Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11388 del 03/07/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11388 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: GRILLO RENATO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CALDERONE TINDARO N. IL 21/01/1943
CALDERONE ANTONIO N. IL 18/01/1969
CALDERONE FRANCESCO N. IL 08/03/1979
CALDERONE GIUSEPPINA N. IL 27/06/1967
CALDERONE CONCETTA N. IL 30/03/1975
avverso l’ordinanza n. 233/2012 TRIB. LIBERTA’ di MESSINA, del
18/10/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;
lo-e/sentite le conclusioni del PG Dott. ts-GAe-:2- Ci v—
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o 45-51.

Uditi difensor Avv.;

0

Q3’32 Q.-215.■

Data Udienza: 03/07/2013

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con ordinanza del 18 ottobre 2012 il Tribunale di Messina – Sezione per il Riesame rigettava la richiesta di riesame proposta nell’interesse di CALDERONE Tindaro, CALDERONE
Antonio, CALDERONE Francesco, CALDERONE Giuseppina e CALDERONE Concetta avverso il
decreto di sequestro preventivo per equivalente emesso dal GIP del Tribunale di Messina di
denaro e beni fino alla concorrenza di C 3.213.596 in relazione alle ipotesi di reato di cui agli

CALDERONE Concetta, CALDERONE Tindaro e CALDERONE Francesco.
1.2 Nel rigettare la richiesta, il Tribunale rilevava anzitutto la sussistenza del

fumus

criminis in relazione ad entrambe le ipotesi delittuose contestate ad entrambi gli indagati;
rigettava la preliminare eccezione formulata con riferimento alla non confiscabilità del profitto
o prezzo del reato per cui si procedeva, richiamando la decisione delle SS.UU. che avevano
affermato il principio opposto a quello sostenuto dagli indagati. Dopo aver analizzato le
condotte degli indagati, individuando una serie di operazioni commerciali criminose finalizzate
al conseguimento di un indebito risparmio di imposta (fatto che costituiva il presupposto
legittimante il sequestro), il Tribunale perveniva alla conclusione della legittimità del sequestro
per equivalente di beni di pertinenza della società per fatti commessi dagli amministratori
uniformandosi all’indirizzo della Corte Suprema che aveva affermato la configurabilità di tale
provvedimento cautelare nell’ambito dei delitti tributari.
1.3 Avverso la detta ordinanza ricorrono tutti gli indagati sopra indicati a mezzo dei loro
difensori fiduciari prospettando articolati motivi a sostegno che possono sintetizzarsi come
segue. Con un primo motivo i ricorrenti lamentano violazione di legge per totale carenza di
motivazione in ordine alla sussistenza del reato di cui all’art. 5 del D.L.vo 74/00, lamentando,
in particolare, che, nonostante gli specifici motivi addotti in sede di riesame, il Tribunale
peloritano nulla aveva affermato con riguardo alla assoggettabilità ad IVA delle prestazioni
eseguite. Con un secondo motivo viene dedotto analogo vizio in quanto il Tribunale,

artt. 10 bis e 5 del D. L,.vo 74/00 di cui erano rispettivamente indagati CALDERONE Antonio

nonostante la deduzione di specifici motivi, aveva ritenuto integrato il reato ipotizzato dalla
Pubblica Accusa anche se VIVA asseritamente evasa non era mai stata esposta nelle varie
fatture riguardanti le prestazioni eseguite, e, meno che mai incassata. Con un terzo motivo si
lamenta analogo vizio con riguardo a quella parte dell’ordinanza in cui si afferma l’avvenuto
superamento della soglia di punibilità idonea a configurare il reato. Coin un quarto motivo si
lamenta violazione di legge in relazione alla estensione del sequestro nei confronti di tutti gli
indagati sino all’ammontare dell’intero profitto, in quanto costituirebbe indebita operazione da
parte del Tribunale quella di estendere la contestazione ad ogni singolo indagato per fatti
diversi da quelli ascritti ai medesimi. Con un quinto motivo si lamenta violazione di legge per
avere il Tribunale confermato il vincolo reale nei riguardi di tutti gli indagati solidalmente sino
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alla concorrenza nell’intero. Con il sesto motivo si rappresenta assoluta carenza di motivazione
nella parte in cui il Tribunale aveva ritenuto di confermare il provvedimento cautelare in
quanto i beni della società assoggettati al sequestro erano stati ritenuti nella disponibilità degli
indagati. Con il settimo motivo viene denunciata violazione di legge sotto il profilo della
assoluta carenza di motivazione nella parte del provvedimento in cui si afferma che i beni
societari debbono intendersi nella disponibilità degli amministratori.
1.4 Con memoria difensiva ritualmente e tempestivamente formulata, i difensori degli

