Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1140 del 14/05/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 1140 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
Corrado Andrea, nato a San Vito al Tagliamento il 05/12/1967
avverso la sentenza emessa il 23/05/2012 dalla Corte di appello di Venezia
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Edoardo Scardaccione, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso;
udito per il ricorrente l’Avv. Emanuele Maria Forner, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso, e l’annullamento della sentenza impugnata

RITENUTO IN FATTO
Il difensore di Andrea Corrado ricorre avverso la sentenza emessa il
23/05/2012 dalla Corte di appello di Venezia nei confronti del suo assistito,
recante, in parziale riforma della sentenza di condanna pronunciata in primo
grado dal Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Portogruaro, la declaratoria
di estinzione dei reati contestati (lesioni personali, violenza privata e minaccia, in

Data Udienza: 14/05/2013

danno di Daniele Corrado) per sopravvenuta prescrizione, con la conferma delle
statuizioni civili. I fatti si riferiscono ad una presunta aggressione che l’imputato
avrebbe posto in essere il 28/07/2000 in pregiudizio del proprio cugino:
trovandosi in compagnia della moglie, nel recente passato vittima di vari soprusi
e violenze da parte di Daniele Corrado, il prevenuto aveva appunto incontrato
quest’ultimo, e – stando alla versione della persona offesa, ritenuta attendibile
dai giudici di merito – lo aveva sbattuto contro un guard-rail provocandogli la
frattura di un ginocchio, quindi lo aveva apostrofato con minacce di morte e lo

Guardia di Finanza.
Con l’odierno ricorso, premessa una ricostruzione dei fatti salienti del
procedimento a partire dalla presentazione della querela per giungere alle varie
deposizioni intervenute in sede dibattimentale e quindi al contenuto delle
sentenze del Tribunale e della Corte di appello, si deduce carenza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della pronuncia
impugnata, nonché omessa assunzione di una prova decisiva. La difesa aveva
infatti richiesto, ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., la parziale rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale, sollecitando l’escussione della responsabile del
Ser.T. di Portogruaro e di una amica del querelante affinché chiarissero se – il
giorno della ipotizzata aggressione subita ad opera del cugino – Daniele Corrado
avesse o meno assunto farmaci ed alcolici, e dunque dovesse ritenersi verosimile
che egli fosse caduto dal ciclomotore (anche a causa della pioggia insistente)
riportando le lesioni documentate, come da sempre sostenuto da Andrea Corrado
e senza dunque alcuno spintone di quest’ultimo. L’incontro fra i due
protagonisti della vicenda sarebbe infatti avvenuto lungo un tratto di strada, con
la presunta vittima che – stando alla sua versione – aveva incrociato l’auto
condotta dall’imputato mentre egli viaggiava a bordo di un mezzo a due ruote:
tesi che secondo la difesa non sarebbe verosimile, visto che difficilmente avrebbe
potuto riconoscere gli occupanti della vettura ed essere a sua volta riconosciuto,
indossando il casco e considerando le cattive condizioni atmosferiche, lasciando
poi inspiegabile il motivo dell’accompagnamento presso un ufficio di polizia
giudiziaria di un soggetto che, essendo stato appena minacciato e percosso, ben
avrebbe potuto sporgere immediata denuncia; nella ricostruzione di Andrea
Corrado, invece, il ciclomotorista era già caduto ed aveva chiesto loro un
passaggio (senza avvedersi di chi si trattava) rivelando la propria identità
quando si era tolto il casco una volta salito a bordo, così spiegandosi anche il
successivo svolgersi dei fatti.
Il ricorrente si duole poi della attendibilità riconosciuta a Daniele Corrado,
malgrado l’intervenuta costituzione di parte civile che avrebbe dovuto imporre un

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aveva costretto a salire in auto, portandolo presso la locale Tenenza della

vaglio rigoroso sulle di lui dichiarazioni, trattandosi peraltro di persona che altri
testi avevano indicato come un attaccabrighe gravato di problemi con la
giustizia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve qualificarsi inammissibile.
E’ infatti di palese evidenza che gli argomenti utilizzati dal difensore

