Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11393 del 08/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11393 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
– LIGORIO DAMIANO COSIMO, n. 3/11/1965 a MILANO

avverso l’ordinanza del tribunale del riesame di MONZA in data 5/06/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Nicola Lettieri, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni dell’Avv.

Data Udienza: 08/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 5/06/2013, depositata in pari data, il tribunale del riesame
di MONZA rigettava la richiesta di riesame presentata dall’indagato avverso il
provvedimento 15/05/2013 con cui il PM presso il Tribunale di MONZA aveva

ricorrente, indagato per i reati di cui agli artt. 2, d. Igs. n. 74/00 e 646 c.p. in
relazione a fatture per operazioni inesistenti emesse dalla società EUROFLORA
s.r.l. dal 2008 al 2011 ed annotate da DANIMA s.r.l. dal 2009 al 2012,
asseritamente amministrata di fatto dal ricorrente.

2.

Ha proposto tempestivo ricorso il difensore – procuratore speciale

cassazionista dell’indagato, impugnando l’ordinanza predetta, deducendo due
motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con un primo motivo, la violazione dell’art. 355 c.p.p.
In sintesi, si duole il ricorrente per aver il tribunale del riesame ritenuto legittimo
il decreto di sequestro probatorio emesso dal PM il 15/06/2013, nonostante
quest’ultimo replicasse un omologo decreto di perquisizione e convalida di
sequestro emesso il precedente 12/04/2013 che il medesimo tribunale del
riesame aveva annullato con ordinanza del 6/05/2013.
In altri termini, non discostandosi il decreto di sequestro impugnato neppure nel
suo tenore letterale dal decreto in precedenza annullato, il primo sarebbe
irrituale, con conseguente nullità per violazione dell’art. 355 c.p.p.

2.2. Deduce, con un secondo motivo, la violazione dell’art. 253 c.p.p.
In sintesi, si duole il ricorrente per aver il tribunale del riesame ritenuto legittimo
il decreto impugnato, nonostante lo stesso risulti privo degli elementi essenziali,
con motivazione assolutamente carente; in altri termini, difetterebbero sia la
concreta finalità probatoria del provvedimento di sequestro che la qualità dei
beni oggetto di sequestro in relazione alle ipotesi di reato contestate;
difetterebbero, in particolare, indicazioni sia sull’attribuzione specifica degli illeciti
al ricorrente (di cui si indicherebbe la sua astratta posizione quale
amministratore di fatto, peraltro irrilevante in relazione all’ipotesi di reato
contestata in quanto l’emissione delle fatture per operazioni inesistenti sarebbe
avvenuta da parte della EUROFLORA s.r.I., società in cui il ricorrente non
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disposto il sequestro probatorio relativo a materiale informatico di proprietà del

avrebbe alcun ruolo), sia sulla verifica della qualifica dei beni oggetto di
sequestro in relazione alle ipotesi di reato, su cui nessuna motivazione è
reperibile nel decreto di sequestro probatorio del PM, che non specificherebbe se
si tratti di corpo del reato o di cose ad esso pertinenti, riferendosi genericamente
ad una valenza probatoria dei beni sequestrati; in tal senso, sussisterebbe la
violazione dell’art. 253 c.p.p., in quanto non possono essere qualificati come

o gli hard-disks che tutt’al più possono contenerli in copia nella remota ipotesi
che siano stati registrati nelle memorie informatiche (occorrendo, in tal ultimo
caso, che si indichi cosa ricercare nella memoria, non potendosi ipotizzare un
sequestro esplorativo).

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso dev’essere rigettato per le ragioni di seguito esposte.

4.

Deve, preliminarmente ricordarsi, che in sede di ricorso per cassazione

proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 cod. proc. pen.
ammette il sindacato di legittimità solo per motivi attinenti alla violazione di
legge. Nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in particolare, la
mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente
apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma
non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità
soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e)
dell’art. 606 stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 – dep.
13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc.Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del
28/05/2003 – dep. 10/06/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).

5. Tanto premesso sui limiti del sindacato di questa Corte, ritiene il Collegio che
sia evidente l’infondatezza del motivo di ricorso, che censura l’ordinanza
impugnata ritenendola inficiata da violazione di legge, offrendo una motivazione
carente in relazione alle doglianze espressamente formulate in sede di riesame.
Diversamente, a giudizio di questa Corte, il giudice del riesame ha correttamente
proceduto alla valutazione critica degli elementi d’accusa, tenendo conto delle
critiche proposte dalla difesa del ricorrente nella fase impugnatoria cautelare,
applicando correttamente il principio, più volte affermato da questa Corte,
secondo cui il tribunale del riesame non deve instaurare un processo nel
processo, ma svolgere l’indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito
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“corpo del reato” rispetto alle fatture o alle dichiarazioni fraudolente i computers

conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed
esaminando l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro (v.,

ex

plurimis: Sez. 2, n. 44399 del 27/09/2004 – dep. 12/11/2004, Rosellini ed altro,
Rv. 229899).

