visto l’amministratore svolgere un ruolo attivo e consapevole;
analogamente era a dirsi per la riscontrata sottrazione o distruzione delle
scritture contabili, di cui il socio accomandatario aveva la diretta responsabilità.

2. L’imputato propone personalmente ricorso per Cassazione, deducendo
che:
– in ragione delle modifiche apportate alla normativa, e tenendo conto della
notevole risalenza nel tempo della dichiarazione di fallimento nel caso di specie,
la posizione dello Sculati avrebbe dovuto «essere vagliata con minore severità
[…], anche considerando la non elevata evidenza economica d’ammanco», senza
riconoscere alcun rilievo alla contumacia del medesimo ed al difetto di sua
assistenza legale in aula in occasione del processo di secondo grado;
– la motivazione della sentenza impugnata sarebbe carente in ordine alla
valutazione e quantificazione del presunto danno conseguente alla condotta del
prevenuto;
– avrebbero dovuto essere riconosciute allo Sculati le circostanze attenuanti
generiche, escluse invece sulla base di motivazioni insufficienti, mentre
l’aumento per la contestata aggravante – comunque da ritenere assorbita nel
fatto contestato – appare inadeguato per eccesso.

3. Con atto depositato il 24/04/2013, sono stati presentati dal difensore
dell’imputato motivi aggiunti di ricorso.
3.1 Con il primo, si deduce che i giudici di merito non avrebbero dato
rilevanza «alle obiettive condizioni caratteriali, mentali e scolastiche del
ricorrente», le cui dichiarazioni ammissive e confessorie «appaiono prive di
collocazione logica e di validità realistica», tanto da confermare la tesi difensiva
secondo cui egli doveva intendersi una “testa di legno”, meritevole di indulgenza.

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imputato, in alcuni scritti, ad affermare in sostanza di non essere stato un

3.2 II secondo motivo aggiunto riguarda la mancata prova dell’effettività
dello smarrimento delle scritture contabili della società fallita, asserito dallo
stesso Sculati che dichiarò di avere presentato denuncia a quel fine: ancora una
volta, dunque, manifestando di avere assunto un ruolo di prestanome, atteso
che si rese portavoce di altrui suggerimenti interessati.
3.3 Con il terzo dei motivi aggiunti, si rappresenta l’inverosimiglianza della
ricostruzione della stessa consistenza della società fallita, essendosi registrata
una molteplicità di insinuazioni tardive e di dubbia fondatezza, tali da portare il

una s.a.s. affidata alla gestione di un soggetto privo dei necessari requisiti.
3.4 II quarto e quinto profilo di doglianza si riferiscono alla omissione di
qualunque accertamento sull’esistenza di altri soggetti, i cui nomi risulterebbero
dal carteggio processuale, titolari di ben più significativi interessi
nell’amministrazione della società fallita: sul punto, non sarebbe stata escussa
l’unica testimone in grado di riferire circostanze utili.
3.5 Con il sesto motivo aggiunto si richiama nuovamente la circostanza che il
fallimento venne dichiarato nel 2000, con la conseguente necessità di tenere
conto delle modifiche normative succedutesi medio tempore.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve qualificarsi inammissibile, sotto svariati profili.
1.1 In punto di normativa applicabile al caso di specie, le censure del
ricorrente appaiono in primis del tutto generiche: il riferimento all’evoluzione
storica della disciplina non considera fra l’altro che alla modifica delle previsioni
in tema di diritto fallimentare il legislatore non ha mai inteso accompagnare, con
riguardo a condotte come quella qui contestata, alcuna revisione in me/ius delle
sanzioni penali. Manifestamente infondato è altresì il richiamo che la difesa
intende – forse, attesa l’estrema vaghezza degli argomenti sostenuti sia nel
ricorso che nei motivi aggiunti – operare alla non fallibilità della società già
facente capo allo Sculati ove ritenuta “piccola impresa”, alla luce delle novelle
intervenute nel 2006 e 2007: le Sezioni Unite di questa Corte hanno infatti
precisato che «il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di
bancarotta ex artt. 216 e seguenti r.d. 16 marzo 1942, n. 267, non può
sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo
dello stato di insolvenza dell’impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle
condizioni previste per la fallibilità dell’imprenditore, sicché le modifiche
apportate all’art. 1 r.d. n. 267 del 1942 dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal

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passivo ad ascendere a cifre enormi, non compatibili con la stessa struttura di

d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, non esercitano influenza ai sensi dell’art. 2
cod. pen. sui procedimenti penali in corso» (Cass., Sez. U, n. 19601 del
28/02/2008, Niccoli, Rv 239398).
1.2 Quanto alla contumacia dell’imputato, ed al rilievo che egli fosse assistito
soltanto da un difensore di ufficio in occasione del giudizio di secondo grado, non
si vede da dove il ricorrente tragga elementi per inferirne che tali circostanze
abbiano in qualche modo influito sull’esito del processo, in particolare sulla scelte
dei giudici di merito di irrogare o confermare una pena severa.

parte l’addebito di bancarotta documentale – che le distrazioni contestate
debbono intendersi riferite all’entità dello stato passivo, con tanto di
specificazione degli importi dei crediti privilegiati e chirografari: del resto, le
doglianze mosse nell’interesse dello Sculati si dimostrano ancora una volta
generiche se non addirittura inconferenti, riguardando financo la pratica degli
esercizi commerciali di gravare di ricarichi (per varie cause) i prezzi degli articoli
in vendita.
1.4 II ricorrente si chiede se il richiamo ad una «sistematica condotta di
merce ordinata, non pagata e poi fatta sparire» costituisca motivo valido per
negare le attenuanti generiche, ma la risposta è senz’altro affermativa, tenendo
conto che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art.

