Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1139 del 30/11/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 1139 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Scommegna Leonardo, nato a Zapponeta il 07/10/1961
Scommegna Giovanni, nato a Manfredonia il 18/11/1965

avverso la sentenza del 03/05/2011 della Corte d’appello di Bari R.G. 3224/2009
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione svolta dal Consigliere Giuseppe De
Marzo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Maria
Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
Ritenuto In fatto
1. Con sentenza del 03/05/2011, la Corte d’appello di Bari ha confermato la
sentenza del Tribunale di Foggia, sezione distaccata di Manfredonia del
19/12/2008, che aveva condannato Leonardo Scommegna e Giovanni
Scommegna alla pena di mesi tre di reclusione, in relazione al reato di cui agli
artt. 110 e 582, 585, 577, cod. pen. commesso in danno di Antonio Lioci.
2. Dopo avere riprodotto il testo della motivazione della sentenza di primo grado,
la Corte ha respinto i motivi d’appello, rilevando: a) che correttamente il primo
giudice aveva respinto la richiesta di ammissione della lista testi presentata dalla
difesa, in quanto tardiva, dai momento che il termine previsto dall’art. 468,
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Data Udienza: 30/11/2012

comma 1, cod. proc. pen. è da intendersi libero, con la conseguenza che, rispetto
all’udienza del 14/11/2005, essa avrebbe dovuto essere depositata prima del
07/11/2005, ossia sabato 05/11/2005; b) che, anche a voler prestare credito alla
versione degli imputati, i quali avevano riferito di avere subito una serie di furti e
di avere sorpreso il Lioci nell’atto di un’ennesima ruberia, comunque, la reazione
particolarmente violenta avuta nei confronti della vittima non poteva avere
alcuna giustificazione; c) che, in particolare, l’atteggiamento violento e
aggressivo del Lioci non trovava conforto in alcun elemento probatorio, mentre le

immobilizzato in una rete da pescatore, cianotico e fortemente sanguinante)
erano attestate dal referto delle lesioni e dai carabinieri intervenuti; d) che
pertanto era da escludere la sussistenza della legittima difesa, come pure
dell’eccesso colposo in legittima difesa; e) che la pena inflitta era congrua e
adeguata al fatto.
3. Nell’interesse degli imputati è stato proposto ricorso per cassazione, affidato a
tre motivi.
3.1. Con il primo motivo, si lamenta nullità della sentenza per violazione di norme
processuali e del diritto di difesa, dal momento che, cadendo l’ultimo giorno utile
per il deposito della lista testi in giorno festivo, la difesa aveva provveduto
all’incombente il giorno successivo.
3.2. Con il secondo motivo, si lamenta nullità della sentenza per illogicità della
motivazione, dal momento che proprio il Pubblico Ministero aveva depositato il
certificato di Pronto Soccorso del 25/04/2005, attestante il trauma contusivo
sofferto da Giovanni Scommegna al polso e al ginocchio, con una prognosi di
sette giorni, al fine di concludere per l’eccesso colposo in legittima difesa.
3.3. Con il terzo motivo, si lamenta nullità della sentenza per omessa
motivazione in ordine alla denegata concessione delle attenuanti generiche con il
riconoscimento della loro prevalenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Con riferimento al primo •motivo, deve rilevarsi che questa Corte ha già
ritenuto che l’art. 468, comma 1, cod. proc. pen., prevede unicamente il
momento finale del termine di deposito della lista testimoniale, che deve
precedere di sette giorni interi e liberi l’udienza introduttiva del giudizio ordinario
di primo grado, come espressamente stabilisce l’art. 172, comma 5, cod. proc.
pen. In tali casi non può valere la diversa regola della proroga automatica del
termine scadente in giorno festivo stabilita dall’art. 172, comma 3, cod. proc.
pen. c.p.p., comma 3 (v., in motivazione, Sez. 6, n. 13571 del 12 novembre 2010,
C.D.).
La soluzione trova fondamento nel fatto che, dal punto di vista delle esigenze
probatorie della parte processuale, il legislatore non ha previsto un termine di
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condizioni in cui si trovava quest’ultimo (legato ai polsi con fil di ferro, quasi

durata predeterminata, giacché lo spazio a disposizione varia in relazione al
tempo intercorrente tra la conoscenza del decreto che dispone il giudizio e la
data fissata per il dibattimento. Ne discende che il termine assolve ad una
funzione di ordinato svolgimento del processo, avuto riguardo agli adempimenti
successivi di cui al comma 2 dell’art. 468 cod. proc., e di articolazione delle prove
contrarie di cui al comma 3 del medesimo art. 468. Proprio il termine per la
realizzazione di siffatti incombenti finirebbe per essere compresso, se si
accedesse alla tesi sostenuta dai ricorrenti,

censura le risultanze del certificato del Pronto Soccorso del 25/04/2005, che sono
prive di decisività. L’esistenza in danno di uno dei due imputati di un trauma
contusivo al polso e al ginocchio sinistro non è idonea, in sé considerata, a
riscontrare l’esistenza di un atteggiamento violento del Lioci, potendo essere
compatibile con le stesse modalità dell’aggressione perpetrata, caratterizzata da
straordinaria violenza. Dalla motivazione della sentenza di primo grado,
riprodotta dalla decisione impugnata, emerge infatti che il Lioci, trovato legato
alle mani, alle caviglie e ai polsi, venne rinvenuto con il viso pieno di lividi, ormai
cianotico e con il sangue che usciva dalla bocca, e riportò trauma cranico non
commotivo e trauma toracico con la frattura della nona costola.
Ne discende che non emerge la manifesta illogicità della motivazione della
sentenza impugnata, che ha sostanzialmente valorizzato la sproporzione tra la
lesione a beni patrimoniali, probabilmente realizzata dal Lioci, e quella alla
libertà personale e alla persona, certamente realizzata dagli imputati.
3. Anche il terzo motivo è infondato, dal momento che il sintetico riferimento
della Corte territoriale alla congruità e adeguatezza della pena al fatto trova il
suo fondamento nella genericità dell’atto di appello, quanto alla richiesta di una
più favorevole comparazione tra le riconosciute attenuanti generiche e le
ritenute circostanze aggravanti. Manca nel gravame, infatti, una puntuale
indicazione di circostanze idonee a superare il giudizio espresso dal giudice di
primo grado.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 30/11/2012

Il Componente estensore

canceiter ia Il Preside

2. Il secondo motivo di ricorso è infondato, perché pone a fondamento della

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