Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11395 del 08/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11395 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
– MAZZEI GIOVANNA, n. 20/04/1985 a LAMEZIA TERME

avverso l’ordinanza del tribunale del riesame di CATANZARO in data 4/06/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Nicola Lettieri, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni dell’Avv. Mauro Carlo del Foro di Lamezia Terme, in
sostituzione dell’Avv. Francesco Pagliuso del Foro di Lamezia Terme, che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso;

Data Udienza: 08/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 4/06/2013, depositata in data 6/06/2013, il tribunale del
riesame di LAMEZIA TERME, in parziale riforma del decreto di sequestro
preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, disposto dal GIP presso il

Salvatore S.p.A., ne limitava l’entità alla somma di C 841.100,07; la misura
cautelare è stata disposta in quanto, dagli atti trasmessi a questa Corte, risulta
che l’indagata, nella sua qualità di legale rappresentante della Mazzei Salvatore
S.p.A. dal 2 agosto 2010 al 5 agosto 2011, al fine di evadere le imposte sul
valore aggiunto, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti, indicava nella
dichiarazione annuale presentata per l’anno d’imposta 2009 elementi passivi
fittizi dai quali scaturisce IVA indebitamente detratta (artt. 81, cpv c.p., 2 d. Igs.
n. 74/00 (capi 2 e 3 dell’imputazione provvisoria); l’originario decreto di
sequestro preventivo per equivalente era stato emesso fino a concorrenza
dell’importo di C 1.521.997,02 (quanto ai beni del coindagato Mazzei Armando e,
in via sussidiaria, della società Mazzei Salvatore S.p.A.) e fino a concorrenza
dell’importo di C 1.284.224,75 (quanto ai beni dell’indagata Mazzei Giovanna e,
in via sussidiaria, alla società Mazzei Salvatore S.p.A.); in sede di riesame,
riconosciuta la parziale fondatezza dell’istanza, il tribunale riduceva l’entità del
sequestro come sopra determinato, in virtù della compiuta rideterminazione del
profitto del reato, tenuto conto degli importi che, alla luce della documentazione
prodotta dalla difesa della ricorrente, erano riferibili ad operazioni non fittizie.

2.

Ha proposto tempestivo ricorso il difensore – procuratore speciale

cassazionista dell’indagata, impugnando l’ordinanza predetta, deducendo due
motivi di ricorso che, stante l’intima connessione, possono essere esaminati
congiuntamente, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, anzitutto, il difetto dei presupposti del sequestro per equivalente.
Si duole, in sintesi, la ricorrente per aver il tribunale del riesame confermato,
seppure parzialmente, il provvedimento del GIP nonostante non fosse stata
dimostrata né l’esistenza di un bene costituente profitto o prezzo del reato né
provato il verificarsi di un fatto sopravvenuto che abbia determinato la perdita o
il trasferimento irrecuperabile di tale prezzo o profitto, da cui quindi derivi la
necessità di soddisfare per equivalente le esigenze di cautela su altri beni
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medesimo tribunale a carico dell’indagata e, in via sussidiaria, alla Mazzei

rientranti nella disponibilità dell’indagata; si duole, inoltre, del fatto che il
sequestro per equivalente sia stato eseguito sul profitto, in violazione della
previsione dell’art. 332-ter, comma 1, c.p. che rapporta il sequestro al prezzo del
reato, inteso in senso tecnico e non estensibile a qualsiasi utilità connessa al
reato.
Deduce, poi, la sproporzione tra il valore dei beni sequestrati e il valore