riferimento alla questione riguardante la non assoggettabilità a sequestro (per equivalente) dei
beni societari per fatti commessi dagli amministratori, in ossequio all’orientamento della S.C.
recentemente espresso sul punto, in discontinuità con un precedente orientamento che
consentiva tale eventualità.
1.5 Il Procuratore Generale, all’odierna udienza, ha presentato brevi note nella quali
prospetta sotto diversa luce la questione, certamente non pacifica nella giurisprudenza di
questa Corte circa la possibilità di aggredire – nella materia dei reati tributari – beni della
società per fatti commessi dagli amministratori, chiedendo, in alternativa, la rimessione della
questione alle SS.UU. nella ipotesi in cui l’espressione (riguardante i beni della società) “salvo
che appartengano a persona estranea al reato” sia riferibile alla confisca in forma specifica
ovvero anche estensibile alla confisca per equivalente; in subordine, chiedendo il rigetto del
ricorso laddove l’espressione “beni di cui il reo abbia la disponibilità” debba intendersi in
termini di titolarità o di possibilità di disporre dei beni nell’ambito della propria funzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei limiti che seguono. Non appare fondato il primo motivo, con il
quale si denuncia carenza assoluta di motivazione, per avere il Tribunale omesso di
pronunciarsi sulla effettiva configurabilità dei reati di omessa dichiarazione ai fini IVA e omesso
versamento di ritenute certificate.
2.

Contrariamente alle scarne deduzioni difensive che fanno propendere per una

inammissibilità del motivo per genericità e manifesta infondatezza, il Tribunale, dopo aver
richiamato le articolate argomentazioni del GIP sulla configurabilità delle due ipotesi delittuose,
seppur nei limiti propri da osservare nell’ambito dei provvedimenti cautelari reali, ha analizzato
le singole condotte illegali attribuite agli indagati, rifacendosi agli esiti delle indagini di P.G. che
avevano evidenziato le irregolarità penalmente rilevanti in cui erano incorsi gli indagati.
L’operazione compiuta dal Tribunale investe un esteso arco temporale (dal 2007 al 2010) ed
analizza la condotta posta in essere dai vari indagati nell’ambito di una innumerevole serie di
società riconducibili in realtà ad un’unica struttura societaria per effetto dei vincoli di stretta
parentela e familiarità tra i vari indagati. Correttamente il Tribunale ha individuato quali – tra
le varie prestazioni – fossero esenti in astratto dall’IVA (le sole operazioni di trasporto di

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indagati hanno ulteriormente evidenziato i vizi del provvedimento impugnato con specifico

sangue) pervenendo alla più che logica conclusione che tutte le altre prestazioni effettuate
fossero assoggettabili all’IVA in quanto compiute – come ricordato dal Tribunale – nell’ambito
dei servizi di ambulanza ed altri servizi sanitari. Rispetto a tale motivazione che non può di
certo connotarsi per genericità e fumosità, il vizio dedotto non sussiste affatto.
3. Per queste stesse ragioni non è censurabile il provvedimento nemmeno in quella parte
in cui si estende la contestazione – sotto l’aspetto soggettivo – a tutti gli indagati, dovendosi
tenere conto del fatto che in tema di riesame di provvedimenti cautelari reali, l’accertamento

