Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11421 del 08/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 11421 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: CERVADORO MIRELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
AMARI MOKHTAR N. IL 25/05/1977
LA TERRA GIUSEPPE N. IL 30/03/1962
avverso la sentenza n. 3601/2010 CORTE APPELLO di CATANIA, del
26/01/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MIRELLA CERVADORO
Udito il Procurato e Generale in persona del Dott.
che ha concluso pe

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 08/11/2013

Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, nella persona del
dr.Aurelio Galasso, il quale ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano
dichiarati inammissibili.

Udito il difensore d’ufficio di Amari Mokhtar avv.Rosaria Greco che ha
concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 20.5.2010, il Gup del Tribunale di Catania dichiarò, tra
gli altri, Amari Mokhtar responsabile del reato di cui all’art.73 del dpr
309/90 ascrittogli al capo T della rubrica e concesse le attenuanti generiche
equivalenti lo condannò alla pena di anni quattro e mesi quattro di
reclusione ed € 20.000,00 di multa, e La Terra Giuseppe responsabile del
reato di cui all’art.73 del dpr 309/90 ascrittogli al capo S della rubrica ed
escluso l’aumento per la recidiva e applicata la riduzione per il rito lo
condannò alla pena di anni quattro e mesi quattro di reclusione ed €
20.000,00 di multa.
Avverso tale pronunzia proposero gravame anche i predetti imputati, e
la Corte d’Appello di Catania, con sentenza del 26.1.2012, confermava la
decisione di primo grado nei confronti di La Terra, e ritenute le già concesse
attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante ed esclusa la
continuazione interna contestata a Amari Mokhtar riduceva la pena allo
stesso inflitta in anni due mesi otto di reclusione ed euro 12.000,00 di multa.
Ricorre per cassazione l’imputato La Terra Giuseppe, deducendo la
violazione dell’art.606 lett.b) ed e) c.p.p., per erronea applicazione di legge in

ii

relazione agli artt. 192 e 238 bis c.p.p. e 49 co.2 c.p., e per mancanza e

1

manifesta illogicità della motivazione. Il ricorrente risponde del reato di cui
al capo s) per avere in concorso con la moglie Spadaro Maria Lucia, nei
confronti della quale si è proceduto separatamente, ceduto sostanza
stupefacente del tipo cocaina a La Rocca Carmelo. All’udienza del 16.1.2012
la difesa del ricorrente produceva alla Corte d’Appello di Catania, che
l’acquisiva, la sentenza irrevocabile di assoluzione per non aver commesso il

data 7.7.2011, e quindi successivamente alla sentenza di condanna di primo
grado nei confronti di La Terra Giuseppe. Evidenzia quindi il ricorrente che,
il Tribunale di Ragusa ha assolto la Spadaro, in quanto non vi è la prova che
all’interno del marsupio che la stessa aveva consegnato a La Rocca Carmelo
su incarico del ricorrente vi fosse sostanza stupefacente del tipo cocaina.
Essendo inesistente l’oggetto del reato, la condanna del ricorrente è stata
emessa in violazione dell’art.49 co.2 c.p.p. Poiché la sentenza in questione,
acquisita ai sensi dell’art.238 bis c.p.p., è una delle fonti del convincimento
del giudice, palese è poi la manifesta illogicità della motivazione. Nel
pervenire alla paradossale dichiarazione di colpevolezza i Giudici
dell’appello hanno omesso di motivare sul percorso logico-argomentativo in
base al quale, pur a conoscenza delle motivazioni della sentenza assolutoria
della Spadaro, la Corte si era determinata ad interpretare le medesime
conversazioni telefoniche, unica prova a carico del ricorrente, in termini
allusivi in riferimento alla cocaina, con travisamento della prova. La Corte
territoriale si è poi spinta fino a coinvolgere nella vicenda Ferma Giovanni,
soggetto neppure indagato dalla Procura di Catania.
Ricorre per cassazione Amari Mokhtar, deducendo la violazione
dell’art.606 lett.b) ed e) c.p.p. per errata interpretazione della legge penale e
mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla
richiesta di indulto della pena. L’imputato ha fatto una sola consegna nel
dicembre 2005, e pertanto aveva il diritto di usufruire del beneficio
dell’indulto ex 1.241/2006.
Entrambi chiedono pertanto l’annullamento della sentenza.

