Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11400 del 09/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11400 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: MARINI LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da

BASILE Daniele, nato a Taranto il 20/10/1989
avverso l’ordinanza del 12/7/2013 del Tribunale di Lecce, che quale giudice del
riesame ha confermato l’ordinanza del 12/6/2013 con cui il Giudice delle indagini
preliminari del Tribunale di Lecce ha applicato al ricorrente la misura della
custodia in carcere in relazione al reato ex art.74 del d.P.R. 9 ottobre 1990,
n.309 e a plurimi reati ex art.73 della medesima legge;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Angelo
Di Popolo, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 12/7/2013 il Tribunale di Lecce, quale giudice del
riesame, ha confermato l’ordinanza del 12/6/2013 con cui il Giudice delle
indagini preliminari del Tribunale di Lecce ha applicato al ricorrente la misura
della custodia in carcere in relazione al reato ex art.74 del d.P.R. 9 ottobre 1990,
n.309 e a plurimi reati ex art.73 della medesima legge.
Osserva in motivazione il Tribunale, quanto alla gravità del quadro
indiziario, che la complessa attività d’indagine oggetto dell’esame del Giudice

Data Udienza: 09/01/2014

delle indagini preliminari e posta a fondamento delle misure cautelari emesse a
carico degli associati è stata efficacemente sintetizzata nell’ambito della
motivazione dell’ampia ordinanza cautelare, che ha affrontato i presupposti sia
del reato associativo sia delle numerosissime collegate condotte di detenzione e
cessione della sostanza stupefacente (in particolare cocaina e hashish). In tale
contesto l’ordinanza del Tribunale del riesame, ricapitolate le ragioni a sostegno
della esistenza del reato associativo (pagg.3 e 4), esamina (pagine da 4 a 8) la
posizione dell’odierno ricorrente, cui sono mosse anche specifiche contestazioni

talvolta da lui stesso trasportate e consegnate ai complici incaricati delle cessioni
(v. capi Ae, Af, Ag e successivi).
Quanto alle esigenze cautelari (pagine 9 e 10), il Tribunale esamina il
contesto ambientale e familiare di complicità entro il quale il ricorrente,
incensurato, trova una propria collocazione funzionale e da questa realtà fa
derivare la impossibilità di considerare la custodia domiciliare come cautela utile
e percorribile, così giustificando la necessità di confermare la misura della
custodia in carcere applicata dal Giudice delle indagini preliminari.
2.

Avverso tale decisione il sig. Basile propone ricorso, in sintesi

lamentando:
a.

Vizio di motivazione ai sensi dell’art.606, lette) cod. proc. pen. con riguardo
alla contestazione ex art.74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, difettando
elementi di fatto che giustifichino l’adesione al sodalizio criminoso; in
particolare, l’esito negativo della perquisizione domiciliare in relazione
all’episodio di cui al capo Aj e il contenuto assolutamente privato delle
conversazioni intercettate costituiscono elementi che denotano la marginalità
della posizione del ricorrente e la sua eventuale responsabilità per i soli fatti
ex art.73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309;

b.

Insussistenza delle esigenze cautelari ex art.274 cod. proc. pen. Osserva sul
punto il ricorrente che non solo il decorso di due anni dai fatti costituisce
elemento che si oppone al giudizio di attualità della cautela e che richiede
(Sez. Un., sentenza n.40538 del 24/9/2009, Lattanzi) una motivazione
particolarmente stringente, nel caso in esame mancante, ma il Tribunale non
ha chiarito per quali ragioni il ricorrente non sia meritevole della sola custodia
domiciliare, misura invece concessa ad altri indagati rivestenti ruoli simili o
addirittura più gravati da contestazioni (Faraone, Pizzolante). Risultano così
violati i principi di proporzionalità e adeguatezza che devono presiedere sia al
momento dell’emissione della misura sia nel corso dell’esecuzione della
stessa (Sez. Un., n.16085 del 31/3/2011, P.M. in proc.Khali1).

2

di ricezione, detenzione e confezionamento delle sostanze stupefacenti, sostanze

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

La Corte ritiene che l’esame del ricorso debba prendere le mosse dalle

valutazioni contenute nell’ordinanza impugnata con riferimento al reato ex art.74
del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309. Non vi è dubbio, infatti, che in presenza di
gravi indizi di esistenza dell’associazione criminosa e della partecipazione del
ricorrente il quadro di fatto complessivo e le esigenze cautelari assumano
connotazioni diverse e specifiche rispetto all’ipotesi che gli illeciti siano limitati
alla violazione dell’art.73 della medesima legge.

mosse dal ricorrente. La motivazione individua con chiarezza i profili essenziali
della associazione criminosa, caratterizzata nel caso in esame da un marcato e
finanche esasperato controllo del territorio ove avevano luogo le attività di
sistematica cessione di sostanze stupefacenti; caratterizzata, poi, da una
riscontrata ripartizione dei ruoli tra i partecipi del sodalizio e da attività di
detenzione e cessione coordinate.
Si tratta di circostanze di fatto e di condotte che correttamente sul piano
ermeneutico il Tribunale ha ricondotto all’ipotesi di reato ex art.74 del d.P.R. 9
ottobre 1990, n.309, travalicando le stesse i confini del concorso di persone nel
rato continuato e apparendo riconducibili a un più vasto e stabile progetto
criminoso.
2.

In tale contesto il Tribunale ha ritenuto sussistere gravi indizi di

partecipazione dell’odierno ricorrente, attesa la pluralità di condotte tenute da lui
tenute e documentate anche mediante attività di videoripresa. Si tratta di
condotte che il Tribunale fissa in modo puntuale alle pagine 5-7 dell’ordinanza e
che non trovano smentita, a pare della Corte, nella circostanza che
l’accertamento della polizia giudiziaria citato dal ricorrente non dette esito
positivo, posto che, come emerge dalla dettagliata esposizione del Tribunale,
l’intervento fu ostacolato fisicamente da più persone che ritardarono l’accesso
(pag.9 dell’ordinanza) e dal momento che la sostanza veniva occultata anche in
luoghi diversi (cfr. la prima parte di pag.6 e il secondo capoverso di pag.8).
3.

Quanto alla sussistenza di esigenze cautelari, il Tribunale ha non

illogicamente desunto l’attualità delle stesse sia dalle modalità della condotta del
ricorrente sia dal suo pieno inserimento nel contesto criminoso che vedeva come
protagonisti più persone del suo ambito familiare, così come indicato a pagg.9 e
10 dell’ordinanza. Tali elementi hanno condotto a ritenere che il ricorrente, per
quanto incensurato, possa commettere nuove condotte illegali e che la misura
applicabile non possa essere gradata mediante il ricorso alla custodia domiciliare.
Si tratta di valutazione che la Corte considera attinente agli elementi acquisiti e
non manifestamente illogica; né, del resto, il ricorrente ha prospettato soluzioni

3

Sul punto l’ordinanza non appare meritevole delle censure che sono state

che consentissero al Tribunale di eventualmente applicare la meno grave misura
custodiale in diverso e idoneo luogo.
4. Alla luce delle considerazioni fin qui esposte il ricorso deve essere
respinto e il ricorrente condannato, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento
delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Direttore dell’Istituto Penitenziario competente perché provveda a quanto
stabilito dall’art.94, comma 1-ter delle norme di attuazione al Codice di
procedura penale.
Così deciso il 9/1/2014

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al

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