Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1141 del 14/05/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 1141 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Salvi Riccardo, nato ad Altopascio il 05/05/1962

avverso la sentenza emessa il 13/04/2012 dalla Corte di appello di Firenze

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
EdUardo Scardaccione, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1, Il 13/04/2012, la Corte di appello di Firenze riformava parzialmente la
sentenza pronunciata dal G.u.p. del Tribunale di Pistoia in data 21/09/2010 nei
confronti di Riccardo Salvi; l’imputato, all’esito di giudizio abbreviato, era stato
condannato in primo grado ad anni 2 e mesi 2 di reclusione per fatti di

Data Udienza: 14/05/2013

bancarotta per distrazione correlati alla gestione della Ansafeltri s.r.I., dichiarata
fallita nel 2009 e di cui il Salvi era stato amministratore unico, mentre si vedeva
ridurre la pena in appello per effetto della concessione di attenuanti generiche
prevalenti sulla contestata aggravante ex art. 219 legge fall., pena che veniva
rideterminata in anni 1 e mesi 6 di reclusione, con il beneficio della sospensione
condizionale.
La Corte territoriale, sul principale addebito concernente la presunta
distrazione di somme della Ansafeltri s.r.l. a seguito dell’acquisto (da una ditta

produzione tessile a prezzo esorbitante ed in un momento in cui la società poi
fallita già versava in gravi difficoltà, richiamava gli elaborati tecnici relativi alla
stima del valore del suddetto macchinario e soprattutto le indicazioni offerte dal
curatore fallimentare, secondo cui «la Ansafeltri s.r.l. si limitava a gestire le
vendite commerciali dei materiali prodotti dal Salvi come ditta individuale e non
necessitava, a tale scopo, della linea di produzione se non per effetto di un
investimento, a quel momento e in quello stato di palese crisi economica […],
inutile e dannoso per la massa dei creditori». Pertanto, si trattava di una vendita
realizzata – senza neppure lo spostamento fisico del macchinario in questione solo per «dare copertura postuma a pregressi prelievi abusivamente svolti in
proprio dal Salvi dai conti della società, facendole acquistare formalmente ciò di
cui non aveva bisogno».

2. Propone ricorso per Cassazione, articolato in un motivo unico, il difensore
dell’imputato.
Il ricorrente lamenta inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 216 e
223 legge fall., nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione della sentenza impugnata, osservando che in ogni caso non avrebbe
potuto ritenersi provato il dato essenziale della non congruità del prezzo fissato
per la compravendita dell’impianto, elemento evidenziato in rubrica a sostegno
dell’ipotesi distrattiva. Ciò perché la consulenza tecnica curata nel corso delle
indagini preliminari, poi superata da un elaborato di parte, aveva accertato il
presunto valore del macchinario non già al momento dell’operazione
commerciale, bensì all’epoca attuale, dovendo così tenere conto anche del
deprezzamento conseguente alla procedura concorsuale e delle prospettive di
vendita del bene da parte della curatela.
A riscontro dell’assunto, la difesa segnala che il macchinario era stato, prima
della cessione, già stimato da una società terza per valori non dissimili da quelli
per cui intervenne la vendita; si tratterebbe poi di un bene ancora oggi

2

individuale facente capo allo stesso Salvi) di un macchinario per una linea di

perfettamente funzionante ed oggetto di fruttuosa locazione da parte della
procedura, sì da non determinare alcun danno per i creditori.
La difesa si duole altresì della differente impostazione accusatoria fatta
propria dalla Corte territoriale, rispetto ai limiti della contestazione fondati
appunto sulla presunta eccessività del prezzo della compravendita: ritenere
infatti che la natura distrattiva dell’operazione deriverebbe dalle finalità avute di
mira dal Salvi nelle sue scelte imprenditoriali, volendo egli occultare precedenti
prelievi indebiti di risorse, sarebbe da un lato comunque non provato e dall’altro