fatto emessa nei confronti di Spadaro Maria Lucia dal Tribunale di Ragusa in

All’udienza del 9.4.2013, le posizioni di Amari Moktar e La Terra
Giuseppe – per questioni processuali concernenti l’istanza di rinvio per
legittimo impedimento del difensore d’ufficio di Amari Moktar, e vizio di
notifica nei confronti di La Terra – sono state stralciate come da

Motivi della decisione

1. Il ricorso di La Terra Giuseppe è infondato, e va rigettato.
1.1 Lamenta il ricorrente, con i vari motivi dedotti circa la violazione di
diverse disposizioni di legge e la contraddittorietà e illogicità della
motivazione in riferimento sia alla acquisita sentenza di assoluzione del
coniuge che al contenuto delle intercettazioni, che la Corte territoriale
sarebbe incorsa in un macroscopico travisamento della prova nella
interpretazione delle conversazioni intercettate, e ciò nonostante che dalla
sentenza acquisita emergesse chiaramente che il marsupio asseritamente
ceduto dalla Spadaro al marito non conteneva cocaina.
1.2 In materia di intercettazioni telefoniche, l’interpretazione del
linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto,
rimessa alla valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di
legittimità se motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di
esperienza; non è quindi prospettabile in questa sede una interpretazione del
significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di
merito, salvo che ricorra l’ipotesi del travisamento della prova, cioè si versi
nel caso in cui il giudice di merito indichi il contenuto di un atto in modo
difforme da quello reale (cfr. Sez.VI, Sent. n. 11794/2013 Rv. 254439;
Cass.Sez.II, Sent. n. 38915/2007 Rv. 237994).
1.3 Nel vigente ordinamento processuale non esiste alcuna disposizione
in ordine alla efficacia del giudicato, formatosi nell’ambito di altro
procedimento penale, a differenza di quanto avviene relativamente ai
rapporti fra processo penale e processo civile, amministrativo e disciplinare

provvedimento di cui al verbale di udienza.

L’art. 238 bis c.p.p., infatti, si limita a consentire l’acquisizione in
dibattimento di sentenze divenute irrevocabili, ma dispone che esse siano
valutate a norma degli artt. 187 c.p.p. e 192 c.p.p., comma 3, “ai fini della
prova del fatto in esse accertato”. L’acquisizione agli atti del procedimento,
alla stregua di quanto previsto dall’art. 238 bis c.p.p., di sentenze divenute
irrevocabili non comporta, quindi, per il giudice di detto procedimento,

fatti ne’, tanto meno, dei giudizi di fatto contenuti nei passaggi argomentativi
della motivazione delle suddette sentenze (v.Cass.Sez.I, Sent. n. 11488/2010
Rv. 246778; Sez.VI, Sent. n. 47314/2009 Rv. 245483).
Rammenta poi il Collegio che al giudice di legittimità non compete la
“verifica di resistenza” o di “indifferenza” della decisione di responsabilità nei
confronti di un imputato (nel caso di specie, La Terra Giuseppe, giudicato in
primo grado a seguito di rito abbreviato), a fronte dell’assoluzione di altro
imputato (nel caso di specie, del coniuge Spadaro Maria Lucia) dalla
medesima imputazione, dichiarata in diverso procedimento (nel caso di
specie, a seguito di giudizio ordinario).
1.4 Nella fattispecie, non sono controverse le espressioni linguistiche di
cui alle conversazioni intercettate, bensì il significato delle stesse,
privilegiando il ricorrente la lettura data alle conversazioni del gennaio 2005
dal Tribunale di Ragusa e in particolare la dichiarata impossibilità da parte
del Tribunale medesimo di individuare con certezza la natura del bene
ceduto, e indicato con il termine “olio”.
Tanto premesso, appare evidente come il ricorso, lungi dal proporre un
“travisamento delle prove”, vale a dire una incompatibilità tra l’apparato
motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del
procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione,
è stato presentato per sostenere, in pratica, un’ipotesi di “travisamento dei
fatti” oggetto di analisi, rispetto al quale è stata proposta dalla difesa una
spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale,
invocando a sostegno di tale spiegazione la lettura che delle conversazioni
intercettate nel gennaio 2005 ha dato la sentenza di assoluzione nei confronti