condotta del reato; si duole, cioè, in sintesi, la ricorrente per essere stati
sottoposti a sequestro per equivalente beni (costituiti da conti correnti, depositi,
immobili, quote societarie) di valore enormemente superiore rispetto ai limiti
entro i quali il sequestro stesso era stato disposto.
Censure investono, poi, l’asserito difetto di gravità indiziaria che ha giustificato il
sequestro; in sintesi, il sequestro sarebbe stato disposto ritenendo sussistere il
fumus dell’ipotizzato reato di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti da
parte della Mazzei Salvatore S.p.A. per effetto delle quali l’indagata avrebbe
conseguito un indebito arricchimento, falsità dedotta da alcuni indici sintomatici
(a titolo esemplificativo, l’assenza di tracciabilità nei pagamenti eseguiti; difetto
di capacità organizzativa e mezzi idonei da parte delle aziende emittenti le
fatture, etc.); diversamente, deduce la ricorrente, il mancato rinvenimento delle
prove circa l’effettività delle forniture sarebbe addebitabile esclusivamente alla
circostanza che, essendo la società sottoposta a custodia giudiziaria, l’attività di
PG avrebbe avuto quali destinatari l’indagata (e il coindagato Mazzei Armando),
attuali custodi ed amministratori, che non erano in grado di offrire una
ricostruzione storica dei rapporti commerciali e di fornire riscontro e
giustificazione delle operazioni cui le fatture si riferivano che, per tale ragione,
sarebbero state erroneamente qualificate come false; in definitiva, quindi, il
tribunale non avrebbe correttamente valutato la documentazione prodotta dalla
difesa a sostegno dell’effettività delle forniture cui si riferiscono le fatture

complessivo del profitto che si assume illecitamente conseguito per effetto della

(pagamenti effettuati a mezzo assegni circolari e/o bancari; rinvenimento tra i
cespiti della società dei beni oggetto delle fatture; esistenza di atti di PG
attestanti l’effettività della fornitura; tracce della rivendita dei beni oggetto di
fornitura maggiorata dell’utile, operazione, quest’ultima, incompatibile con
l’illecito ipotizzato).

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso, al limite dell’inammissibilità (limitandosi, la gran parte dei profili di
doglianza, a riproporre in maniera pedissequa le censure già proposte in sede di
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riesame, senza tener conto del puntuale percorso argomentativo del tribunale
che ha valutato criticamente le censure difensive), dev’essere rigettato per le
ragioni di seguito esposte.

5.

Deve, preliminarmente ricordarsi, che in sede di ricorso per cassazione

proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 cod. proc. pen.

legge. Nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in particolare, la
mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente
apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma
non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità
soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e)
dell’art. 606 stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 – dep.
13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc.Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del
28/05/2003 – dep. 10/06/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).

6. Tanto premesso sui limiti del sindacato di questa Corte, ritiene il Collegio che
sia evidente l’infondatezza di entrambi i motivi di ricorso, che censurano in
sostanza l’ordinanza impugnata ritenendola inficiata da un’erronea valutazione
degli atti processuali, offrendo una motivazione carente ed illogica in relazione
alle doglianze espressamente formulate in sede di riesame. Diversamente, a
giudizio di questa Corte, il giudice del riesame ha correttamente proceduto alla
valutazione critica degli elementi d’accusa, tenendo conto delle critiche proposte
dalla difesa della ricorrente nella fase impugnatoria cautelare, applicando
correttamente il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui il
tribunale del riesame non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere
l’indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni
difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l’integralità dei
presupposti che legittimano il sequestro (v., ex plurimis: Sez. 2, n. 44399 del
27/09/2004 – dep. 12/11/2004, Rosellini ed altro, Rv. 229899).

7.

Passando, dunque, ad esaminare i profili di doglianza esposti nel primo

motivo, al fine di rilevarne l’infondatezza è sufficiente in questa sede ricordare
che qualora il profitto tratto da taluno dei reati per i quali, ai sensi dell’art. 322ter cod. pen., è prevista la confisca per equivalente, sia costituito da denaro
(come nel caso di specie), l’adozione del sequestro preventivo in vista
dell’applicazione di detta misura non può essere subordinata alla verifica che il
denaro sia confluito nella effettiva disponibilità dell’indagato giacché, altrimenti,
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ammette il sindacato di legittimità solo per motivi attinenti alla violazione di

si verrebbe a ristabilire la necessità di un nesso pertinenziale tra la “res” ed il
reato che la legge, con l’introduzione della confisca per equivalente, ha escluso
(così, Sez. 6, n. 31692 del 05/06/2007 – dep. 02/08/2007, Giannone, Rv.
237610).
Con particolare riferimento, poi, ai reati tributari, oggetto del presente
procedimento, va ricordato il principio, affermato da questa stessa Sezione,

che le somme provengano dal delitto e siano confluite nell’effettiva disponibilità
dell’indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere
all’importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non
sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare (Sez. 3,
n. 1261 del 25/09/2012 – dep. 10/01/2013, Marseglia, Rv. 254175).
Il tribunale, pertanto, nell’esaminare dettagliatamente la questione, ha fatto
buon governo dei predetti principi, tanto da ridurre l’importo del sequestro
originariamente disposto, tenendo in debito conto le censure difensive che,
pertanto, sotto il profilo qui denunciato, tentano di riproporre davanti a questa
Corte una valutazione di merito, già esaurientemente apprezzata dal tribunale
del riesame.

