Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11381 del 22/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11381 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Marouani Charfi, nato in Tunisia il 12.3.1973;
avverso la sentenza emessa il 12 maggio 2013 dalla corte d’appello di Firenze;
udita nella pubblica udienza del 22 novembre 2013 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Mario Fraticelli, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avv. Nicola Giribaldi di Livorno;
Svolgimento de/processo
Con sentenza del 23 maggio 2012 il Gip del tribunale di Livorno dichiarò
Marouani Charfi colpevole del reato di cui all’art. 73, comma 1 bis, d.p.R. 309
del 1990 per avere ceduto e detenuto sostanza stupefacente di tipo eroina, e, riconosciuta l’ipotesi lieve di cui al comma 5 equivalente alla contestata recidiva,
con la continuazione e la diminuzione per il rito, lo condannò alla pena di anni
6 di reclusione ed € 33.334 di multa, oltre pene accessorie.
La corte d’appello di Firenze, con la sentenza in epigrafe, rideterminò la
pena in anni 4 e mesi 4 di reclusione ed 18.000 di multa, confermando nel resto.
L’imputato, a mezzo dell’avv. Nicola Giribaldi, propone ricorso per cassazione deducendo inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da persone informate
sui fatti in violazione dell’art. 63, comma 2. e 191 cod. proc. pen. e mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Lamenta che erroneamente la corte d’appello ha respinto l’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese alla PG da alcuni soggetti che avrebbero dovuto esser sentiti con le
garanzie dell’imputato di cui all’art. 64 c.p.p., posto che tali dichiarazioni ave-

Data Udienza: 22/11/2013

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vano ab origine valore indiziante.
Motivi della decisione
Il ricorso si risolve in una censura in punto di fatto della decisione impugnata ed è comunque manifestamente infondato, in quanto la corte d’appello ha
fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulla valenza degli elementi
di prova in base ai quali ha ritenuto dimostrata la responsabilità dell’imputato
per il reato in esame, ed in particolare sulla piena utilizzabilità delle dichiarazioni rese alla PG da alcune persone (che si erano rivolte all’imputato, conosciuto con il soprannome di Bergamo, e di cui avevano il numero di telefono memorizzato nei propri cellulari, al fine di comprare da lui sostanza stupefacente del
tipo eroina o hashish), nei confronti delle quali non era mai emerso alcun elemento che potesse farle ritenere indiziate del reato.
E difatti, la corte d’appello ha innanzitutto osservato che la prova della responsabilità dell’imputato derivava, innanzitutto, dalla diretta osservazione della sua condotta, in quanto era stato visto dagli agenti di PG mentre gettava via
l’involucro contenente lo stupefacente di cui alla imputazione già suddiviso in
dosi pronte per essere spacciate. Inoltre, la corte ha plausibilmente rilevato che
nei confronti delle persone sentite dalla PG a sommarie informazioni, non emergevano indizi di reità che potessero far conseguire l’assunzione delle loro
dichiarazioni in presenza di un difensore, posto che le stesse risultavano fin
dall’inizio essere solo acquirenti dell’imputato e che non vi era alcun indizio che
potesse far ritenere la destinazione allo spaccio delle dosi da esse acquistate,
dosi che invece erano palesemente destinate al solo loro consumo personale.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.
In applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare
in € 1.000,00.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 22
novembre 2013.

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