della difesa.
Sull’ulteriore episodio di bancarotta che deriverebbe dall’avere il Salvi
percepito compensi non autorizzati per l’attività di amministratore, falsificando
altresì un verbale di assemblea, il ricorrente obietta che nel corso delle indagini
preliminari non è comunque emerso l’autore della dedotta falsificazione, relativa
ad un verbale contenente in ogni caso delle erroneità: il compenso ivi risultante
non fu poi corretto da 6.000,00 in 148.000,00 euro annui, come parrebbe
ritenere la Corte territoriale, bensì modificato da 48.000,00 (importo già
aggiornato, quanto alle spettanze dell’amministratore) a 148.000,00 euro. In
ogni caso, sarebbe in tali ipotesi ravvisabile la meno grave fattispecie di
bancarotta preferenziale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
1.1 Quanto al valore effettivo del bene per il cui acquisto vennero impiegate
le somme oggetto della contestata distrazione, si tratta all’evidenza di una
quaestio facti, non suscettibile di rivalutazione in sede di legittimità; è peraltro
opportuno evidenziare che la reale finalità dell’operazione venne sostanzialmente
ammessa dal Salvi nel rendere dichiarazioni al curatore, come ricordato a pag. 3
della sentenza impugnata. Va segnalato a riguardo che «le dichiarazioni rese
dal fallito al curatore non sono soggette alla disciplina di cui all’art. 63, comma
secondo, cod. proc. pen., che prevede la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese
all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria, in quanto il curatore non rientra in
queste categorie e la sua attività non è riconducibile alla previsione di cui all’art.
220 norme di coord. cod. proc. pen. che concerne le attività ispettive e di
vigilanza» (Cass., Sez. V, n. 13285 del 18/01/2013, Pastorello, Rv 255062).
1.2 Non si rileva alcuna immutazione del fatto nell’avere la Corte territoriale
evocato verosimili prelievi indebiti pregressi, da parte del Salvi: è infatti evidente

3

comporterebbe una sostanziale immutazione del fatto, con violazione dei diritti

come i giudici di secondo grado non abbiano in tal modo addebitato all’imputato
fatti ulteriori, ma soltanto paventato un ragionevole movente dell’operazione di
acquisto del macchinario descritto in rubrica, certamente priva di giustificazione
economica.
1.3 Infine, in ordine ai compensi percepiti, il capo d’imputazione – e la
stessa motivazione della sentenza impugnata – non dà luogo ad equivoci: le
spettanze dell’amministratore erano pari a 48.000,00 euro annui, mentre il
verbale di assemblea ivi richiamato indica un importo di 148.000,00 euro. Del

soggetti determinati della mano di chi apportò le correzioni (visto che l’unica
persona interessata a quella alterazione era il Salvi) o sulla circostanza che l’atto
conteneva altri errori (tuttavia, non certo assimilabili ad una correzione ad hoc di
quella cifra, financo nella trasposizione in lettere).
A proposito del reato effettivamente configurabile, la giurisprudenza di
questa Corte ha più volte affermato che «integra il delitto di bancarotta
fraudolenta per distrazione, e non quello di bancarotta preferenziale, la condotta
dell’amministratore (o del liquidatore) che si appropria di somme di denaro per
compensare dei crediti vantati nei confronti della società dichiarata fallita»
(Cass., Sez. VI, n. 17616 del 27/03/2008, Pizza, Rv 240069). Si è altresì
precisato che «l’amministratore che si ripaghi di un proprio credito verso la
società risponde del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e non di
bancarotta preferenziale, non potendo scindersi la sua qualità di creditore da
quella di amministratore, come tale vincolato alla società dall’obbligo di fedeltà e
da quello della tutela degli interessi sociali nei confronti dei terzi» (Cass., Sez. V,
n. 25292 del 30/05/2012, Massocchi, Rv 253001).
La soluzione meno rigorosa è stata adottata in presenza di un
amministratore che, ripagandosi dei propri crediti verso la società in dissesto
relativamente a compensi per l’attività prestata, si fosse reso autore di prelievi di
una somma congrua rispetto a detto lavoro (v. Cass., Sez. V, n. 21570 del
16/04/2010, Di Carlo, Rv 247964): congruità nel caso di specie
macroscopicamente esclusa, trattandosi di un importo non solo risultante da un
falso, ma addirittura tre volte superiore al dovuto.

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del Salvi al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità.

P. Q. M.

4

tutto inconsistenti appaiono le censure della difesa sulla incerta riconducibilità a

Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 14/05/2013.

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