Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11435 del 09/02/2017

Penale Sent. Sez. 4 Num. 11435 Anno 2017
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: CENCI DANIELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
A.A.
avverso la sentenza n. 2343/2016 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 01/07/2016
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/02/2017 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. DANIELE CENCI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.

Data Udienza: 09/02/2017

RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di appello di Bologna il 1° luglio 2016 ha integralmente
confermato la sentenza, appellata dall’imputato, con la quale il 10 novembre
2014 il Tribunale di Reggio Emilia aveva riconosciuto A.A. responsabile
del reato di guida in stato di ebrezza alcoolica (valore 0,96 grammi / litro),
provocando un incidente stradale, in tempo di notte, fatto contestato come
commesso il 18 marzo 2012.

La notte del 18 marzo 2012 una guardia giurata, Romeo Guida, avvisava i
Carabinieri di avere notato una Fiat Panda, uscita di strada, ferma in un fosso e
di avere visto allontanarsi frettolosamente una persona, che descriveva come un
ragazzo alto circa 170 centimetri, magro, vestito con dei jeans ed una giacca.
I militari circa alle ore 03,00 intervenivano sul posto, constatavano la
presenza dell’auto fuoristrada e di alcuni cartelli stradali abbattuti; dopo poco
interveniva una persona, la signora R.R., che affermava che l’auto era
di proprietà del padre B.B. ed in uso al figlio A.A.: al che, su
invito degli operanti, la donna si allontanava, raggiungeva casa, distante circa
ottocento metri, e tornava insieme al figlio, il cui abbigliamento peraltro
corrispondeva alla descrizione fornita dalla guardia giurata a proposito della
persona che si era allontanata.
A.A., che, secondo il teste dei C.C. Oaldo Tabellari, sentito dal
Tribunale, aveva gli occhi lucidi, era un po’ precario come stabilità ed aveva un
po’ l’alito vinoso, veniva sottoposto alle ore 3.47 ad una prima prova alcoolemica
con risultato 1,05 g/I e alle ore 4.10 ad una seconda con esito 0,96 g/I.
I giudici di merito hanno concordemente ritenuto provato, dunque: sia che
l’imputato avesse valore di alcool nel sangue in misura superiore al consentito;
sia che fosse proprio lui, e non altri, ad avere condotto nell’occasione la Fiat
Panda e ad avere causato l’incidente, abbattendo cartelli stradali e finendo con
l’auto dentro il fosso; sia che l’ebrezza fosse derivata dall’avere ingerito alcool
prima di mettersi alla guida e non già dopo avere terminato di guidare.

3. Ricorre tempestivamente per la cassazione della sentenza l’imputato,
tramite difensore, che deduce violazione di legge e difetto motivazionale.
3.1. Premette il ricorrente che risulta non controverso che il sinistro stradale
si sia verificato ad un’ora ignota e che nessuno vi abbia assistito, non avendo la
guardia giurata che ha chiamato i C.C. visto l’auto finire nel fosso ma soltanto
l’auto già ferma ed una persona, vagamente descritta, allontanarsi; sottolinea

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2.Dalle sentenze di merito si traggono le seguenti informazioni.

che non è possibile quantificare quanto tempo sia intercorso tra l’incidente e la
sottoposizione dell’imputato all’alcooltest (prima prova alle ore 3.47).
Ciò posto, denunzia violazione di legge in ragione della ritenuta
inutilizzabilità dell’esito del controllo, siccome posto in essere fuori da ogni
significativa relazione temporale e funzionale rispetto alla condotta addebitata
all’imputato, ritenendo di poter fare riferimento all’elaborazione giurisprudenziale
in tema di quasi flagranza di reato, da collegarsi strettamente alla diretta
percezione del fatto ad al costante inseguimento dell’autore, esclusa invece la
possibilità di ravvisare la situazione di evidenza qualificata allorché le ricerche

questo principio – osserva il ricorrente – al caso della guida in stato di ebbrezza
cui segua un sinistro stradale, ciò significa che deve stabilirsi una apprezzabile
connessione tra incidente stradale e condotta del conducente e che tra il primo
ed il materiale reperimento del secondo non vi sia soluzione di continuità,
richiamando al riguardo il precedente di legittimità di Sez. 6, n. 35594 del
16/06/2015 Morotti, Rv. 264665, secondo cui «Ai fini dell’accertamento del reato
di guida in stato di ebbrezza, è legittimo l’impiego dell’etilometro anche a
distanza di qualche ora dall’evento, alla duplice condizione che venga stabilita
un’apprezzabile connessione tra incidente stradale e condotta del conducente e
che non vi sia soluzione di continuità tra l’incidente ed il materiale reperimento
del soggetto da sottoporre ad esame».
Evidenziato che l’art. 186 d. Igs. 30 aprile 1992, n. 285, impone, seppure
implicitamente, una relazione diretta tra incidente stradale e condotta del
conducente e, dunque, tra incidente stradale e reperimento dell’agente, si
assume che nel caso di specie mancherebbe la possibilità di stabilire tale nesso,
non potendosi collocare temporalmente il sinistro.
Si evidenzia, inoltre, che non è possibile stabilire se la persona vista
allontanare dall’auto fosse il conducente ovvero un passante e che i Carabinieri,
nell’intimare all’odierno imputato di sottoporsi ad esame, avrebbero agito in
violazione di legge: la conseguente inutilizzabilità avrebbe dovuto condurre
all’assoluzione dell’imputato, non potendo fondarsi altra soluzione, una volta
esperita la prova di resistenza, sulla base dei sintomi colti dagli operanti, che, al
più, potrebbero condurre ad un giudizio di mera illiceità amministrativa ai sensi
dell’art. 186 comma 2, lett. a), d. Igs. n. 285 del 1992.
3.2. Censura, poi, il ricorrente violazione dell’art. 186 del d.lgs. n. 285 del
1992 e difetto motivazionale per manifesta illogicità, avendo i giudici di merito
desunto la circostanza che si fosse posto l’imputato, e non altra persona, alla
guida dalle seguenti due circostanze: a) avere la madre dichiarato che l’auto era