astratta del fatto contestato come desumibile dalla imputazione provvisoria – necessariamente
fluida in quella particolare fase delle indagini – senza che sia possibile un apprezzamento della
fondatezza dell’accusa ed alla probabilità di una pronuncia favorevole all’indagato, essendo tale
genere di valutazione rimesso alla valutazione da parte del giudice di merito (tra le tante Sez.
5^ 12.21999 n. 736 Rubino G e altri, Rv. 212883; Sez. 4^ 21.5.2008 n. 23944, P.M. in proc.
Di Fulvio, Rv. 240521; Sez. 2^ Ord. 22.6.2005 n. 26457, P.M. in proc. Farnitano, Rv. 231959).
Ancora più significativamente – in tema di provvedimento di sequestro preventivo – è stato
affermato da questa Corte il principio che tale decreto può essere disposto “in quanto sia
ravvisabile l’esistenza di un reato: è dunque compito del giudice valutare, non solo l’astratta
sussumibilità del fatto in una fattispecie penale, ma anche se sia ravvisabile il “fumus” del
reato ipotizzato, tenendo conto sia degli elementi forniti dall’accusa che delle argomentazioni
difensive. Ne consegue che la motivazione del provvedimento deve dar conto anche delle
ragioni per le quali il fatto integra il reato contestato, posto che quest’ultimo è antecedente
logico e necessario del provvedimento cautelare” (Sez- 2^ 23.3.2006 n. 19523, P.M. in proc,.
Cappello, Rv. 234197)
3.1 Gli approdi più recenti della giurisprudenza hanno ribadito poi la necessità che in sede
di riesame la valutazione del fumus criminis debba avvenire, oltre che verificando l’astratta
configurabilità del reato, anche, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali, e
quindi non solo gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, ma anche le confutazioni e
gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla
sussistenza del “fumus” del reato contestato (in termini Sez. 3^ 20.5.2010 n. 27715, Barbano,
Rv. 248134; idem 11.3.2010 n. 18532, D’Orazio, Rv. 247103).
3.2 Ai suddetti criteri si è uniformato il Tribunale nella misura in cui non solo ha compiuto
una verifica, peraltro attenta e con esplicito richiamo alle più analitiche considerazioni del GIP
sul fumus criminis, ma ha tenuto conto delle prospettazioni difensive che ha poi disatteso con
motivazione convincente sul piano logico ed altrettanto analitica.
3.3 n Tribunale, nel ribadire l’assoggettabilità al regime dell’IVA delle varie prestazioni
effettuate dalle società dei ricorrenti, ha giustamente posto in evidenza come solo ove le
prestazioni di altro genere rispetto a quelle di trasporto dei pazienti, astrattamente esenti da

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della sussistenza del fumus criminis è circoscritto alla verifica della configurabilità in via

IVA, fossero state accessorie rispetto a quest’ultima da considerarsi, come ipotizzato dai
ricorrenti, prevalente, sarebbe stato possibile accedere alla tesi difensiva: ma il Tribunale è
stato esaustivo nel sottolineare come tale rapporto di accessorietà delle altre prestazioni
rispetto a quella del trasporto di pazienti non emergesse affatto ed anzi acquisisse un ruolo di
prevalenza rispetto all’altro (vds. pag. 6 della ordinanza impugnata).
4. Quanto, poi, al terzo motivo nel quale si lamenta la carenza di motivazione con riguardo
alla ritenuta assoggettabilità al regime fiscale dell’IVA delle singole operazioni nonostante la

basandosi sulle oggettive risultanze del processo verbale di constatazione ha fatto leva
sull’accertamento induttivo compiuto dalla Guardia di Finanza proprio a causa della carenza di
documentazioni fiscali a fronte di plurime prestazioni di tipo eterogeneo documentalmente
accertate: e correttamente è stato affermato che tali operazioni preludevano al conseguimento
di un illecito risparmio di imposta che, calcolato in via presuntiva, certamente superava la
soglia di punibilità richiesta per la configurabilità delle due fattispecie (vds. pag. 7
dell’ordinanza).
5. Generico, oltre che manifestamente infondato, il quarto motivo con il quale la difesa
deduce l’indebita estensione a tutti gli indagati di condotte non a tutti ascrivibili, enucleando
una sorta di responsabilità solidale: la risposta fornita dal Tribunale in proposito, contenuta a
pag. 2 dell’ordinanza risolve in pieno le obiezioni difensive, posto che tutte le operazioni
compiute dalle diverse società, formalmente riconducibili a singoli indagati, sono state
rettamente ricondotte ad unità nel senso che – attesi i vincoli di stretta parentela e familiarità
tra i cinque indagati – è stata ipotizzata una sorta di società comune che inevitabilmente ha
finito con l’ascrivere indistintamente, grazie anche alla omogeneità delle varie prestazioni, la
responsabilità solidalmente a tutti gli indagati.
6. Manifestamente inconsistente, e soprattutto, generico, il quinto motivo riguardante la
violazione di legge sotto il profilo che la il provvedimento cautelare è stato adottato
solidalmente nei confronti di tutti gli indagati, trattandosi di una conclusione cui il Tribunale è
pervenuto sulla scorta di quella premessa di partenza relativa alla struttura societaria unitaria
che portava tutti gli indagati a rivestire, penalmente, il medesimo ruolo, con ovvia ricaduta sul
piano del provvedimento cautelare da adottare nei confronti di costoro senza distinzioni
specifiche, peraltro neanche precisate.
7. Sono fondati, invece il sesto e settimo motivo da trattarsi unitariamente, attesa la
sostanziale identità dei contenuti.
7.1 In questo senso militano anche le puntuali considerazioni del P.G. requirente in ordine
al profilo – del tutto incerto nella giurisprudenza di questa Sezione in quanto frutto di due
diversi orientamenti – circa la assoggettabilità a sequestro dei beni della società per condotte
commesse dagli amministratori, nonchè le altrettanto puntuali osservazioni contenute nella
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mancata esposizione delle fatture nei documenti e il mancato incasso delle fatture, il Tribunale