8. Quanto, poi, al profilo di doglianza esposto nel secondo motivo di ricorso, la
ricorrente dimentica che è ormai pacifico che il sequestro per equivalente,
disposto nei confronti di soggetto indagato per reati tributari, può avere ad
oggetto beni per un valore equivalente al profitto del reato (Sez. 3, n. 23108 del
23/04/2013 – dep. 29/05/2013, Nacci, Rv. 255446), che coincide con il
risparmio di imposta che si ricava attraverso l’annotazione in contabilità e
successiva indicazione delle anzidette fatture nelle prescritte dichiarazioni fiscali.
Nello specifico, il tribunale del riesame, con motivazione puntuale, dettagliata ed
immune da vizi, si è fatto carico, anzitutto di analizzare le fatture emesse dai
singoli fornitori di cui si è avvalsa la Mazzei Salvatore S.p.A. (ditta individuale
Panzitta Antonio; ditta individuale Geom. Lo Torto Alessandro; ditta individuale
Navarra Angelo; ditta individuale Corsaro Salvatore; ditta Castagna Carmelo;
ditta “La movimento terra” di Vescio Luigi; ditta “Isabella costruzioni di Isabella
Alessandro”; ditta individuale Liparota Giuseppe; ditta individuale Saladino
Antonio; ditta “Impianti tecnologici di Geom. Mauro Luigi”; ditta individuale
Marasco Luigi Francesco), esprimendo un giudizio di sussistenza del fumus del
reato ipotizzato, essendo palesemente risultate false e fittizie le fatture emesse
dalle ditte indicate a favore della predetta Mazzei Salvatore S.p.A., utilizzate per
evadere l’imposta relativa all’anno 2010. In particolare, tale giudizio è stato
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secondo cui l’adozione del sequestro preventivo non è subordinata alla verifica

espresso dal tribunale nell’ordinanza impugnata, facendo riferimento a una serie
d’indici sintomatici (v. pag. 9) di fittizietà ed inesistenza delle operazioni.
In secondo luogo, ha, poi, provveduto a rideterminare, alla luce delle deduzioni
difensive, gli importi relativi ai costi documentati da fatture per operazioni
inesistenti inseriti nei modelli 760, scomputando dalle somme indicate quelle
corrispondenti agli importi delle operazioni che, alla luce degli atti sottoposti al

Infine, ha richiamato, in relazione alle esigenze necessitanti l’imposizione del
vincolo, il disposto dell’art. 1, comma 143, della legge n. 244/2007, che
richiama, in relazione al reato oggetto di attuale contestazione, le disposizioni in
tema di sequestro per equivalente dettate dall’art. 322-ter cod. pen.,
provvedendo conclusivamente a limitare l’entità del sequestro per equivalente
disposto a carico dell’indagato alla somma sopra indicata.
In tribunale del riesame ha, dunque, svolto il suo indispensabile ruolo di
garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della
fattispecie dedotta ed esaminando l’integralità dei presupposti che legittimano il
sequestro per equivalente, donde nessuno dei dedotti vizi è rinvenibile
nell’impugnato provvedimento, appalesandosi le censure quale richiesta a questa
Corte di un’inammissibile valutazione nel merito del giudizio sulla sussistenza del
fumus e del periculum operato dai giudici del riesame, rispetto al quale la
ricorrente esprime una doglianza, pur dettagliata, ma pur sempre fattuale, che si
sostanzia in un dissenso sulle risultanze del procedimento valutativo di merito.

9. Il ricorso dev’essere, complessivamente, rigettato, con conseguente condanna
della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 1’8 gennaio 2014

Il Ci sigli e est.

Il Presidente

vaglio del tribunale, sono stati ritenuti come riferiti ad operazioni non fittizie.

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