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cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal giudice con
motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non
sindacabile in sede di legittimità neppure quando difetti di uno specifico
apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse
dell’imputato (v. Cass., Sez. VI, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi). E’ stato
anche precisato che, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze
attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli
elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a
determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo
elemento attinente alla personalità del colpevole od all’entità del reato ed alle
modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (v. Cass., Sez.
II, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone).
Lo Sculati contesta quindi l’entità dell’aumento di pena disposto ex art. 219,
comma secondo, n. 1, legge fall., assumendo che la predetta aggravante
avrebbe potuto intendersi assorbita nell’imputazione, perché «direttamente
connessa». In ordine al quantum, va ricordato che la graduazione della pena anche quale conseguente alla comparazione fra circostanze di segno contrario rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita, così come
per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133

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1.3 In punto di valutazione del danno, è la stessa rubrica a evidenziare – a

cod. pen.; pacificamente insostenibile è l’ipotesi dell’assorbimento, atteso che la
norma di cui all’art. 219, comma secondo, n. 1 opera nei casi di c.d.
“continuazione fallimentare”, ergo proprio laddove ci si trovi in presenza di
pluralità di condotte.
1.5 Venendo ai temi proposti con i motivi aggiunti di ricorso, si è già
segnalato che l’impianto accusatorio si fonda su un danno comunque
esattamente contestato in rubrica (al di là di un possibile ridimensionamento in
fatto, in ipotesi emergente dall’istruttoria dibattimentale e tenendo conto di

dell’impresa de qua dal novero dei soggetti fallibili. Quanto alla ipotizzata
necessità di conferire maggior rilievo ai dati personologici dell’imputato, al
dedotto smarrimento delle scritture ed all’omissione di approfondimenti sul ruolo
di altri soggetti (anche alla luce delle dichiarazioni rese da un testimone che
sarebbe stato decisivo), si tratta di motivi del tutto eterogenei rispetto a quelli
sviluppati nel ricorso originario, mentre le Sezioni Unite di questa Corte
insegnano che «i “motivi nuovi” a sostegno dell’impugnazione, previsti tanto
nella disposizione di ordine generale contenuta nell’art. 585, quarto comma, cod.
proc. pen., quanto nelle norme concernenti il ricorso per cassazione in materia
cautelare (art. 311, quarto comma, cod. proc. pen.) ed il procedimento in
camera di consiglio nel giudizio di legittimità (art. 611, primo comma, cod. proc.
pen.), devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che
sono stati enunciati nell’originario atto di gravame ai sensi dell’art. 581, lett. a),
cod. proc. pen.» (sent n. 4683 del 25/02/1998, Bono, Rv 210259). In
applicazione del principio ora richiamato, pronunce successive vi hanno espresso
costante adesione, giungendo recentemente ad affermare che «in tema di ricorso
per cassazione, la presentazione di motivi nuovi è consentita entro i limiti in cui
essi investano capi o punti della decisione già enunciati nell’atto originario di
gravame, poiché la “novità” è riferita ai “motivi”, e quindi alle ragioni che
illustrano ed argomentano il gravame su singoli capi o punti della sentenza
impugnata, già censurati con il ricorso» (Cass., Sez. I, n. 40932 del 26/05/2011,
Califano, Rv 251482).
Esemplificando in relazione a questioni di carattere peculiare, si è fra l’altro
ritenuto che «costituiscono punti distinti della decisione, come tali suscettibili di
autonoma considerazione, la questione relativa all’adeguatezza del giudizio di
bilanciamento tra le circostanze, investita dall’appello originario, e quella
inerente alla configurabilità dell’aggravante dell’ingente quantità di sostanza
stupefacente ex art. 80, comma secondo, del d. P.R. n. 309/1990, oggetto del
motivo aggiunto proposto in sede di gravame» (Cass., Sez. VI, n. 73 del
21/09/2011, Aguì, Rv 251780); e che «al ricorrente in cassazione non è

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eventuali poste attive), e che non può rilevare la sopravvenuta esclusione

consentito, con i motivi nuovi di cui all’art. 611 cod. proc. pen., dedurre una
violazione di legge se era stato originariamente censurato solo il vizio di
motivazione» (Cass., Sez. V, n. 14991 del 12/01/2012, Strisciuglio, Rv 252320).
Peraltro, anche detti motivi non si sottraggono alla già evidenziata censura
di estrema genericità: a tacer d’altro, non viene specificato neppure chi
sarebbero, ed in base a quali elementi, i presunti amministratori di fatto della
società fallita, dei quali lo Sculati sarebbe stato mero prestanome, né risulta
menzionata con chiarezza «l’unica teste in grado di bene riferire, dire e chiarire

dipendente Maria Piera Bremmi, citata nel corpo della motivazione della sentenza
impugnata, è appena il caso di ricordare che costei fu autrice di una lettera in cui
si descrivevano più persone non identificate, probabilmente presentatesi con
nomi e indirizzi fasulli, che ruotavano attorno alla società in questione: persone
con le quali, a tutto voler concedere, l’imputato concorse nella realizzazione dei
delitti per cui ha riportato condanna.

2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna dello Sculati al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla
volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di C 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 14/05/2013.

al proposito». Qualora, ma il forse è ancora d’obbligo, l’inciso riguardasse la

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