vengano avviate dopo avere raccolto informazioni da parte di terzi. Riportato

in uso al figlio; b) non aver negato lo stesso A.A., una volta convocato
nella caserma dei Carabinieri, di essere stato lui alla guida.
Ebbene, evidenzia al riguardo: che valorizzare la mancata negatoria equivale
a valorizzare

contra reum

compendiato nel brocardo

un mero contegno, in violazione del principio
nemo tenetur se detegere;

e che il contributo

conoscitivo della madre, di per sé, non sarebbe mai sufficiente ad affermare la
penale responsabilità dell’imputato, costituendo un mero indizio. Il «quadro di
insieme, secondo il Giudice di secondo grado, sarebbe rappresentato dal solo
fatto che alle 4 del mattino il A.A. si trovava in stato di ebbrezza, sebbene a

non solo ch’egli era alla guida dell’auto, ma anche che lo stato di ebbrezza era
tale mentre egli si trovava al volante […] non vi è alcun elemento […] che sia in
grado di sostenere il ragionamento logico del giudicante. Semplicemente, dato
che l’accusa ha fatto un’affermazione e – pur non avendola provata – l’imputato
non l’ha smentita la responsabilità è provata: il ragionamento logico – se così lo
si vuole definire – è tutto qui» (così alle pp. 7-8 del ricorso).
3.3. Con l’ultimo motivo si censura mancanza di motivazione sotto il profilo
della determinazione della pena, in quanto la Corte territoriale si sarebbe limitata
a richiamare genericamente l’art. 133 cod pen. e la mancanza di ogni forma di
resipiscenza da parte dell’autore, con mera formula di stile, senza specificare in
alcun modo da che cosa si deduca la ritenuta mancanza di resipiscenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non merita accoglimento, siccome infondato.
1.1.L’affermazione di penale responsabilità si fonda, a ben vedere, su di una
prova logica che resiste alle censure mosse dall’appellante: la disponibilità
dell’automobile da parte dell’imputato, secondo quanto riferito dalla madre,
anche tenuto conto che non è emerso che la vettura fosse stata quella notte
affidata ad altri; lo stato di ebbrezza, riscontrato sia attraverso la sintomatologia
classica che attraverso le prove alcoolemiche; la similitudine della persona
dell’imputato rispetto ai tratti caratterizzanti, anche quanto all’abbigliamento, la
sagoma vista allontanarsi dalla guardia giurata; la mancata emersione di
elementi che lascino intendere che A.A., peraltro chiamato dalla madre
mentre dormiva nell’abitazione non distante dal luogo di rinvenimento della
Panda, abbia bevuto dopo avere guidato e non già prima; l’assenza, in ultima
analisi, di elementi che inficino la riconducibilità proprio all’imputato del fatto.
Non si tratta di un’inversione dell’onere della prova, come lamentato nel
ricorso, ma di una lettura critica complessiva e non parcellizzata delle emergenze

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distanza di un numero non individuabile di ore dal sinistro: ciò dimostrerebbe

istruttorie: in tale contesto, hanno – non incongruamente – valorizzato i giudici
di merito anche la mancata allegazione di circostanze da parte dell’imputato
nell’immediatezza come ulteriore tassello in un più ampio quadro logico.
Non si ravvisano, pertanto, le violazioni di legge denunziate: in particolare,
nel concreto contesto dato, la richiesta di sottoposizione all’esame da parte della
polizia giudiziaria risulta effettuata in apprezzabile connessione, sia temporale
che funzionale, con l’evento – incidente stradale.
1.2.Quanto al trattamento sanzionatorio, i giudici di merito hanno indicato

ammenda rispetto ad una forbice edittale che va da cinque giorni a sei mesi di
arresto e da 800,00 a 3.200,00 euro di ammenda.
Ciò posto, il richiamo – da parte del Tribunale (ultima pagina della
sentenza) – all’art. 133 cod. pen. e – da parte della Corte territoriale (p. 4) congiuntamente sia all’art. 133 cod. pen. che alla mancanza di resipiscenza,
appaiono non dissonanti rispetto al costante insegnamento giurisprudenziale,
secondo cui «La determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale
rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in
cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo,
anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di
adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’art.
133 cod. pen.» (Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197; nello
sesso senso, cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv.
245596; Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).

2.Consegue alle considerazioni svolte il rigetto del ricorso e la condanna del
ricorrente, per legge, al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 09/02/2017.

Il Consigliere estensore
iel CencU.,

Il Presidelite
Vincenzo Romis

come pena base un mese e quindici giorni di arresto e 1.200,00 euro di

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