alcun automatismo nel recepimento e nell’utilizzazione a fini decisori dei

della Spadaro, e assumendo quindi che “il fatto storico accertato” nella
sentenza prodotta è “l’attestazione irrevocabile che l’episodio di spaccio
contestato all’imputato (e alla moglie) non è mai avvenuto”. Tale assunto è
chiaramente erroneo, in quanto l’attestazione irrevocabile della sentenza
riguarda unicamente l’assoluzione della Spadaro dall’imputazione ascritta
per non aver commesso il fatto, in considerazione dell’impossibilità per il

bene consegnato a La Rocca dalla Spadaro nel gennaio 2005″. L’impossibilità
di determinare con certezza la natura del bene contenuto nel marsupio
consegnato a La Rocca Carmelo è poi un giudizio di fatto, e non un fatto
accertato in sentenza.
1.5 La Corte territoriale, esaminando in modo analitico (dalla n.473 del
10.1.2005 alla n.4687 del 14.4.2005, v.pagg.260-263 della sentenza impugnata)
il contenuto delle plurime conversazioni telefoniche intercettate, ha
ricostruito le vicende e la natura degli affari trattati dall’imputato con tale La
Rocca Carmelo recatosi a Milano nel gennaio 2005 per ritirare qualcosa,
indicata nelle conversazioni con il termine criptico “olio”, che – per i giudici
di merito – quindi “non poteva essere il reale oggetto delle transazioni
intercorse tra i due soggetti” bensì sostanza stupefacente del tipo cocaina “in
ragione del fatto (a) che l’olio non può essere custodito in un marsupio
(ved.conv.10.1.2005 ore 18.17, prog.n.473); (b) che non si giustificano i viaggi
effettuati da La Rocca a Milano per la consegna di olio né le preoccupazioni
esternate dall’imputato a La Rocca per le minacce da lui ricevute a Vittoria da
soggetti del luogo” che gli avevano creato problemi nella fornitura della
droga, problemi che “evidentemente lo stesso imputato tentava di risolvere,
tramite la mediazione di La Rocca” (v.pagg.263-264).
La Rocca Carmelo, detto “Carmelo il meccanico” (sottoposto ad
indagini nel medesimo procedimento, e condannato con giudizio ordinario
dal Tribunale di Ragusa con la sentenza del 7.7.2011, per aver promosso ed
organizzato attività di spaccio di sostanze stupefacenti), interlocutore
dell’imputato in svariate telefonate (tra cui una nella quale il La Terra lo
invitava a raggiungerlo nuovamente a Milano per prendere ulteriori

Tribunale di “individuare, aldilà di ogni ragionevole dubbio, la natura del

quantitativi di “olio”), è promotore e organizzatore unitamente a Giudice
Giovanni del sodalizio dedito al traffico illecito di droga, operante in Vittoria
e di cui al capo n) della rubrica nel presente procedimento ( indicato come
capo d) nel procedimento stralciato, definito in primo grado con la sentenza
in questione). Sul suo conto, hanno reso articolate dichiarazioni Alesci
Giuseppe, Amadio Diego e Di Natale Rosario, e la Corte territoriale ha
evidenziato, a riguardo, che “l’oggetto (il traffico illecito di droga) nei