riguardano la ricostruzione del fatto e l’apprezzamento del materiale probatorio,
da riservare alla esclusiva competenza del giudice di merito e già adeguatamente
valutati sia in primo che in secondo grado.
Sino alla novella introdotta con la legge n. 46 del 2006, la giurisprudenza di
questa Corte affermava pacificamente che al giudice di legittimità deve ritenersi
preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione
impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore
capacità esplicativa, dovendo soltanto controllare se la motivazione della
sentenza di merito fosse intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e
spiegare l’iter logico seguito. Quindi, non potevano avere rilevanza le censure
che si limitavano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, e la
verifica della correttezza e completezza della motivazione non poteva essere
confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite: la Corte, infatti,
«non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione
dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se
questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una
plausibile opinabilità di apprezzamento» (v., ex plurimis, Cass., Sez. IV, n. 4842
del 02/12/2003, Elia).
I parametri di valutazione possono dirsi solo parzialmente mutati per effetto
delle modifiche apportate agli artt. 533 e 606 cod. proc. pen. con la ricordata
novella: in linea di principio, questa Corte potrebbe infatti ravvisare un vizio
rilevante in termini di inosservanza di legge processuale, e per converso in
termini di manifesta illogicità della motivazione, laddove si rappresenti che le
risultanze processuali avrebbero in effetti consentito una ricostruzione dei fatti
alternativa rispetto a quella fatta propria dai giudici di merito, purché tale
diversa ricostruzione abbia appunto maggior spessore sul piano logico
(realizzando così il presupposto del “ragionevole dubbio” ostativo ad una
pronuncia di condanna).

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dell’imputato tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti che

Si è peraltro più volte ribadito che anche all’esito della suddetta riforma «gli
aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del
significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono
rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso
giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e LI pertanto, restano
inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a
sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio» (Cass., Sez. V, n.
8094 dell’11/01/2007, Ienco, Rv 236540). E, proprio con riguardo al principio

comunque inciso sulla natura del sindacato della Corte di Cassazione in punto di
motivazione della sentenza e non può, quindi, «essere utilizzato per valorizzare e
rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto,
eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che
tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice
dell’appello» (Cass., Sez. V, n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv 254579).
Nella fattispecie oggi in esame, al contrario, la difesa punta proprio a far
rivalutare a questa Corte le emergenze istruttorie, occupandosi soltanto degli
elementi di fatto a dispetto della dedotta sussistenza di vizi ex art. 606 cod.
proc. pen. e pure invocando la prospettiva di avere segnalato “dubbi ragionevoli”
– che tali, però, non sono – sotto ben sei profili.
1.1 Circa la credibilità della persona offesa, i giudici di merito hanno
adeguatamente spiegato che (al più) Daniele Corrado aveva manifestato
obiettiva ritrosia nel fornire una ragione del comportamento dell’imputato,
ritrosia però facilmente comprensibile alla luce degli antefatti della vicenda: a
fronte di tale rilievo, appare invece del tutto inverosimile che Andrea Corrado
pretendesse di far credere che non ricordava se (il giorno di quell’incontro con il
denunciante) la moglie lo avesse già messo al corrente di quanto aveva subito
da parte del di lui cugino. Ancor più assurdo è che, guarda caso, la parte civile si
rivolse per chiedere aiuto, dopo un chissà quale incidente, proprio a chi aveva
ragione di affrontarlo per quanto accaduto in passato, e che l’uno non riconobbe
l’altro fino a quando non si trovarono tutti e due nell’abitacolo dell’auto
dell’imputato.
1.2 Che Daniele Corrado fosse o meno sobrio alla guida del ciclomotore
costituisce una mera allegazione, che comunque non dimostrerebbe – in termini
di ragionevolezza – alcuna plausibile ricostruzione alternativa, di cui manca
qualunque elemento indicativo.
1.3 Coerentemente all’osservazione di cui al punto precedente, è pura
ipotesi che la persona offesa poté cadere dal ciclomotore (senza neppure che

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dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”, si è da ultimo precisato che esso non ha

risulti alcunché di obiettivo circa possibili danni riportati dal veicolo in occasione
di tale, fantomatico sinistro).
1.4 II fatto che Daniele Corrado avesse violato la legge penale in passato
nulla dice sulla necessità che egli dovesse pure in quella occasione comportarsi
«aggressivamente, per controllare una situazione che per lui poteva diventare
anche pericolosa»: nell’ipotesi difensiva, egli aveva comunque avuto un
incidente, per cui l’esigenza primaria era quella di farsi curare, non certo di
sbraitare all’indirizzo di qualcuno che (dal suo punto di vista) può darsi non

1.5 Al contrario, un soggetto mite e tranquillo, che riceva notizia di un
comportamento violento posto in essere in danno di una persona a lui cara, ben
può aggredire l’autore di quella condotta, chiunque sia costui.
1.6 Sul fatto che Andrea Corrado lasciò il cugino in prossimità del comando
della Guardia di Finanza, va considerato che vi prestavano servizio proprio gli
ufficiali e agenti di p.g. che stavano svolgendo indagini sui fatti pregressi, ed è
ineccepibile l’osservazione dei giudici di appello secondo cui l’imputato – in quel
momento, certamente inconsapevole della gravità delle lesioni in concreto
cagionate alla controparte – agì «non aspettandosi ingenuamente […] di essere
denunciato dal parente per una semplice spinta».
2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna di Andrea
Corrado al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto
riconducibile alla volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del
13/06/2000) – al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma
di C 1.000,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 14/05/2013.

sapesse ancora di avere motivi per prendersela con lui.

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