6. Deve, anzitutto, ritenersi infondato il primo motivo di ricorso, con cui la difesa

del riesame ritenuto legittimo il decreto di sequestro probatorio emesso dal PM il
15/06/2013, nonostante quest’ultimo replicasse un omologo decreto di
perquisizione e convalida di sequestro emesso il precedente 12/04/2013, che il
medesimo tribunale del riesame aveva annullato con ordinanza del 6/05/2013.
Ed invero, la censura non tiene conto del principio di diritto, più volte affermato
da questa Corte, che ritiene pienamente legittimo il nuovo provvedimento di
sequestro probatorio emesso dal Pubblico Ministero ex art. 253 cod.proc.pen. sui
medesimi oggetti già sequestrati e restituiti all’indagato, allorquando
l’annullamento del precedente provvedimento di sequestro, non impugnato,
attenga a profili formali (nella specie, per omessa iscrizione nel registro degli
indagati del ricorrente, al momento dell’emissione del primo decreto di
sequestro, poi annullato), non preclusivi, pertanto, dei poteri istituzionali del
P.M. volti alla ricerca delle prove (v., tra le tante: Sez. 3, n. 2409 del
13/06/1997 – dep. 26/09/1997, Fabbri, Rv. 209226).
Correttamente, pertanto, il tribunale del riesame ha ritenuto la questione
“superata” dall’emissione del nuovo decreto di sequestro probatorio, quando
ormai il ricorrente era stato iscritto nel registro degli indagati.

7. Deve, parimenti, ritenersi infondato il secondo motivo di ricorso, con cui la
difesa denuncia la plurima violazione dell’art. 253 c.p.p., per aver
sostanzialmente il tribunale del riesame ritenuto legittimo il decreto impugnato,
nonostante lo stesso risultasse privo degli elementi essenziali, con motivazione
assolutamente carente.
A rilevarne la manifesta infondatezza, è sufficiente in questa sede rilevare come,
quasi tutti i profili di doglianza afferenti a questo secondo motivo (fatta
eccezione per l’impossibilità di configurare i beni sottoposti a sequestro alla
stregua di corpo di reato e la contestazione relativa alla qualifica del ricorrente
come amministratore di fatto della società, questione, quest’ultima,
inammissibile perché si sostanzia in una richiesta, vietata in questa sede, di
valutazione di un fatto, ossia del ruolo svolto dal ricorrente) non erano stati posti
in sede di riesame.
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del ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 355 c.p.p., per aver il tribunale

Orbene, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il disposto dell’art.
606, comma terzo, cod. proc. pen. che prevede l’inammissibilità del ricorso se
proposto per violazione di legge non dedotta con i motivi di appello, è applicabile
anche nel caso di mancata deduzione in sede di riesame poiché il relativo
procedimento, avendo carattere sostanziale di impugnazione del merito, si
presenta equiparabile all’appello (v., tra le tante: Sez. 4, n. 839 del 24/06/1993

19/09/2008, Itri, Rv. 241271).
In ogni caso, il motivo si appalesa infondato, in quanto è rinvenibile
nell’ordinanza impugnata, seppure nella sinteticità del suo apparato
motivazionale, la giustificazione della finalità probatoria sottesa al
provvedimento di sequestro, richiamando il tribunale le esigenze probatorie
rappresentate dal PM nel provvedimento impositivo del vincolo. Il tribunale ha,
quindi, correttamente applicato la giurisprudenza, anche recente di questa stessa
sezione, secondo cui il tribunale del riesame deve limitare il suo sindacato alle
deduzioni difensive che abbiano una oggettiva incidenza sul “fumus commissi
delicti” senza pronunciarsi su qualsiasi allegazione che si risolva in una mera
negazione degli addebiti o in una diversa lettura degli elementi probatori già
acquisiti (Sez. 3, n. 13038 del 28/02/2013 – dep. 21/03/2013, P.M. in proc.
Lapadula e altro, Rv. 255114).
Analogamente, non può ritenersi sussistere il prospettato vizio con riferimento
alla mancata indicazione della qualifica del bene percetto, posto che il tribunale
chiarisce in motivazione (“…trattandosi di incolpazione inerente a reato fiscale,
per prassi, commesso mediante tenuta di contabilità anche informatica”)

le

ragioni per le quali il disposto sequestro ben poteva apprendere quegli oggetti
colpiti dal vincolo (computer ed hard disk), la cui qualificazione come cose
pertinenti al reato era implicitamente definita nel provvedimento impugnato.
In particolare, quando le apparecchiature informatiche siano, di per sè, come nel
caso di specie, riferibili per loro natura al reato ipotizzato (essendo evidente che,
di regola, la fatturazione avviene con modalità informatiche), l’esigenza
probatoria della loro apprensione è implicita nella stessa natura dello strumento
informatico, sicché è la stessa indicazione degli strumenti informatici come
appartenenti alle dette tipologie ad integrare il “periculum” rispetto al reato
ipotizzato.

8. Il ricorso dev’essere, complessivamente, rigettato, con conseguente condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

5

– dep. 21/10/1993, Foti, Rv. 195324; Sez. 3, n. 35889 del 01/07/2008 – dep.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, l’8 gennaio 2014

Il Presidente

re est.

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