discorsi avuti dagli imputati è emerso in modo sostanzialmente esplicito da
alcune captazioni avvenute in modalità ambientale. Alla luce dei riscontri, si
è evidenziato che appaiono corretti i criteri utilizzati per l’interpretazione
delle numerosissime conversazioni intercettate a carico degli imputati,
benché in esse si faccia largo uso di un linguaggio allusivo o criptico, spesso
mutuato dai settori di attività lecite nei quali molti dei ricorrenti erano
comunque impegnati (“pomodorini”, “ducotone”, “macchina” ecc.)
(v.pagg.28-29, 121 e ss. della sentenza impugnata). Anche Ferma Giovanni (in
riferimento al quale il ricorrente censura il “coinvolgimento” illogicamente
asserito dalla Corte d’Appello nella vicenda di cui al capo s), non essendo
persona indagata nel procedimento), è persona della quale si fa menzione in
altri passi della sentenza e certamente “coinvolta” nelle indicate attività
criminose, tanto è vero che Pavone Giuseppe, dialogando con lo stesso La
Rocca Carmelo di carichi di sostanza stupefacente in Calabria e di “taglio”
della cocaina (conversazioni a seguito delle quali è stata monitorata in diretta
la cessione di una consistente quantità di stupefacente), commentava proprio
la situazione debitoria di Ferma Giovanni, manifestando nei suoi confronti
l’intenzione di ucciderlo se il debito non fosse stato saldato (v.pag.205 della
sentenza impugnata). Stante il contenuto delle conversazioni intercettate tra
il ricorrente e il Ferma, e aventi ad oggetto un pagamento tramite assegno da
intestarsi alla moglie o alla madre dell’imputato, il riferimento in sentenza
circa il “coinvolgimento” del Ferma nell’affare tra il La Terra e La Rocca non
sembra quindi illogico né stravagante.
Stante l’ampio quadro probatorio illustrato diffusamente in sentenza, e
tutte le emergenze processuali di cui ad entrambe le sentenze di merito in
6

ordine all’associazione facente capo a La Rocca Carmelo e Giudice Giovanni,
contesto nel quale si colloca l’episodio criminoso in questione, i giudici
d’appello, con motivazione congrua ed esente da evidenti vizi logici, hanno
affermato che l’intervenuta sentenza di assoluzione della moglie, imputata di
concorso nello stesso reato, non era elemento dimostrativo dell’innocenza
dell’imputato La Terra.
La Corte territoriale è quindi pervenuta alla conferma della penale

responsabilità del ricorrente, tramite una coerente ricostruzione dei fatti e
una corretta valutazione dei dati probatori, che non consente a questa Corte
di legittimità di procedere ad una diversa lettura dei dati processuali, e
quindi ad una diversa interpretazione del contenuto delle conversazioni
intercettate. Né le censure articolate in ricorso sono tali da poter in qualche
modo inficiare le logiche conclusioni cui è pervenuta la Corte d’Appello di
Catania.
2. Nel ricorso dallo stesso proposto, Amari Mokhtar si limita a
lamentare l’omessa concessione dell’indulto come richiesto dalla difesa, e
senza motivazione alcuna.
A riguardo è sufficiente osservare che la sede propria per l’applicazione
del richiesto beneficio è quella dell’esecuzione, e che il ricorso per cassazione
avverso la mancata applicazione dell’indulto è ammissibile solo qualora il
giudice di merito abbia esplicitamente escluso detta applicazione, mentre nel
caso in cui – come nella fattispecie – abbia omesso di pronunciarsi deve essere
adito il giudice dell’esecuzione (v., da ultimo, Cass.Sez.V, sent. n. 43262/2009
Rv. 245106; Sez.III, sent. n. 25135/ 2009 Rv. 243907).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
rigetta il ricorso, l’imputato La Terra Giuseppe deve essere condannato al
pagamento delle spese del procedimento; ai sensi della medesima
disposizione di legge, con il provvedimento che dichiara inammissibile il
ricorso, l’imputato Amari Mokhtar deve essere invece condannato al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di
colpa (v.Corte Cost. sent.n.186/ 2000), nella determinazione della causa di
7

inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di Amari Mokhtar che condanna al

delle ammende. Rigetta il ricorso di La Terra Giuseppe che condanna al
pagamento delle spese processuali.
Così

iberato, il 8.11.2013.

pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa

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