memoria difensiva che fanno leva su un recente arresto giurisprudenziale di questa Sezione
secondo il quale “il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, previsto
dall’art. 19 del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, non può essere disposto sui beni immobili
appartenenti alla persona giuridica ove si proceda per le violazioni finanziarie commesse dal
legale rappresentante della società, atteso che gli artt. 24 e ss. del citato D.Lgs. non
prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l’adozione del provvedimento,
con esclusione dell’ipotesi in cui la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio utilizzato

s.pa., Rv. 254796).
7.2 Trattasi di un indirizzo giurisprudenziale nient’affatto isolato che ha preso le mosse
dalla considerazione della misura cautelare come provvedimento di carattere afflittivo
sanzionatorio: si è infatti affermato da tempo il principio di diritto che la confisca per
equivalente svolge “una funzione sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica
modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito, mediante l’imposizione di un
sacrificio patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile” (Sez. 3^ 14.6.2012
n. 25774, P.M. in proc. Amoddio e altro, Rv. 253062), dovendosi, quindi, escludere qualsiasi
funzione di prevenzione, che costituisce la principale finalità delle misure di sicurezza. È stato
anche affermato dalla giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte che l’istituto in esame
della confisca per equivalente non è applicabile retroattivamente (cfr. con riferimento ai reati
tributari: sez. 3^, 24.9.2008 n. 39172, Canisto, Rv, 241033; Sez. 6^, 18.2.2009 n. 13098,
P.M. in proc. Molon e altri, Rv, 243127).
7.3 Dalla natura di sanzione penale della confisca per equivalente deriva altresì la
inapplicabilità dell’istituto nei confronti di un soggetto diverso dall’autore materiale del reato a
nulla rilevando, con riferimento alle persone giuridiche, il cosiddetto

“rapporto di

immedesimazione organica del reo con l’ente del quale con compiti o poteri vari egli fa parte”
(Sez. 3^ 25774/12 cit.).
7.4 Mutuato com’è l’istituto in parola dai criteri informatori del D. L.vo 231/01 con gli
adattamenti alla materia tributaria in dipendenza dell’art. 1 comma 143 della L. 244/07 (cd.
“finanziaria”), la questione riguardante la confisca per equivalente prevista dalla L. n. 231 del
2001, art. 19, comma 2, è applicabile alle persone giuridiche nella residuale ipotesi la struttura
societaria costituisca un apparato fittizio, utilizzato dal reo proprio per porre in essere i reati di
frode fiscale o altri illeciti, sicché ogni cosa fittiziamente intestata alla società sia
immediatamente riconducibile alla disponibilità dell’autore del reato.
7.5 Se così è la decisione del Tribunale di vincolare il patrimonio societario per condotte
ascrivibili ai singoli amministratori deve ritenersi adottata in difformità al prevalente indirizzo di
questa Corte, posto che nessuna specifica motivazione viene offerta dal Tribunale circa i
rapporti tra le singole condotte penalmente rilevanti ed il ruolo delle società rispetto a tali
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dal reo per commettere gli illeciti” (cos’ Sez. 3^ 19.9.2012 n. 1256, P.G. in proc., Unicredit

condotte, nonché i modi di utilizzazione da parte dei singoli amministratori degli apparati
societari.
7.6 In questo senso, allora, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di
Messina, il quale in quella sede dovrà adeguarsi ai principi di diritto sui limiti del sequestro per
equivalente esteso alle società enunciati da questa Corte Suprema come da motivazione
P.Q.M.

Così deciso in Roma 3 luglio 2013
Il Consigliere estensore

Il Presidente

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Messina.

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